Enrico Magnani è un artista con un passato nella fisica nucleare, che oggi vive e lavora tra Italia, Francia e Germania. La sua prima esposizione si è tenuta a Milano nel Novembre 1997. Fino al 2006 ha lavorato come pittore figurativo e dopo un periodo di transizione è diventato un artista esclusivamente astratto. Le sue originali opere lo hanno rapidamente portato all’attenzione internazionale e sono state presentate in musei, fondazioni, gallerie private e istituzioni pubbliche in Italia, Austria, Francia, Germania, Repubblica Ceca, Danimarca, Belgio e USA.
Ricercatore, nel senso più ampio del termine, Enrico Magnani non si è accontentato di esplorare i misteri della materia tramite la ricerca scientifica, ma ha cercato di andare oltre, spingendosi, attraverso l’anima dell’arte e la simbologia dello spirito, verso l’indicibile.
Come dice Guido Folco, storico dell’arte e suo curatore artistico:
Attingendo alle piu antiche tradizioni spirituali dell’oriente e dell’occidente, Enrico Magnani, con le sue opere, mette in scena il contrasto interiore dell’uomo tra corpo e anima, tra materia e spirito, tra sacro e profano. Il mondo imperfetto della materia e il mondo perfetto delle idee coabitano nell’essere umano. L’io è corpo ed egoismo mentre l’anima è universale ed altruista. Le opere di Magnani sono un percorso millenario attraverso una rielaborazione artistica delle tradizioni che hanno cercato di avvicinare ed integrare la materia e lo spirito per arrivare a comprendere meglio l’uomo e il suo ruolo nell’universo.
Lo abbiamo incontrato per la prima volta nel dicembre del 2011 in occasione di una mostra antologica sull’arte italiana (150 anni di sperimentazione creativa) tenutasi all’Istituto Italiano di Cultura di Praga dove le sue opere sono state esposte accanto ai grandi nomi della storia dell’arte come: De Grada, Funi, Boetti, Annigoni e Modigliani.
Da questo incontro è nato un interesse per il discorso artistico sviluppato da Magnani al quale verrà dato spazio per una mostra personale che si terrà nella stessa prestigiosa sede nel mese di Aprile del 2013
MR: Cosa ti ha portato ad abbandonare la professione di fisico nucleare per dedicarti all’arte?
EM: Un insieme di motivi, ma quello principale è stato sicuramente il mio desiderio di ricerca, la mia natura curiosa. Bisogna dire che l’arte ha da sempre accompagnato la mia vita, arte vissuta non solo da spettatore, ma da creatore; colori e pennello mi hanno sempre accompagnato, ovunque andassi, ma non mi ci sono mai dedicato completamente, ho sempre tenuto i piedi su due barche, finchè ho potuto. Dopo molti anni passati a studiare la materia ho sentito di avere esaurito “il filone”, come un cercatore d’oro che scava nella sua miniera e che continua a scavare senza più riuscire ad estrarre una sola pepita: alla lunga è frustrante, senti che c’è qualcosa che non va. Ho cercato di essere molto onesto con me stesso ed ho capito che, anche nella più ottimistica delle ipotesi, tramite la fisica avrei potuto conoscere tutto su ciò che riguarda il mondo fisico in cui viviamo, ma non avrei mai potuto conoscere nulla su ciò che va oltre la materia. Questo è il punto, sono troppo curioso per fermarmi qui, curioso di tutto ciò che fa “un mondo”, anche delle parti meno dicibili, delle parti che facciamo fatica a scrutare, a sperimentare, ma che esistono non meno delle altre. L’arte ti offre la possibilità di conoscere le parti più sottili dell’essere umano, quelle che vanno oltre il corpo fisico; è una grande opportunità per conoscere l’anima, i sogni, i sentimenti, le paure, la tua natura e quella del genere umano… per non parlare di dio con la lettera minuscola o maiuscola, ma pur sempre qualcosa che trascende l’uomo e lo invita a migliorarsi. Insomma, ad un certo punto ho sentito che come fisico avrei trascurato tutta questa meravigliosa e misteriosa parte del nostro mondo ed è nata in me una forte urgenza di fare qualcosa, di dedicare tutte le mie energie, non solo una parte, ad una ricerca che comincia sì dalla materia, ma che va molto più lontano. Dopo tutto sono rimasto un ricercatore, il mio ruolo non è cambiato, anzi, si è espanso: prima studiavo solo la materia mentre ora mi sono affacciato su ciò che c’è oltre.
