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Trilogia di Svetlan (tre inchieste dell’investigatore privato Peter Svetlan) di Fab Ka

N.1

Fabio Cardetta, in arte Fab Ka, è uno scrittore italiano residente da anni in Slovacchia. Ha pubblicato il libro ‘Il monastero azzurro’ per Calibano Editore, e diversi altri libri sia in italiano che in inglese. In uno di questi, ‘Trilogia di Svetlan’ (tre inchieste dell’investigatore privato Peter Svetlan), racconta Bratislava e la Slovacchia dall’interno, con lo sguardo del forestiero, ma con l’ambizione di dipingere la mentalità e la sensibilità locale. Pubblichiamo un estratto dal racconto ‘Tocco d’artista’, dove il protagonista indaga sulla morte di un ricco pensionato inglese, e dove l’autore mette in risalto le contraddizioni, il senso del grottesco e il tipico ‘black humor’ slovacco.

 

 

Trilogia di Svetlan: ‘Tocco d’artista’. Cap. II e III

   

Capitolo II

La notte era passata fra incubi indefiniti e una incomprensibile agitazione. Svetlan si svegliò con la bocca particolarmente impastata, con le pesanti nocche di Tub che bussavano impazientemente alla porta.

“Dammi 20 minuti… Ci troviamo nella hall di sotto!”

I rumorosi passi del collega si allontanarono lentamente dopo un ventoso sbuffo di impazienza. Svetlan si accese una sigaretta e la fumò alla finestra. La strada principale del villaggio era leggermente imbrattata di neve e la temperatura pareva essersi attestata intorno allo zero.

“Un vecchio ammazzato in un parco, con un coltello piantato nello sterno…”

E cercò di rammentarsi di casi analoghi in cui era stato invischiato. Gliene venne in mente uno che poteva rassomigliare: ma in quel caso si era trattato di un giovane zingaro ammazzato da un rivale, nei sobborghi di Vrakuna. Il caso si era risolto nel giro di due ore.

Buttò la cicca nel posacenere sul davanzale, si rasò velocemente e, vestitosi, indossò la giacchetta delle grandi occasioni. Gli rivenne in mente parte dell’incubo notturno: contrasti di famiglia, lui litigava con suo padre, si scopava una sorella inesistente, beghe sull’eredità… qualcos’altro di edipico e la fuga finale in Ferrari.

“Vattelappesca ora con le spiegazioni freudiane!”

Scese pian piano le scale ancora ragionando sui meandri infetti delle sue circonvoluzioni mentali.

Nella hall si accese un’altra sigaretta. Tub lo guardò con un sopracciglio alzato: “Hai ripreso a fumare?”

Svetlan gli buttò il fumo in faccia: “Fa parte della mia terapia: tutto ciò che in teoria fa male al fisico, mi fa bene psicologicamente… Sarà l’eterna tendenza dell’umano a tornare all’inorganico…”

Tub alzò gli occhi al cielo, e gli porse un bigliettino con lo stemma della polizia locale.

“Che sarebbe?”

“Ci hanno conservato il cadavere in fresco all’obitorio. Il capitano della polizia ci aspetta con un suo investigatore di fiducia, appena giunto da Kosice, pare…”

“Da Kosice?… Allora la situazione è seria!” – e Svetlan sorrise, con quel piglio sarcastico che irritava i più.

Poi guardò la pancia di Tub, e annuì.

“Era buona la frittata preparata dal sindaco?”

“Abbastanza istituzionale… ma direi commestibile…”

 

*

Camminando lungo la strada principale che come un serpente strisciava tra le due lunghe linee di case laterali, mentre gli esili fiocchi di neve ancora picchiettavano in faccia, Svetlan notò una grande statua dedicata a Ludovit’ Stur, appollaiata in un giardinetto scheletrico.

Sulla destra una grande chiesa romanica.

“Siamo arrivati?”

Tub guardò la cartina.

