In occasione delle celebrazioni per il centesimo anniversario dei rapporti diplomatici tra l’ Italia e la Repubblica Ceca, il 9 agosto 2019 si è tenuto a Praga CZECH IT mate! Un evento scacchistico senza precedenti.
Presso la cappella barocca dell’Istituto Italiano di Cultura, Ufficio culturale dell’Ambasciata d’Italia,
Il Grande Maestro ceco David Navara, classe 1985, tra i primi 30 giocatori più forti del mondo (2734 ELO), numero 1 in Repubblica Ceca, e con un palmarès da grande campione, ha sfidato il Grande Maestro italiano, e numero 1 nella classifica nazionale, Daniele Vocaturo, classe 1989 (2612 ELO), pluripremiato atleta e punta di diamante della nazionale e panorama scacchistico italiani.
I due Grandi Maestri si sono sfidati in due partite amichevoli (15 min x 2 + 5s) vincendone una a testa, risultato che ha lasciato tutti soddisfatti e che ben si concilia con questo particolare evento.
Dopo la sfida, ciascuno dei Grandi Maestri ha sfidato in una partita simultanea dieci giocatori, tra italiani e cechi, contribuendo a rendere ancora più spettacolare e interessante questa giornata dedicata agli scacchi e all’amicizia italo-ceca.
A conclusione dell’evento abbiamo intervistato Daniele Vocaturo per sapere qualcosa di più sulla sua carriera e sull’affascinante mondo degli scacchi in generale.
Caro Daniele, prima di tutto grazie per aver accettato il nostro invito a partecipare a questo evento speciale dedicato agli scacchi e ai cento anni di relazioni diplomatiche tra l’Italia e la Repubblica Ceca. La prima domanda che vogliamo farti è: come, quando e perché ti sei avvicinato al mondo degli scacchi?
Vivevo in un quartiere periferico di Roma, Vitinia, dove stranamente c’è questa tradizione di insegnare a giocare a scacchi a scuola. Adesso magari è diventata una cosa più comune, ma quando ero piccolo era una cosa abbastanza atipica. Ho una sorella più grande e quindi ogni volta che vedevo lei giocare con mio padre cercavo di capire di che cosa si trattasse. È stato un amore a prima vista. Inizialmente perdevo con mia sorella perché lei studiava il gioco a scuola e anche con papà. Con gli anni, però, li ho ripresi. Quando ho iniziato a giocare a scacchi a scuola anche io l’anno dopo, ero avvantaggiato rispetto ai miei compagni perché avevo già una conoscenza di base. Da lì è stato poi un amore continuo.
Se ripensi al tuo percorso di apprendimento del gioco e poi alla tua carriera agonistica, quali sono state le tappe fondamentali della tua formazione?
A Roma c’è abbastanza movimento intorno agli scacchi, essendo una città grande, quindi ho cercato di frequentare anche altri ambienti oltre alla scuola, perché il circolo di Vitinia era sì un ambiente stimolante e giovane, ma avevo il bisogno di confrontarmi con qualcuno più forte. Sono andato quindi in un altro circolo dove ho avuto occasione di incontrarmi con diversi maestri. Da lì ho iniziato a realizzare che c’erano delle basi di fondo e avevo delle potenzialità; ho quindi preso un istruttore privato e ho iniziato a seguire dei corsi. Il primo maestro importante è stato Lexy Ortega, che è uno dei grandi maestri più forti di Roma e proprio grazie a lui ho fatto un grande salto di qualità. La formazione nel mondo degli scacchi è un’evoluzione continua, devi prendere qualcosa da ognuno dei grandi maestri che incontri.
Sappiamo bene che gli scacchi nell’immaginario collettivo rivestono una funzione simbolica importantissima. C’è una letteratura, una narrativa, sterminata sul gioco. Quando tu pensi agli scacchi, vedi soltanto un’attività ludica, agonistica o hanno per te anche un valore filosofico?
Oggigiorno, giocando molto, l’agonismo è diventato l’elemento principale degli scacchi, devo essere onesto. Però nella fase di crescita c’era sicuramente questo elemento filosofico e letterario intorno al gioco. Mi ricordo che quando a scuola mi confrontavo con i professori, loro mi menzionavano sempre scritti dove emergevano gli scacchi. Proprio in quella fase lì decisi di iniziare a leggere per documentarmi sulla storia e la cultura del gioco.
Dunque, cosa sono gli scacchi per Daniele Vocaturo?
Questa è la domanda più difficile. Per me gli scacchi sono la vita. Ogni componente del giorno è svolta in funzione del gioco. Posso quindi affermare che ciò che io sono oggi è grazie agli scacchi, che hanno plasmato totalmente la mia vita. Anche piccole cose che faccio nella vita quotidiana spesso sono sempre in funzione degli scacchi. In parole povere, questi occupano gran parte delle mie energie e dei miei pensieri.
Passando invece alla letteratura scacchistica vera e propria, quali testi classici ti hanno formato maggiormente?
Devo dire che da piccolo, forse perché mi piaceva tanto giocare, non studiavo molto dai libri di teoria, e questa è una cosa di cui mi pento. Probabilmente grazie al mio primo maestro, Lexy Ortega, ho poi iniziato ad avvicinarmi anche ai libri di teoria scacchistica e a cercare di colmare tutte quelle lacune letterarie che avevo nell’ambito del gioco. MI è difficile fare qualche riferimento particolare. Probabilmente il primo libro è stato “Il mio sistema” Aron Nimzowitsch, ma non mi sento di fare riferimento a qualche libro in particolare.