MR: Dalle tue creazioni si evince che per te esiste un profondo legame tra il mestiere di scienziato e quello di artista, un’unione che esprime perfettamente il concetto greco classico di τέχνη (téchne) e che nel tempo invece si è perduta. Come hai trovato questo punto d’unione tra scienza e arte nelle tue opere e cosa hanno in comune lo scienziato e l’artista secondo te?
EM: Artisti e scienziati hanno in comune la curiosità, cercare d’indagare l’ignoto e forse anche una certa filantropia, se sono puri di cuore. La buona scienza migliora la vita delle persone così come la buona arte. Purtroppo esistono anche cattiva scienza e cattiva arte, fatte entrambe con scopi che trascurano l’evoluzione e si fermano all’interesse personale meramente legato ai soldi e al potere. I soldi dovrebbero sempre essere una conseguenza, mai un motore. Se fai qualcosa che davvero ti piace i soldi di solito arrivano, ma se non arrivano sei contento ugualmente. Se invece decidi di intraprendere una carriera solo perchè fiuti odore di soldi, non penso che in cuor tuo sarai mai veramente felice e soddisfatto. Per quello che riguarda le mie opere, io cerco di esprimere e di comunicare concetti antichissimi, archetipici, che ritroviamo nell’uomo, nel mondo e nell’universo. L’unione tra scienza ed arte avviene naturalmente, è presente intorno a noi in ogni istante, basta solo esserne coscienti, ma i ritmi della vita quotidiana spesso ce lo impediscono così come una certa tendenza “moderna” nel volere classificare tutto: tagliare, sezionare, dividere, etichettare, catalogare… perdendo così di vista la bellezza del tutto, l’armonia che siamo e in cui viviamo. Quello che faccio con le mie opere è proprio creare dei catalizzatori per stimolare lo spettatore a risolvere la dualità materia-spirito e scienza-arte. Prendi ad esempio una conchiglia, se la tagli e osservi la sua sezione noti subito la perfezione matematica della sua spirale… si può addirittura scrivere un’equazione che descriva la sua curva, questo interessa di più al fisico o al matematico, ma come dicevo, basta guardarla per rendersi conto della meraviglia e della bellezza che contiene e la bellezza è arte, la meraviglia è arte. Molto del passato è andato perduto… per questo cerco di riscoprire le tradizioni più antiche e i loro messaggi, cerco di andare alla sorgente dove l’acqua è più pura e incontaminata.
MR: L’analisi delle tue opere rivela uno studio e una conoscenza profondi della Tradizione Occidentale e in parte di quella Orientale. Perchè hai attinto da queste per costruire la tua “poetica” artistica e in che modo ti servi di esse per veicolare il tuo impulso poietico?