“Dovrebbe essere quel palazzo laggiù…”

Svetlan gettò lo sguardo nella stradina dietro la chiesa e vide un palazzo ottocentesco, bianco. La porta principale era decorata con bassorilievi gotici, due bifore ai lati. Sulla porta a fianco l’insegna rossa: Macelleria.

“Stai scherzando spero…”

“Mmm… credo proprio di no. A quanto mi ha spiegato il sindaco, quello è il vecchio palazzo del duca, che dietro ha delle vecchie celle, poi adibite a obitorio. Nel frattempo, però (sai, la crisi), un ricco allevatore della zona è riuscito ad accaparrarsi una parte dell’edificio per la sua attività di vendita carni…”

Svetlan spalancò gli occhi.

“Vuoi dirmi che…”

Tub sorrise.

“Non sbagli. Parte delle celle sono rimaste a uso d’obitorio… mentre le altre sono di proprietà del macellaio, che le usa per stipare le carni congelate…”

Svetlan rise di gusto.

“E perché il sindaco non ci ha accompagnato oggi?”

“Dice che è occupato… e che non sopporta la vista dei cadaveri…”

Non appena arrivati sulla soglia, il portone si aprì meccanicamente, e un omone grassoccio in giacca nera apparve a fissarli con due enormi occhi grigi.

Tub e Svetlan lo guardarono per un po’ senza dire niente.

“Immagino che siate gli investigatori venuti da Blava…”

Svetlan si crucciò, e ribatté: “Bratislava, prego… Blava mi fa vomitare!”

Il vecchio poliziotto lo guardò serio, parzialmente scioccato.

“Mi hanno molto parlato di lei, signor Svetlan!…”

“Me ne compiaccio… Ci fa entrare?”

Una volta dentro, si ritrovarono sotto un arco di pietra lungo una decina di metri, che conduceva al cortile interno, dove già poteva intravedersi il lembo di un giardinetto con panchine.

“Sono qui per richiesta del Procuratore, che a quanto pare è stato contattato dal sindaco… Saremo molto discreti e cercheremo di fare in fretta… Dov’è il cadavere: nell’obitorio o nella macelleria?”

Tub sorrise.

“Nell’obitorio ovviamente!” – rispose il poliziotto – “Perché me lo chiede?”

“Non si sa mai… Qui da voi, in provincia, mi aspetto di tutto!”

Non appena giunsero in fondo al cortile, dove una scaletta portava al seminterrato, si ritrovarono sulla sinistra un uomo alto, capelli neri, radi, sigaretta in bocca e lungo impermeabile di cammello.

“Questo deve essere l’investigatore venuto da Kosice…” – pensò Svetlan.

Il vecchio poliziotto si fermò davanti al nuovo personaggio e indicandolo con maniera zelante, lo introdusse con tono declamatorio: “E questo è…”

“L’investigatore venuto da Kosice!” – concluse Tub, riproiettando gli occhi al cielo come solo lui sapeva fare.

“Esatto!… Il signor Roderich Harmatha ci sta aiutando molto, e sono convinto che grazie alla vostra simultanea collaborazione porteremo presto a termine questa inchiesta!”

L’impermeabile con dentro l’investigatore si proiettò subito a palmo aperto verso Svetlan, con un largo sorriso.

“Certo!… è un piacere conoscerla, signor Svetlan!… Sono sicuro che collaboreremo alla perfezione!”

“Il piacere è mio, signor Harmatha!… Ne sono convinto!”

Più che un sorriso di cortesia, gli uscì un ringhio sguaiato. Ma nessuno ci fece caso, più di tanto.

“Seguitemi!” – fece l’investigatore venuto da Kosice – “Una volta dentro vi racconterò per filo e per segno chi era quest’uomo… E come questa inchiesta si preannunci senz’altro come un’inchiesta vecchio stile… tipica di certe storie alla Sherlock Holmes o delle inchieste di Padre Brown!”

Svetlan spalancò gli occhi.

“Ok, questo è matto da legare…”

Tub, dubbioso, gli sussurrò in un orecchio:

“Padre chi?”

“Lascia stare: è un coglione!”

