Ospite d’eccezione per la XV Settimana della Lingua Italiana nel Mondo celebrata nella Repubblica Ceca: il giornalista televisivo, Alessandro Cecchi Paone, è volato a Praga dove ha tenuto la conferenza “Radiotelevisione, alla ricerca del servizio pubblico perduto”. L’appuntamento all’Istituto Italiano di Cultura è stato seguito il giorno dopo da una lezione presso la Facoltà di lettere dell’Università Carlo di Praga dove Cecchi Paone ha parlato di “Tradizione e vantaggi della lingua italiana nella storia della divulgazione culturale e scientifica”. Cafeboheme lo ha incontrato per fargli qualche domanda.
Cb. Nel corso della tua lunga carriera come conduttore televisivo, giornalista e divulgatore scientifico hai assistito a molti cambiamenti in merito a come fare intrattenimento. Da quando hai iniziato ad oggi, cos’è cambiato nella professione del fare televisione?
ACP. Direi soprattutto la parte tecnologica. Io ho avuto la fortuna, pur non essendo Matusalemme, di aver cominciato 38 anni fa. Eravamo in bianco e nero, i titoli di coda venivano ancora fatti inquadrando un rullo con le scritte in bianco su fondo nero che poi veniva fatto girare con una manovella, e parliamo non dell’era preistorica, ma del 1977. Quindi ho avuto la fortuna di passare da una televisione monopolistica in bianco e nero a una televisione a colori, in concorrenza, a una via satellite, a una digitale, a una televisione on demand, a una via cavo…Quindi direi che proprio il cambiamento è stato fondamentalmente tecnologico sia per chi la televisione l’ha fatta, sia per chi la televisione l’ha vista, e così come a casa tutti si sono accorti dei cambiamenti, anche noi ce ne siamo accorti perché, per esempio oggi nella gran parte delle news room, su input degli stranieri e in particolare di Sky (un input che poi è andato spalmandosi sulle televisioni italiane), abbiamo ormai giornalisti che fanno tutto da soli di fronte al loro computer, speakerano il servizio e lo montano con una piccola centralina digitale, mentre una volta questi erano tutti passaggi industriali che riguardavano diverse postazioni, diversi luoghi e diversi operatori.
Cb. Passando invece al campo dell’antropologia, spesso si sente dire che la televisione ha un ruolo dominante nell’influenzare la cultura e nel dettare gusti e stili di vita, con la conseguenza, però, che spesso questo mezzo viene chiaramente demonizzato da una certa categoria di persone, da alcuni intellettuali ecc. È così oppure è vero il contrario, e cioè che nello specifico sono i programmi, gli spettacoli che assecondano semplicemente quella che è poi la richiesta e la tendenza del pubblico del momento?
ACP. E’ vero che gli intellettuali italiani non hanno mai capito niente di televisione, tranne pochissimi. Non si può dimenticare, mi spiace che sia morto e che quindi non abbia diritto di replica, un critico letterario come Enzo Siciliano divenuto presidente della RAI, che si vantava di non averla mai vista e di non averne nessuna cognizione, nessuna preparazione, ed è diventato ugualmente presidente della RAI, e nessuno ha osato a dire nulla. Quindi capite in che situazione ci siamo trovati e ci troviamo ancora in parte in Italia. Diciamo che la televisione italiana è dominante perché gli italiani, per una serie di ragioni, leggono molto poco libri e giornali soprattutto rispetto agli altri paesi, ai popoli vicini; di conseguenza quello che va in onda è veramente ciò che forgia il sentire comune e collettivo, non solo politico, ma anche il costume. È aperta la discussione se quello che viene fornito al pubblico è ciò che il pubblico vuole o viceversa. Il pubblico si ritrova senza libertà di scelta rispetto a un’offerta abbastanza conforme e allineata e abbastanza formattata o formattizzata. Personalmente sostengo che il pubblico è reattivo e di conseguenza offerte diversificate e aperte alla scelta sono assolutamente benvenute quando vengono proposte.
Cb. Da esperto della comunicazione e docente universitario, invece, come immagini quello che possiamo definire il futuro a breve – medio termine nel campo della comunicazione? Cioè come cambieranno le modalità di comunicazione tra gli esseri umani? Quale sarà, secondo te, il ruolo che i social media avranno in futuro o se potrebbero addirittura essere soppiantati da qualcosa che farà e sarà quello che per esempio sono oggi i social media?
ACP. I grandi esperti di comunicazione, come racconto ai miei studenti universitari già da più di dieci anni, ci hanno insegnato, quando era ancora incomprensibile dal punto di vista tecnologico, che “il destino è la convergenza” e cioè arrivare ad avere dei device unici su cui poter fare tutto, interagire, lavorare, comunicare, vedere, ascoltare e devo dire che in Italia questo avviene e avverrà più lentamente rispetto agli altri paesi per il ritardo sulla diffusione della banda larga veloce e ultraveloce. Adesso finalmente, con un ritardo vergognoso e scandaloso, si va nella direzione di fare gli investimenti che porteranno poi a estendere la banda larga da tutti quanti raggiungibile e questa cosa risolverà anche un problema che attualmente è drammatico e cioè quello della divisione generazionale. La televisione oggi è prevalentemente una televisione fatta per un pubblico anziano, femminile, centro-meridionale, basso scolarizzato e di estrazione sociale e di disponibilità economica molto bassa. Questo chiaramente spinge verso il basso non soltanto i contenuti, ma anche la redditività della televisione stessa. Recuperare il pubblico maschile attivo e il pubblico giovanile si potrà fare e questo differenzierà l’offerta e migliorerà la redditività soltanto quando ci sarà la convergenza tecnologica su mezzi e device più moderni.