Lo studio delle antiche tradizioni spirituali mi interessa da più di vent’anni. Col tempo ho capito che tutte le tradizioni più antiche, quelle legate alla sorgente pura e incontaminata di cui ho parlato, comunicano tutte lo stesso messaggio, tutte gli stessi principi. Quello che cambia sono le parole, a volte i segni. È facilissimo trovare dei parallelismi tra tutte le varie dottrine e mi stupisce che non se ne parli di più, questo eviterebbe molti casi di divisione, di controversie, di estremismo, ma dopo tutto l’estremismo nasce dall’ignoranza… per questo sto tentando di recuperare i simboli più primitivi, quelli più antichi, nati quando ancora non esisteva la scrittura, per mostrare come in tutte le culture si ritrovino segni uguali con uguale significato, per mostrare come gli archetipi siano all’interno dell’uomo, sia esso europeo, asiatico, africano o sud americano. Il principio maschile, ad esempio, è contenuto nel cerchio, quello femminile nella mezzaluna o nella coppa, l’espansione e la contrazione nella spirale… solo per citarne alcuni. Anche i colori sono altrettanti veicoli ancora più astratti che contengono forti significati. Il rosso, l’arancione e il giallo sono legati al fuoco, all’energia, al maschile, al sole… i bruni e i neri sono legati alla terra, la “madre terra”, al principio femminile che riceve il seme e genera la pianta: concetti molto semplici, forse troppo semplici, che questo mondo così complicato ci sta facendo dimenticare. Non mi sento un poeta o un artista nel senso creativo che spesso si attribuisce loro: io non invento nulla, non voglio comunicare un’idea soggettiva, personale, cerco solo di recuperare e di portare agli occhi del pubblico un linguaggio di una semplicità universale e senza tempo, ricca di contenuti utilissimi per comprendere meglio l’uomo e il suo ruolo nell’universo.
MR: Volendo potremmo sostituire il termine “Tradizione” con quello di “Esoterismo” e quindi la domanda è se sei uno studioso di Scienze Esoteriche e di cosa in particolare.
EM: Esoterismo è una parola mal percepita dalle persone che non se ne occupano, spesso mi è capitato di sentire che “l’uomo della strada” vede un’accezione negativa in questa parola, non so da dove nasca, ma è così. Esoterico vuol dire semplicemente “nascosto” o “segreto”. Tutte le tradizioni spirituali hanno un sapere nascosto, segreto, riservato a pochi e un sapere “exoterico” ovvero riservato al grande pubblico; nel cristianesimo, nell’islamismo, nel buddismo… anche nelle tribu africane quello che sa lo sciamano non è dato sapere al pastore. Comunque tutte le grandi tradizioni spirituali hanno invitato l’uomo a migliorarsi, non guardare se poi sono state corrotte dalla cupidigia e dalla sete di potere, in origine erano pure. Io mi occupo di evoluzione, raccolgo principi universali di evoluzione che recupero dalle tradizioni spirituali e cerco di comunicarli al pubblico. Difficile dire se siano esoterici o exoterici… dopo tutto molte verità esoteriche sono scolpite sulle facciate delle più grandi cattedrali europee, sono sotto gli occhi di tutti, ma la gente ha voglia di fermarsi a meditarci sopra o ha piuttosto voglia di correre al ristorante? Nella Bibbia si dice “cercate e troverete”, ma le persone hanno davvero voglia di cercare? Per questo molte verità rimangono esoteriche, perché non interessano. L’arte è un veicolo potente e se usato bene può fare qualcosa per l’uomo, ma anche i quadri, come le grandi cattedrali hanno bisogno di tempo per essere assorbiti dallo spettatore. Se un’opera non è stata fatta per caso, se ha un contenuto e un fine, allora bisogna darle il tempo di parlare alla nostra mente e al nostro cuore e lo spettatore deve prendersi il tempo di farlo.
MR: I tuoi soggetti sono quasi sempre archetipi e simboli che si ritrovano in rappresentazioni artistiche dell’antico Egitto, della Grecia, nelle dottrine e nelle religioni di Oriente e Occidente, fino ad arrivare alle scuole antroposofiche e teosofiche moderne. Tuttavia mi sembra di capire che, non sempre, ma spesso l’accezione che tu ne dai (il simbolo lo permette proprio per la sua natura) è un’accezione per molti aspetti personale. È come se li estrapolassi dal loro contesto originario e li combinassi tra loro in un gioco artistico tutto tuo. È così?
