Tomáš Garrigue Masaryk, La Nuova Europa. Il punto di vista slavo. Presentazione di Koloman Gajan. Traduzione dal ceco, introduzione, postfazione e cura di Francesco Leoncini. Con la commemorazione di Benedetto Croce a Palazzo Venezia, il 7 marzo 1945, e un’Appendice documentaria. Castelvecchi, Roma, 2021, pp. 296, euro 25.
In questo volume, scritto di getto nel corso del conflitto durante il suo viaggio in Siberia al seguito della Legione ceco-slovacca e poi negli Stati Uniti, egli prende le mosse dagli eventi che hanno condotto allo scontro e li interpreta come conseguenza della spinta imperialista che aveva caratterizzato la politica tedesca tra fine Ottocento e la prima decade del Novecento. Al centro vi è tutta una serie di considerazioni sia sul piano geopolitico sia su quello sociale, che non si possono retrodatare a cento anni fa, ma che si attagliano a situazioni contemporanee e per ciò stesso costituiscono un messaggio proiettato verso il futuro.
Quale posizione si sarebbe dovuto assumere nei confronti della Germania sconfitta ma non per questo meno rilevante nell’assetto degli equilibri continentali postbellici? Oggi essa ha acquistato nuovamente un ruolo egemone non solo nella Mitteleuropa ma nell’ambito dell’Unione europea.
Come si sarebbe evoluta la situazione della Russia, allora in preda alla rivoluzione ma che di certo non si sarebbe potuto mettere al bando dalla vita internazionale, e quale sarebbe stato il destino delle varie componenti etniche al suo interno, in primo luogo dell’Ucraina? Un problema divenuto ora di bruciante attualità.
In questo contesto egli elabora il suo concetto di “Europa centrale” (Střední Evropa), un complesso di paesi dal Baltico all’Egeo che hanno un destino comune e un comune interesse a controbilanciare le grandi potenze. Il Gruppo di Visegrád riprende in certo modo questo progetto ma con segno diametralmente opposto agli ideali masarykiani.
Come e dove si sarebbe dovuto applicare il principio di autodeterminazione proclamato da Wilson?
Quale sarebbe dovuto essere il rapporto dell’Italia con le nazionalità slave che si erano liberate dal dominio asburgico e ottomano? In questo caso egli si rifaceva a quanto già aveva prefigurato Giuseppe Mazzini, nel senso che si sarebbe dovuto instaurare un duraturo processo di collaborazione. Di fatto su questa linea si era espressa la “Conferenza delle nazionalità soggette all’Austria – Ungheria” tenutasi a Roma nell’aprile del 1918, la cui preparazione e il cui significato completamente innovativo per un’intesa adriatica, e per la condotta della guerra, sono stati messi in luce in Alternativa mazziniana (Castelvecchi) dal curatore di quest’opera. Al contrario l’Italia continuò poi a perseguire una sterile politica rivendicazionista che la emarginò progressivamente dalla scena mondiale.
Va qui ricordato che a sua volta Edvard Beneš, che di Masaryk fu allievo e stretto collaboratore, poi gli successe quale presidente della repubblica, aveva già sottolineato nel suo pamphlet del 1917 La Boemia contro l’Austria – Ungheria (ora riproposto per Editrice Storica) la necessità di coinvolgere gli slavi del sud, assieme a italiani, cechi e slovacchi, in un progetto che impedisse la rinnovata penetrazione austro-tedesca in Adriatico, cosa che invece avvenne negli anni ‘40.
Con La Nuova Europa siamo quindi di fronte alla lucida analisi di un politico la cui azione nasce da un pensiero profondo, da una riflessione sulla società, sui rapporti sociali e da un’ampia esperienza internazionale, già prima della guerra. La sua attenzione per la condizione dell’uomo come singolo e come parte della collettività, il suo impegno per il riscatto dei piccoli popoli sono esemplari e devono essere anche oggi motivo di particolare valutazione.
Masaryk ci insegna che la democrazia si deve costruire, non si può “esportare”, come hanno dimostrato i recenti tragici eventi in Iraq e in Afghanistan. Lui stesso costruì uno stato democratico e ciò smentisce la convinzione ancora diffusa che l’area dell’Europa centrale e orientale sia stata nel Novecento esclusivamente luogo di regimi dittatoriali e reazionari.
Dalla commemorazione di Benedetto Croce.
«E, tra i contrasti e i disordini degli altri popoli pur usciti vincitori dalla guerra, solo forse la Cecoslovacchia intraprese una ordinata e pacificata vita di lavoro, irraggiata dalle idealità morali del suo presidente e dalle antiche memorie boeme che egli radunava intorno alla sua giovane repubblica, perché il Masaryk ritenne sempre non poco del romanticismo storico che era stato nelle origini del risveglio della Boemia, e si considerava erede dei Fratelli boemi, allievo del grande educatore Comenius, interprete del sentimento politico boemo che era tutt’insieme nazionale e universale»
L’Autore
Figlio di un cocchiere slovacco e di una cuoca ceca germanizzata il giovane Tomáš raggiunge i più alti gradi degli studi grazie all’intervento degli insegnanti e di famiglie facoltose. Studia a Vienna e a Lipsia, dove nel ‘77 incontra la musicologa americana Charlotte Garrigue. L’anno dopo si sposano a Brooklyn. Ne assume il cognome accanto al proprio in appoggio alla lotta che lei andava conducendo per l’emancipazione femminile.
Consegue l’abilitazione all’insegnamento universitario con una tesi sul “suicidio come fenomeno di massa della civiltà moderna”.
Intellettuale provocatore e anticonformista fonda nel 1900 il “partito popolare ceco”, che cinque anni dopo prenderà il nome di “progressista” ma al Reichsrat di Vienna viene eletto con il concorso dei socialdemocratici. Critico nei confronti della Monarchia sempre più subalterna alla Germania guglielmina, allo scoppio della guerra decide di espatriare.
Roma è la prima tappa e l’Italia è il primo Paese che gli concede il permesso di soggiorno. Sarà poi a Ginevra, Parigi e Londra dove riceverà un incarico alla School of Slavonic Studies del King’s College. Nella primavera del 1918 arriva negli Stati Uniti. Con il Patto di Pittsburgh tra rappresentanti cechi e slovacchi dà vita all’accordo per uno stato comune. Nel dicembre rientrerà a Praga come presidente della repubblica. Sarà rieletto altre tre volte. Si dimette nel ’35 per motivi di saluti e muore due anni dopo.
Francesco Leoncini, storico e slavista, è membro onorario della Masarykova Společnost [Società Masaryk] di Praga.
Postfazione: Sfida e doppia sconfitta dell’umanesimo