Cb. E invece il classico rapporto di orwelliana memoria tra potere e televisione quanto era vero 20-30 anni fa e quanto è vero oggi?
ACP. Beh era più vero 20-30 anni fa in Italia perché abbiamo avuto un monopolio di Stato che è stato scalfito soltanto dal 1975 in poi. Quindi è chiaro che, a parte il buon senso, a parte la formazione democratica, il controllo parlamentare e la nostra appartenenza comunque ad un mondo libero, noi avevamo un’unica voce che orientava l’intero paese anche da noi con ritardo tecnologico e di assetto legislativo, un ritardo che dura tuttora, comunque la concorrenza è arrivata e soprattutto la concorrenza non degli editori in house, cioè degli editori italiani, ma degli editori stranieri soprattutto Murdoch con Sky, che hanno riportato l’Italia verso una normalità di molteplicità di voci e di posizioni e anche di linguaggi che fa pensare che il grande fratello Orwelliano sia stato scongiurato.
Cb. Qualcuno ha detto che la televisione scomparirà. Sei d’accordo con questa affermazione?
ACP. Sono d’accordo se va intesa nei termini che ho detto prima, e cioè nella convergenza verso un unico device su cui fare tutto: vedere la televisione, telefonare, interagire con i propri partner privati o professionali, in questo senso sì…Cioè l’idea di sedersi in salotto nella ritualità regolare e quotidiana, questo sicuramente è già finito per molte generazioni e per molte popolazioni. Diciamo che il piacere dello schermo televisivo resterà per la visione di grandi spettacoli sportivi, di grandi film che richiedono, per chi se lo può permettere, una visione in alta qualità con l’HD e con l’home theatre, ma per il resto certamente finisce quell’oggetto e finisce quella modalità che era quella del focolare televisivo di McLuhan. È il mobile insomma che farà morire la televisione intesa come TV set; infatti non si parla più neanche in inglese del TV set che invece era una parola precisa legata alla ritualità del salotto in cui uno si siede per assistere ad uno spettacolo. Con il mobile uno se lo porta con sé.
Cb. Passando alla tua vita personale, sono note le tue dichiarazioni in merito all’omosessualità e anche le tue battaglie per un riconoscimento dei diritti alle coppie di fatto. Secondo te cosa nasconde veramente questo rifiuto da parte della società italiana di affrontare seriamente questi argomenti?
ACP. Allora, nel mio caso dovrei parlare di bisessualità anche se diacronica, cioè non vissuta contestualmente, ma vissuta in fasi diverse della vita. Questo per dire che ho profondamente amato e apprezzato e mi ha profondamente arricchito il rapporto nella sua interezza, con le donne. Di conseguenza ho poi voluto sottolineare l’importanza di occuparsi della condizione omossessuale perché, divenendo mia dopo i 35 anni e dopo aver vissuto pienamente e felicemente quella eterosessuale, mi sono reso conto di quali gravi ritardi di mentalità, di costume, di atteggiamenti e anche di ombrelli legislativi questa condizione aveva. Lo sapevo in termini, come dire, un po’ astratti o letterari però viverselo sulla propria pelle ti fa cambiare opinione. Avendo una formazione culturale, intellettuale e politica di intervento, per cercare di cambiare le cose, ho ritenuto di fare un coming out ad uso proprio di battaglia civile secondo la tradizione più puramente radicale o liberale di sinistra perché vedevo che il dibattito in Italia non decollava (parlo dei primi anni 2000) mentre il resto del mondo rapidamente si avvicinava a riconoscere ovunque la piena dignità culturale e sociale delle persone omossessuali e il loro diritto a regolarizzare le loro unioni in forme diverse. In Italia di questo non se ne parlava nemmeno ed esisteva ancora un diffusissimo pregiudizio familiare e sociale che individuava nell’omosessualità una forma, di volta in volta, di deviazione comportamentale, di malattia, di peccato grave, di atteggiamento (nella migliore delle ipotesi) tollerato se tenuto nascosto. Io credo che derivi dall’educazione delle generazioni attualmente o al potere o comunque maggioritarie in termini di età, che è stata fatta dal fascismo e dalla Chiesa Cattolica purtroppo in combinato disposto. Questo vuol dire che, l’educazione di chi oggi ha più di 65 anni, sia se ha posizioni di potere, sia se comunque rappresenta la maggioranza della società, questo tipo di educazione ha fatto moltissimi danni in generale nella temperie italiana dal punto di vista di una diffusione profonda del liberalismo democratico occidentale e per quanto riguarda l’omosessualità è stata un’educazione tutta volta alla negatività sia per il natalismo virilista del fascismo, sia per la visione sessuofobica, omofobica e anche misogina del cattolicesimo clericale. Io credo che con la fine di queste generazioni sia il potere sia il sentire sociale cambieranno e si assimileranno a quelle di tutto il resto del mondo libero. Lo dico perché, insegnando nelle scuole e vedendo anche il risultato di certe mie prese di posizione ormai decennali televisive, la fascia di età sotto i 35 anni e la fascia femminile del pubblico ha già ampiamente superato queste posizioni che restano maschili e anziane.
Di Mauro Ruggiero e Serena Michelin