EM: È vero, i simboli appartengono a tante culture differenti, questa è proprio la bellezza di questi simboli: la loro universalità, la loro atemporalità. Una croce, un cerchio, una luna erano scolpite nella pietra delle grotte primitive così come si ritrovano nelle antiche opere orientali o africane fino ai testi di alchimia del 1600. I simboli non sono invenzioni di Enrico Magnani così come, sorprendentemente, non lo è nemmeno il modo in cui essi contribuiscono a creare l’opera. In realtà le combinazioni di simboli che si ritrovano in alcune delle mie opere hanno un preciso significato e per nulla soggettivo. Questa loro disposizione è soggetta ad un principio tanto elementare quanto potente: “ciò che sta sopra domina ciò che sta sotto”. Con questa chiave di lettura si possono interpretare molte delle mie opere, ma i simboli, così come la loro posizione, producono un effetto anche senza l’aiuto di una vera comprensione intellettuale.
MR: In molte delle tue opere c’è un uso particolare dei colori, un uso che a un occhio attento non risulta mai casuale neanche lì dove invece potrebbe apparire diversamente. Ho visto che usi molto tre colori che rivestono un significato importante nell’Alchimia Occidentale e cioè: il rosso, il nero e l’oro e, più in generale, mi sembra che ti ispiri molto al tetracromatismo greco che usava il rosso, il giallo, il bianco e il nero come colori cardine. Da cosa nasce la scelta dei colori nelle tue creazioni e che ruolo riveste il colore all’interno dell’opera?
Il colore come le geometrie e i simboli non sono mai casuali, mi impegno perchè non lo siano e a volte rinuncio a qualche bell’effetto cromatico per rimanere fedele a un significato, a un contenuto. Il tetracromatismo greco non è cercato, ma questa è ancora un’ulteriore prova di quello che sto cercando di dire sia con le mie opere che con quest’intervista, ovvero che basta apprendere i principi di una tradizione spirituale e farli propri per capire cosa le altre tradizioni vogliano comunicarci. La sorgente è unica, poi è stata divisa dai popoli, dalla vita, dagli eventi dell’umanità, forse divisa anche per renderla più facilmente accessibile alle diverse razze, ai diversi modi di approcciarsi alla realtà. Ad esempio, nella tradizione alchemica il nero rappresenta la Nigredo, quella fase oscura di introspezione che tutti gli uomini dovrebbero attraversare se vogliono crescere e migliorarsi, il bianco è l’albedo una fase di estrema purezza e fragilità che deve essere resa più concreta nella fase rossa, la rubedo, per arrivare finalmente all’oro alchemico, alla pietra filosofale. Questa tetrade di colori dunque ritorna e suggerisce nuove ricerche per confermare che l’alchimia non è nata in Germania nel 1600, ma molto prima, probabilmente in terra d’Egitto poi approdata in Grecia e migrata nel nord Europa… ma possiamo vedere ancora il nero come terra-femmina e il rosso come fuoco-maschio, il bianco come simbolo di purezza e l’oro-giallo come distillato di perfezione… si dice che ogni simbolo abbia almeno sette significati… è molto probabile, sta a noi comprenderli, ma rimango dell’idea che tutti questi discorsi intellettuali servono solo per accontentare il cervello, l’anima sa molto di più e ha bisogno di molto meno.
MR: Anche la polarità e la dualità sono elementi molto presenti nei tuoi quadri; è come se il tuo sforzo artistico tendesse proprio a risolvere questa opposizione archetipica tra i contrari che, nei tuoi quadri, assumono di volta in volta una forma peculiare, mantenendo però la loro sostanziale opposizione. È possibile leggere la tua opera in questa chiave?
EM: Certamente, questo è il modo di leggere molte delle mie opere, forse tutte. Direi che la dualità è sempre presente. Non solo quando, in maniera più evidente, in opere meno recenti, si manifestava come una scacchiera, usata da sempre come simbolo di vita terrena, ma anche nell’opposizione dei cromatismi: il freddo nero e il caldo rosso, ad esempio. Ma c’è di più: io lavoro molto con i materiali e credo nella loro importanza per legarci alla terra, a ciò che è fisico, per ricordarci questo lato materico che è il nostro corpo e come la materia rievoca il corpo, così i simboli e le geometrie sacre ci ricordano la purezza e la perfezione a cui tendere, ci ricordano l’assoluto, il mondo delle idee tanto caro a Platone. Materia e spirito. Dualità anche tra caso e ordine, tra perfetto e imperfetto… opposti che coesistono… la casualità con cui le sabbie e le pietre sono disposte sulla tela contrasta con la precisione di un triangolo o di una sfera… tutto è duale, estremo, ma tutto coesiste. La dualità è importante, ma va trascesa: è come una scala che brucia da sotto: mano a mano che saliamo, i vecchi gradini non ci servono più e nemmeno ci sono più. La dualità ci serve per cogliere il mondo in cui viviamo, non ci sarebbe luce senza buio o bene senza male, così come non può esistere una montagna senza la valle, ma una volta capito il concetto la dualità si può risolvere, si può trascendere, andare oltre, come tanti grandi mistici ci hanno insegnato a fare.