 

 

Capitolo III

 

La camera era un semplice spazio di una ventina di metri quadri, allestita alla ben meglio: un paio di scaffali di ferro, muri in pietra antica sotto la grande volta lievemente ammuffita. Svetlan stette un po’ a guardarsi intorno, chiedendosi se fosse quello un posto adatto per adibire un obitorio. Un paio di armadi di alluminio e in mezzo un lettino dove stazionava il corpo del vecchio sotto la grande lampada al neon.

Il cadavere era coperto con un lenzuolo fino alla cinta, il petto nudo con il grande squarcio nello sterno, le braccia scheletriche e il grande ventre che sembrava partire già dal centro del petto. L’uomo avrà avuto sui settant’anni e la faccia, seppur smunta, rivelava una certa gagliardezza e una certa vitalità. Un lieve sorriso era rimasto a segnare quell’essere, che sembrava essersi dipartito tutto sommato in una compiaciuta serenità. Un paio di macchie rosse ancora chiazzavano gli zigomi.

L’investigatore venuto da Kosice cominciò la sua relazione: “Andrew Smith, trasferitosi in Slovacchia una decina di anni fa, settantotto anni, in pensione da una ventina. Ex militare d’aeronautica inglese, nato e vissuto per lo più a Londra… aveva sposato una donna slovacca più giovane di lui di almeno trent’anni. Si erano conosciuti in Inghilterra, si erano poi trasferiti insieme ed erano venuti a vivere nella grande villa del conte Heinz, poco lontana dal museo cittadino. Smith l’aveva acquistata negli anni delle svalutazioni successive al crollo del Muro, e l’aveva in parte ristrutturata. La moglie era morta dopo alcuni anni di cancro, e lui era rimasto solo a vivere lì.

Da cinque anni aveva assunto una assistente-cameriera, molto giovane, la signorina Hrabovà, credo abbia ventitré anni, proveniente da un paesino vicino Banska Bystrica. Avremo il piacere di conoscerla più tardi… Il signor Smith era un tipo particolare: dopo la morte della moglie era uscito di senno e si era messo a vivere come un barbone durante il giorno: aveva allestito il suo spazio davanti al museo cittadino, di fronte alla statua di Stur, e si era messo a dipingere quadri, e a chiedere l’elemosina ai passanti. Il tutto con sottofondo di musica dei Queen che faceva imperversare ad alto volume per tutto il pomeriggio dal suo vecchio radiolone anni Ottanta…”

“Perché si era messo a fare il barbone?” – fece Svetlan – “Gli mancavano i soldi?”

“No, tutto il contrario… Aveva in riserva ancora una bella somma, anche se negli ultimi anni aveva speso e continuava a spendere molto in beneficenza e assistenza ai poveri. Il comune ha anche incassato diversi quattrini grazie alle generose donazioni del signor Smith. Ma lui diceva che i soldi non erano mai abbastanza, e che lui ormai voleva vivere come i diseredati e donare ai poveri quello che la gente gli donava nelle offerte… Insomma, tipo bislacco… Ve l’ho detto che era leggermente uscito di senno!…”

“Leggermente…” – mormorò Tub.

L’investigatore a quel punto tese un foglietto e alcune fotografie a Svetlan.

“Questa è una lista approssimativa delle persone che conoscevano personalmente il defunto e che sto pian piano interrogando; e lì sotto può anche vedere le foto scattate al cadavere subito dopo il ritrovamento…”

“Orario approssimativo della morte, riscontri dal medico legale?”

“Il soggetto dovrebbe essere morto intorno alle 22.00 del giorno 21. Ed è stato ritrovato un paio d’ore dopo da una signora a spasso col cagnolino. Un colpo secco al cuore, nessuna colluttazione… Sembra che il cuore abbia cessato di battere pochi istanti dopo la coltellata.

