Marco Ferrarini è nato e vive a Milano.
Al suo attivo pubblicazioni di racconti singoli e collettivi, articoli, saggi, curatele, sceneggiature e testi teatrali, nel costante tentativo di perdere diottrie. Osservatore accanito delle dinamiche che investono la città che cambia, è coinvolto in attività di volontariato ed è promotore di iniziative culturali sul territorio.
Colleziona colorati indicatori di taglia per grucce per non prendersi troppo sul serio.
Caro Marco, letta la tua biografia, non si può fare a meno di chiederti a che punto sei dell’obiettivo che ti sei prefissato: quante diottrie ti restano?
Non lo so, preferisco rimanere nell’ignoranza. Ora che ci penso però, nell’ultima visita l’oculista le aveva scritte su un fogliettino, ma non sono riuscito a leggerlo!
No, scherzo, per adesso ci vedo incredibilmente ancora benissimo. Peccato: gli occhiali danno quel nonsoche…
Smarrire Megacity. Un titolo ipnotico, breve e denso.
E travagliato: è stato l’elemento che ha richiesto più tempo nella confezione del libro. Non amo non riuscire a usare la mia lingua, soprattutto se si tratta del battesimo di un lavoro. Ma in questo caso l’inglese si è rivelato molto funzionale: ha spalancato le porte di un immaginario futuribile che passeggiando per le nostre città non sembra essere così lontano, e al tempo stesso è riuscito a non ammantare di uno snobismo elitario il modo in cui il libro si presenta.
Romanzo breve o raccolta di racconti?
Racconto lungo. I quattro testi sono sì indipendenti l’uno dall’altro ma, oltre ad avere tratti comuni, tra cui la figura non descritta del protagonista che cresce (o decresce?) nell’arco dei quattro racconti, trovano nuovo senso e compimento nella loro giustapposizione.
Non credo di essere pronto per proporre una selezione di miei lavori; Smarrire non è questo.
Hai già pubblicato altri testi. Quando e come ti è nata la passione per la scrittura?
La prima pubblicazione è stata un’autoproduzione di poesie adolescenziali, un volumetto che ho paura di aprire. Scrivevo già da qualche anno, in preda all’ansia di far sapere agli altri la mia visione sulle cose, proponendogliela nella forma più incisiva e accattivante possibile, una sfida di un’immaturità appena tollerabile.
Ora scrivo per necessità: quando il precipitato delle esperienze fermenta e preme per venire fuori. Di volta in volta osservo che forma ha e che destinazione potrebbe avere.
Come nascono e, soprattutto, come crescono i tuoi lavori? Dove scrivi e in che momenti?
Dipende molto di che lavori si parla: tutto quello che viene fatto su commissione ha una vita breve e intensissima, roba da non pensare ad altro mentre lo si sta chiudendo.
Altri lavori più personali hanno invece tempi di gestazione molto più lunghi: con i ragazzi con i quali sono coinvolto nel mio quartiere per esempio sto scrivendo un lavoro a partire dalle loro disgrazie e le loro prospettive ormai da cinque anni. E non so se coagulerà mai in un lavoro finito.
Altro capitolo sono le esperienze di scrittura collettiva: un anno a cadenza fissa per produrre testi diversi stilisticamente, ma al tempo stesso a loro modo integrati.
Scrivo a casa, sul tram, in pausa pranzo o di notte se la giornata è stata particolarmente fitta. Diffido della mia memoria, le suggestioni che credo siano valide devono essere subite messe giù.
Senza svelarci dei dettagli importanti, pensi sia possibile individuare dei vinti e dei vincitori all’interno di Smarrire Megacity?
Preferirei di no, ma solo perché non voglio essere smentito dai lettori. Smarrire è un’opera aperta, c’è chi vede il protagonista cadere e rialzarsi, e chi invece si deprime perché i personaggi falliscono senza accorgersene. Se avessi dato al libro una direzione ponderata avrei fatto un’operazione retorica che non avrebbe restituito il senso dell’osservazione della Città.
A proposito di vinti: una partita a scacchi persa in quattro mosse. Dunque non c’è speranza?
Se non ci fosse speranza non scriverei. Sono lontano dagli autori profeti del declino che tanto ci hanno entusiasmato nell’ultimo decennio. La speranza c’è eccome, certo bisogna fare autocritica e cambiare alcune cose delle vite delle nostre città, Megacity potenziali.
A che tipo di lettore consiglieresti la tua opera?
A chiunque sente l’esigenza di cambiare. Smarrire non è una chiamata alle armi, né un manifesto per il futuro, ma sicuramente presenta sotto una luce critica gli elementi problematici delle nostre vite, proprio quelli a cui di solito non vogliamo prestare troppa attenzione.
Marco Ferrarini e la letteratura digitale.
Non mi sono mai precluso forme e storie, spaziando dal teatro alla cronaca, o dalla saggistica alla letteratura cinematografica; vedo questo percorso come una variante affascinante della stessa produzione, che però richiede le sue specificità: non credo ad esempio che Smarrire possa essere un libro cartaceo.
Marco Ferrarini e Prospero Editore.
Un fulmine a ciel sereno: un messaggio “So delle tue pubblicazioni, ti va di fare due chiacchiere?”, un’oretta di discussione su skype, un lavoro finito due mesi dopo. E adesso tanto scambio di idee con i collaboratori e gli altri autori. Un’esperienza stimolante.
E chiudiamo con una punta di gossip: è la prima pubblicazione non antologica tutta tua… dunque un’opera importante che non puoi fare a meno di dedicare a?
Nel tempo alle persone importanti ho dedicato altre prime volte, e ora non vorrei ripetermi. Sembra strano, ma l’opera tutta mia è stato per me un elemento di criticità, che mi ha portato a voler condividere le gioie del lavoro finito con due figure importanti, dividendo con loro la copertina.
Forse però una certa lettrice, la cui opinione tengo sempre più in considerazione, c’è…
http://www.prosperoeditore.com/component/virtuemart/racconti/smarrire-megaciy-detail.html?Itemid=0