MR: Allora se è così tu non fai altro che riportare analogicamente sull’ “Athanor” della tua tela, o sui materiali che di volta in volti usi, l’“Opus alchemicum” nella sua funzione specifica di riunire le polarità trasformando la materia; possiamo dire così (senza paura di esagerare)?
EM: Certo, per chi conosce bene l’alchimia questo è un modo per sintetizzare molte cose, ma il mio discorso artistico si rivolge a un grande pubblico e coinvolge molti popoli e tradizioni come il taoismo, la grecia antica, l’africa nera… preferisco quindi rimanere il più generico possibile e dire semplicemente che le mie opere sono catalizzatori per stimolare un certo dialogo interiore, per risvegliare certe parti assopite e semplicemente per interrogarsi su noi stessi e sul nostro ruolo nell’universo. Se lo spettatore, il fruitore dell’opera, dedicherà un po’ del suo tempo meditando su questi principi sarà già in cammino per la grande opera alchemica o l’illuminazione buddihsta o il paradiso cristiano.
MR: Questa unione di filosofia, religione, alchimia e psicologia mi suggeriscono una concezione olistica dell’arte, e cioè una visione di questa in relazione a tutti gli altri campi dello scibile umano e non solo alla scienza. Nella tua ricerca miri forse ad avvicinarti al concetto di “Arte oggettiva” così come viene intesa da pensatori quali Ouspensky?
EM: Questa dell’arte oggettiva è davvero un bel complimento! Anche il solo pensarlo. È importante che qualcuno se ne accorga. Io cerco di fare arte oggettiva, arte che ha un significato, un fine, una ragione di essere non solo per me, ma per un vasto pubblico. Purtroppo l’oggettività nell’arte fa paura perchè se esistesse un’oggettività di valori e di contenuti la maggior parte delle opere non potrebbe rientrarvi e quindi non potrebbe essere venduta. Moltissimi artisti sono fieri di affermare che la loro opera è dettata dall’istinto, che non ha un fine ben preciso se non quello di esprimersi liberamente. Non ho nulla in contrario, ma questo tipo di arte è davvero un’avventura personale ed egoistica. Non la possiamo più paragonare alla ricerca scientifica, filosofica o spirituale, non può più essere un mezzo di evoluzione umana adoperabile dai molti. Questo tipo di arte può solo servire a curare gli eccessi di energia creativa dell’artista o le sue nevrosi e spesso anche i portafogli dei galleristi compiacenti, ma non dovrebbe essere accolta dal grande pubblico come una rivelazione, allo stesso modo in cui non è una rivelazione il messaggio televisivo. Mi sembra che questa arte estremamente soggettiva non sia molto lontana e diversa dai contenuti televisivi che hanno come solo merito quello di impressionare per qualche istante lo spettatore e catturarne l’attenzione per vendere un prodotto. Molti artisti non hanno un progetto, pensano che l’arte sia per definizione la libertà totale, che tutto sia autorizzato e questo fa anche comodo al mercato perchè meno c’è da capire e più pubblico può accedere a un determinato concetto e quindi maggiore è il numero dei potenziali clienti. Io penso invece che l’arte sia uno strumento di evoluzione come la scienza, la spiritualittà e se lo si fa con questo proposito non ci si può inventare artisti dall’oggi al domani e rovesciare sul pubblico tutti i gusti, le gioie e le nevrosi personali del momento.
