Sebbene l’impero britannico avesse raggiunto la sua massima estensione territoriale all’inizio degli anni Venti, la Prima Guerra Mondiale fu devastante per l’isola. A Londra venne dunque decisa una riduzione degli armamenti per contenere i costi, cosa che si rivelò fatale durante il simultaneo, illegale e progressivo riarmo tedesco. Fu solo nel 1935, quando la strategia totalitaria di Adolf Hitler divenne sempre più palese, che il Primo Ministro conservatore Stanley Baldwin iniziò una tardiva operazione di riarmo. L’aristocrazia britannica, inclusa parte della famiglia reale, era filotedesca e antifrancese, totalmente immersa nella scellerata politica dell’appeasement del governo di Londra. Tuttavia, l’apparato militare britannico non godeva di buona salute da anni: fu proprio questa una delle ragioni principali della politica filo-Germania di Neville Chamberlain e Edward Wood – Lord Halifax – così come della quasi interezza del Partito Conservatore, ad eccezione grossomodo di Winston Churchill ed Anthony Eden, che non si erano fatti sedurre dalle promesse di Hitler.
Lo stesso Eden – Ministro degli Esteri dal 1935 al 1938, poi sostituito da Halifax, quindi re-insediato nel dicembre 1940 sotto Churchill – era stato favorevole ad una soluzione che consentisse ai nazisti sì di rioccupare la Rhineland, ma a patto di porre limitazioni alle forze tedesche del cielo. Il risultato fu che Hitler invase la regione e rafforzò la Luftwaffe. Nel 1938 inoltre, l’intervento del Reich in Cecoslovacchia non ebbe particolari reazioni internazionali visto che Chamberlain e Halifax ritennero che fosse ancora troppo presto per sfidare militarmente Hitler; la RAF non era ancora pronta allo scontro con i bombardieri tedeschi. A furia di procrastinare, nel tardo 1938, Londra aveva deciso di non raggiungere Parigi in un confronto armato con Berlino, dal momento che il Reich aveva già sorpassato la potenza militare britannica. La Germania batté tutti sul tempo: e fu l’invasione in Polonia nel settembre 1939. Nell’estate 1940 Londra era rimasta sola: mai come allora il Regno di sua Maestà aveva desiderato essere un’isola, visto che i tedeschi avevano sottomesso in poche settimane anche l’orgogliosissima République. Spolpata l’Europa centrale, la politica del Lebensraum nazista doveva necessariamente rivolgersi ad Ovest.
Sono passati ottant’anni dalla battaglia d’Inghilterra, scandita al ritmo dell’operazione Seelöwe, con la quale il Reich avrebbe conquistato anche l’ultimo stato dell’Europa occidentale, l’ultimo impero. A differenza della crociata antisovietica dell’anno dopo, allora Hitler non fece il passo più lungo della gamba: l’Inghilterra era sola, impoverita e non lontana dalle coste francesi; “ragionevolmente” era un target del Führer. E così fu: l’attacco tedesco del luglio 1940 doveva “spezzare le reni” dei Brits; in ottica hitleriana, un’ottima occasione per dimostrare al mondo la potenza degli aerei tedeschi nei cieli, dopo aver mostrato quella della Wermacht su terra. Il popolo inglese resistette: e furono loro ad assestare la prima sconfitta al Terzo Reich. Sebbene le perdite umane furono nelle decine di migliaia in entrambi i fronti, la Royal Air Force aveva il vantaggio di giocare in casa; la Manica complicò la situazione per i tedeschi.
Sebbene anche i danni infrastrutturali che la Luftwaffe inflisse ai britannici furono notevoli – ponti, strade, fabbriche, ferrovie e pure Buckingham Palace riportarono danni – nell’attacco all’Inghilterra, gli inglesi riuscivano a sfornare più aerei di quanti che la Germania riuscisse ad abbatterne: la cosa fece infuriare Hitler; costretto alla ritirata e al ripensamento delle prossime mosse. Il capo della Luftwaffe Hermann Göring – che nella Prima Guerra Mondiale aveva ottenuto ventidue vittorie nei cieli d’Europa – pensava che distruggendo Londra lo spirito degli odiati inglesi si sarebbe spezzato. Quando il Blitz nazista si abbatté sull’Inghilterra, l’ambasciatore americano in Regno Unito, Joseph Kennedy disse di scommettere cinque a uno che Hitler si sarebbe insediato nel palazzo di Giorgio VI in due settimane. Quando divenne Primo Ministro, nella primavera-estate del 1940, Churchill aveva ricevuto da Hitler la proposta di una pace con la Germania nazista, ma il vecchio leone britannico resistette. Cosa che irritò il Cancelliere: il numero uno di Downing Street doveva essere catturato dalle forze armate tedesche una volta stabilizzata la situazione nei cieli inglesi.
Churchill, dal canto suo, sapeva che nella battaglia d’Inghilterra – il suo primo test da Primo Ministro – si giocava il tutto e per tutto. Il collasso della Francia obbligò tutto il mondo libero a schierarsi automaticamente con Churchill; così avevano fatto pure i laburisti di Clement Attlee. Il suo precedente mirabile «Fight them on the beaches» recitato a Westminster voleva essere un omaggio all’amico ed ex leader francese Georges Clemenceau, il quale nel 1918 disse: «I will fight in front of Paris; I will fight in Paris; I will fight behind Paris». Durante i bombardamenti dell’operazione Seelöwe Churchill non si nascose: mentre Londra era sotto assedio, rimase diligentemente a lavorare a Downing Street; di notte non rinunciava alle passeggiate a St. James’ Park. Il Primo Ministro voleva condividere il rischio con gli abitanti della capitale: fu così che iniziò a diventare progressivamente un simbolo di resistenza nazionale. Inoltre, andava personalmente nei quartieri di Londra a vedere i danneggiamenti provocati dagli scontri aerei. «Mai nel campo degli umani conflitti tanti dovettero così tanto a così pochi», avrebbe detto in occasione della drammatica incursione tedesca del 29 dicembre 1940, quando morirono tremila civili.
Amedeo Gasparini