Il medico ci ha fatto solo notare che il coltello ritrovato era un comune coltello da cucina che si vende in serie all’ipermercato della città. A quanto pare tutti i cittadini del villaggio utilizzano quel tipo di coltello, quindi l’arma non può darci grandi riscontri…  Nessuna impronta ovviamente. Un paio di tecnici della scientifica hanno coadiuvato l’impressione fornita dal medico: Smith sedeva sulla panchina sul vialetto principale del parco, è stato probabilmente chiamato da qualcuno alle sue spalle, si è alzato, si è girato verso il sedile della panchina e l’assassino (probabilmente giunto dai cespugli retrostanti) gli ha inferto la coltellata al cuore. Il vecchio si è accasciato ed è caduto all’indietro a pancia in sù, come può vedere dalle foto… Il coltello gli è rimasto conficcato nel petto.”

“Nessuna traccia di suole di scarpe o altri indizi?”

Il detective Harmatha fece una strana smorfia.

“Che posso dirle?… Sembra che l’assassino abbia usato il vialetto in pietra che interseca la via principale e non abbia lasciato tracce. Non sappiamo se si sia appostato lì tempo prima e quindi sia giunto premeditatamente dal viale principale… o se abbia scavalcato il basso muretto retrostante alla panchina… In entrambi i casi, avrebbe sicuramente avuto tempo e modo di arrivare e fuggire senza traccia, data la scarsa luminosità del parco…”

Svetlan smise di sfogliare le foto e le passò, anche lui con una smorfia, a Tub.

“E lei cosa ne dice?” – fece, improvvisamente rivolto al vecchio poliziotto, che sembrava stecchito alla vista del cadavere.

“Io-io… Le dico che…” – e rivolse lo sguardo esterrefatto a Svetlan.

“Io le dico che questo qui era un pazzo!… E che c’erano strane dicerie sul suo conto…”

“Tipo?”

“Tipo che era un alcolizzato, e andava a bere tutte le notti sulla tomba della moglie… Oppure che avesse anche una strana relazione con la sua giovane cameriera… E poi c’è quest’altro fatto del fratello…”

“Il fratello?”

“Sì, il fratello da due anni è venuto a vivere qui… E si è messo a vivere nella vecchia magione di fronte alla casa del vecchio… Non si parlavano mai, ma pare che quello lì sia venuto solo per dispetto… Come una condanna, come un fantasma!… Perché pare che la moglie del defunto (poverina, pace all’anima sua!), in realtà fosse stata precedentemente fidanzata col fratello… e i due si sarebbero presi alle mani più volte per quella faccenda… E una volta venuto a sapere della morte della donna, il fratello avrebbe preteso che il cadavere fosse rispedito in Inghilterra… Perché lui diceva che ella in realtà era e sarà per sempre la sua amata… in poche parole il fratello accusava il defunto della morte della signora e reclamava la sua potestà sulla salma di lei!… Poi non potendo legalmente avere ragione su questa cosa, ecco che si trasferice qui!… Come un fantasma!… Una faccenda davvero folle, signor Svetlan!”

“Vedo…”

Il poliziotto ci rimase un po’ male.

“Non le pare che tutto questo sia molto strano?”

“Certo, carissimo… Ma so anche che in un villaggio come questo si dicono molte cose. E la gente tendenzialmente non ha niente da fare… Quindi queste dicerie andranno verificate…”

“Certamente!” – fece il vecchio poliziotto, quasi vergognandosi della sua loquacità.

Svetlan si girò verso il muro, come per riflettere lontano dalla luce accecante della lampada.

“Tub!… Noi andiamo a farci un giro… Signor Harmatha, ci aggiorniamo verso il pomeriggio, quando forse avremo le idee un po’ più chiare… D’accordo?”

L’investigatore annuì, sorridendo sardonico.

“Vi ringrazio entrambi per il vostro tempo!… Buona giornata!”

**

Fuori la pioggerellina si era rarefatta in una specie di liquida polvere battente, quasi impercettibile, e il retro della grande chiesa giallognola appariva sciogliersi nella foschia. La temperatura si era alzata, e un discreto andirivieni di sparuti passanti animava a tratti la strada.

“Che facciamo adesso?” – fece Tub.