Esiste un libro molto noto tra gli addetti ai lavori, ma anche tra i meno addetti, ed è “La psicologia del giocatore di scacchi” di Reuben Fine. In questo libro l’autore fa una rassegna delle più grandi personalità scacchistiche del passato e del suo tempo, dividendole tra eroi ed antieroi e mettendo in relazione un certo rapporto tra scacchi e follia. Esiste una relazione tra scacchi e follia secondo te? E se esiste in che cosa consiste?
Abbiamo molti casi, diciamo così “particolari” nel mondo degli scacchi. Fischer stesso è stato considerato un folle. Credo che il gioco, in sé, attragga un certa genialità che, allo stesso tempo, può sconfinare in elementi di follia. Il problema degli scacchi, ma anche la loro bellezza, è che a qualsiasi livello tu sia, senti di dover migliorare ancora di più. Quindi, per esempio, se studi una strategia che ti sembra incredibile, poi, ad un certo punto, quando ti devi confrontare vedi che è semplicemente una piccola parte di quello che avresti potuto o potresti elaborare ancora. Se hai manie ossessive puoi veramente continuare senza mai vedere la fine di uno sviluppo del gioco, e se non riesci a controllare la tua ossessione puoi veramente sconfinare a un certo punto nella follia. Molto spesso in queste situazioni avere persone vicino, che può essere un allenatore, una moglie o dei genitori, possono in un certo senso frenarti e riportarti alla vita reale.
Un paio di anni fa, quando vivevo con un amico con il quale studiavamo scacchi insieme tutto il giorno, capitava che ci ritrovavamo spesso alle quattro del pomeriggio, guardavamo l’orologio e ci rendevamo conto che ci eravamo dimenticati di pranzare. Serve ogni tanto qualcuno che in qualche modo ti riporti alla vita terrena, diversamente è davvero possibile impazzire.
A quale modello del passato ti sei ispirato?
Mi piace Fischer, ma non so se possono dire che a livello di gioco mi sono ispirato a lui. Fischer ha dato in qualche modo il “boom” agli scacchi, e molte persone proprio in quel periodo si sono avvicinate a questo gioco. Mi viene da dire che se oggi gli scacchi sono famosi è grazie a lui.
A livello di gioco forse Tal e Kasparov sono i giocatori più aggressivi che mi hanno in qualche modo fatto appassionare alla componente aggressiva degli scacchi, e per quanto possa sembrare paradossale Karpov è quello che mi ha fatto fare il passo successivo.
Raccontaci qualche aneddoto o qualcosa di poco nota intorno al mondo dei professionisti.
Mi ricordo di un fisico nucleare, uno scacchista molto forte che doveva giocare un torneo in Israele. In questo Paese c’è una buona cultura scacchistica e quindi, quando in aeroporto molti giocatori, per via di questo torneo, hanno dichiarato alle autorità che si stavano recando nel paese per via degli scacchi, nessuno ha battuto ciglio. Poi, però, c’era questo Grande Maestro, e fisico, che ha voluto fare l’originale e ha detto alle autorità, con spavalderia, di essere un fisico nucleare. Così è rimasto due giorni chiuso in aeroporto ad attendere l’esito dei controlli.
Come mai l’Italia, pur avendo campioni come te, non riesce più ad essere tra le prime nazioni per “potenza scacchistica” come lo è stata in un lontano passato. Perché non riesce ad avere almeno un giocatore fra i primi 30 al mondo?
Credo che prima di tutto sia una questione culturale, ovvero per tanti anni nell’immaginario italiano lo scacchista non era considerato un vero sportivo, e questo ha creato un po’ di ostacoli nell’avvicinare le persone al gioco. Di conseguenza, meno persone si avvicinano al gioco, meno probabile è che qualcuno diventi forte. È una questione di numeri. Un’altra componente è il fatto che giocare a scacchi a livelli alti implichi un controllo emotivo particolare. Noi italiani siamo molti emotivi e spesso questa emotività può toccare picchi molto alti. Questo ci permette magari di fare delle partite davvero spettacolari, ma non un andamento e un rendimento costanti nel tempo. È sicuramente un discorso generalizzato quello che sto facendo, che però ha la sua influenza. Una volta che riusciremo ad avere un giovane italiano che raggiungerà un livello importante, ci sarà poi in qualche modo la motivazione giusta anche per altre persone.
Senti di poter crescere ancora scacchisticamente parlando? Qual è l’obiettivo che ti sei posto davanti alla scacchiera?
A livello di crescita, ogni mattina mi dico che in questo gioco non ci capisco nulla. C’è sempre la volontà di migliorare. Ovviamente subentrano altri fattori, con il tempo devi prendere in considerazione, per esempio, il fatto che sei anche allenatore, e quindi non puoi dedicare tutto il tempo al tuo gioco. Continuo ad avere il sogno di entrare nella top 100 mondiale. Questa credo sia la motivazione che mi pongo ogni giorno.
Rivelaci qualcosa sui tornei come singolo e a squadre che stai preparando
Dovrei giocare un torneo a fine agosto, in Grecia, a Creta. Sarà bello unire l’elemento sportivo con una bella località per rilassarmi un pochino. Ci stiamo preparando con la nazionale italiana per il campionato europeo che giocheremo a Batumi, a novembre, e quindi quello è un appuntamento molto importante per cui mi preparerò bene.
Qual è il segreto per diventare un Grande Maestro di scacchi?
Tanto lavoro in realtà, per quanto la componente del talento possa incidere in qualche modo. Bisogna lavorare tanto e per farlo devi essere innamorato del gioco, altrimenti non puoi metterci quell’energia che tutt’ora sento di avere.