MR: In cosa ritieni le tue opere essere “originali” rispetto a quelle di molti altri artisti contemporanei?
EM: Se escludiamo tutti gli artisti che improvvisano sullo stato d’animo del momento e consideriamo solo coloro che invece hanno un ben preciso progetto artistico, direi che la cosa che più mi caratterizza e mi distingue è il non essere un reporter. Reporter nel senso che la maggior parte degli artisti contemporanei o usa mezzi espressivi contemporanei o ritrae soggetti contemporanei o critica o enfatizza elementi della società contemporanea. Riporta uno stato attuale di cose e anche se non si tratta di vere e proprie fotografie sono sempre fotografie di una società in un determinato momento. Basta visitare le fiere d’arte contemporanea o le tante gallerie virtuali su internet per capire quello che voglio dire. Prima del mio passaggio all’arte astratta anche io mi consideravo un reporter. Il mio obiettivo, quando facevo arte figurativa, era quello di amplificare per scioccare. Volevo colpire lo spettatore amplificando i difetti di questa società, che di difetti ne ha tanti, a mio giudizio, ma il punto forte era che nell’indicare il negativo non suggerivo un’alternativa positiva. È relativamente facile puntare il dito sulle cose che non vanno, ma è molto più difficile dire cosa dobbiamo fare. Per questo ho smesso di esporre nelle gallerie e in generale di mostrare le mie opere al pubblico; è stato un gesto di coerenza con me stesso e con il pubblico. Non potevo promuovere un discorso che non aveva una soluzione. Poi sono passato all’arte astratta come una naturale evoluzione e mi sono accorto che la chiave stava proprio in questi messaggi contenuti nelle mie opere e legati alle antiche tradizioni spirituali, questi erano una soluzione, forse non la sola e unica, ma un rimedio ai tanti mali del mondo, perchè quando l’uomo comincia a mettersi in discussione e cerca di migliorarsi, automaticamente la società stessa migliora, perchè è chiaro che siamo una grande unità formata da tanti piccoli individui. Per tornare al concetto di artista reporter mi sento di dire che ora non faccio più parte di loro, di questi artisti “contemporanei”; io sono piuttosto un artista antico, preistorico e se mi consenti il gioco di parole, in via di estinzione; un artista che guarda al passato remoto per fornire uno strumento in più per migliorare il nostro futuro.
Abstract
Enrico Magnani is an artist, with a past in nuclear physics that today is working and living among Italy, France, and Germany. His first exhibition opened November 1997 in Milan. Until 2006 he worked as figurative painter and after a transition period he has become an exclusively abstract painter. His original artworks have brought him in few years to international attention and been presented in museums, foundations, private galleries, and public institutions in Italy, Austria, France, Germany, Czech Republic, Denmark, Belgium, and the USA.
Researcher in the wider context, Enrico Magnani was not satisfied to explore the secrets of matter through scientific research, but he tried to go further, moving, through the soul of the art and the simbols of the spirit, towards the unspeakable.
As Guido Folco, art historian and his artistic curator, says: “Drawing on from the most ancient eastern and western spiritual traditions, Enrico Magnani, with his artworks, shows the human inner contrast between body and soul, matter and spirit, the sacred and the profane. The imperfect world of matter and the perfect world of ideas coexist inside the human being. The “I” is body and egoism while the “soul” is universal and altruistic. Magnani’s atworks are a thousand year path through an artistic reworking of those traditions that tried to integrate matter and spirit, in order to better understand the human being and his role inside the universe.”
We have met him for the first time in December 2011 in the occasion of an antological exhibition of Italian artists (150 anni di sperimentazione creativa) which took place at Istituto Italiano di Cultura of Prague, where his artworks were exhibited together with big names of art history such as De Grada, Funi, Boetti, Annigoni, and Modigliani.
From this meeting an interest was born for Magnani’s artistic expression and place will be given to him, in the same prestigious location, for a solo exhibition in April next year.
http://www.enricomagnani-art.com/