Svetlan lo guardò di sfuggita, tastando col palmo la quantità di pioggerellina che calava imperterrita.

“Ci facciamo un giro… Mi fai vedere un po’ quella mappa e capiamo un po’ la fisionomia di questo villaggio… Dopodiché, tu ne vai in giro a interrogare un po’ di gente, magari seguendo quella lista che c’ha dato il kosiciano… E stasera mi fai un bel riassuntino. Io invece mi immergo nei bar del villaggio e faccio un sopralluogo a casa del vecchio.”

Tub annuì, guardando per un attimo la lista e mettendosi poi il foglio in tasca.

“Ma prima, se vuoi possiamo pranzare insieme…”

“Nah, lascia stare” – fece Tub – “Mangio qualcosa più tardi, altrimenti non finisco più con questi!”

Si proiettarono così in giro a perlustare il villaggio. Usciti nuovamente sulla strada principale, dopo aver sorpassato la cattedrale, si trovarono di fronte un grande pub con la scritta in legno: “U Bratislavcana”.

“Compaesani!” – esclamò ironicamente Svetlan.

“Già…”

Sulla destra, in fondo alla strada videro il grande viale che arrivava alla piazza e all’altra chiesa, quella di san Nicola, dove praticamente il villaggio finiva… Decisero così di incamminarsi verso sinistra, seguendo la discesa di fronte alla facciata della cattedrale: pian piano videro la strada curvarsi a destra e sinistra, divisa in due carreggiate da un marciapiede spartitraffico decorato con alberi, fiori e cespugli: sulla destra il supermercato del paese, sulla sinistra il museo cittadino dove, lì dinanzi, ancora giacevano i resti della dimora diurna del vecchio: un antico sedile d’automobile, un cavalletto, un piedistallo e un grande quadro contemporaneo appoggiato alla parete. Più un vaso di fiori.

Tub lo indicò discretamente, Svetlan fece cenno di aver capito. Il portone del museo era chiuso, la grande costruzione bianca si presentava come un palazzo ottocentesco molto simile a quello dove avevano impiantato l’obitorio. Sul muro una targa: “Mostra dell’agricoltura”.

“E cosa esibiscono?” – fece Tub.

“Cosa vuoi che ci esibiscano: ferri di cavallo, carri, ruote di legno e altre cose del genere…”

Una macchina ogni tanto passava taciturna sotto la pioggia. Un paio di vecchie comparivano furtive sotto i cappucci, cariche di buste della spesa o con a tracollo una borsa di pelle strabordante di chissà quale mercanzia.

Tub muggì: “Credo sia giorno di mercato, è dall’altra parte dei campi, dietro il museo… Ma oggi piove, e staranno per chiudere…”

Svetlan si fermò di schianto, vedendo di fronte a sé la strada che all’orizzonte oramai si perdeva nei campi.

“Basta così… A quanto pare il villaggio lì finisce… Qual è il pub più frequentato del villaggio?”

“Credo sia quello del bratislavese, quello che abbiamo visto prima… è il più grande…”

“Ok, allora io vado lì… Ho bisogno di immergermi un po’ fra questi trogloditi. Sicuro che non vuoi mangiare niente?”

“Sicuro.”

Proprio in quel momento passò davanti a loro una ragazza, in minigonna, con lunghi stivaloni neri che le arrivavano al ginocchio. Le lunghe gambe tornite erano belle al fresco, per quel tempo, senza calze. Aveva indosso solo una leggera giacchetta marrone e i lunghi capelli biondi le scorrevano lungo la schiena, sciolti, ondulati come un ruscello dorato.

Per un momento i grandi occhi azzurri di lei incrociarono quelli di Svetlan. Tub rimase di gesso.

La ragazza guardò per un momento anche lui, semi-impaurita. Poi sgambettò via veloce, verso il centro, senza voltarsi.

“Credi che sia lei?”

Tub stette un po’ a guardarla andar via.

“Già… sembra proprio una per cui uno farebbe follie… Non credi?”

Svetlan sorrise.

E rimase a guardarla…

…molto più a lungo.

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