Il MuMo ha sede davanti all’Ambasciata della Repubblica Italia, al tempo stesso porta un nome italiano che in Italia è molto noto grazie al giornalista Indro Montanelli. Cosa ci può dire in merito?
Sono d’accordo con lei. Sono legata al nome di Montanelli a livello familiare. Si tratta della famiglia della madre di mio marito.
Lei lavora molto anche in Germania. Come paragonerebbe la situazione ceca a quella tedesca per quanto riguarda il livello della qualità dei progetti artistici e, soprattutto, del sostegno pubblico?
Per quel che concerne il sostegno pubblico dell’arte in Germania la situazione è naturalmente del tutto diversa. Le aziende, i privati ma anche le banche e le istituzioni accettano il termine da noi così spesso sotto attacco di “società civile”, e concorrono a creare interi campi culturali, soprattutto nelle regioni dove operano.
Come si riflette sull’attività del museo la sua località? La via Nerudova è una strada bellissima molto frequentata dai turisti, e, per questo, si è trasformata in una questione soprattutto commerciale per i negozi con le marionette e i ristoranti. Come si posiziona in uno spazio del genere un museo privato?
Per il nostro museo è un vantaggio avere la sede in questa zona, ma è anche una sfida. Qui esiste una specie di oasi culturale, sia per i turisti che per i praghesi che possono riposarsi un attimo e, al tempo stesso, possono rendersi conto che esistono anche vetrine con un contenuto e prospettive diversi rispetto ai prodotti commerciali economici.
Negli ultimi anni sentiamo spesso dire dai politici che la cultura e l’arte devono guadagnarsi da vivere come ogni altro settore. Voi siete un’importante istituzione culturale privata. Come vi ponete di fronte a queste posizioni?
Purtroppo è così, la cultura e l’arte devono guadagnarsi da vivere. Così era nella nostra storia passata, ed è così anche oggi, e sarà così anche in futuro.
Come influiscono sulla vostra attività gli ingenti tagli delle spese pubbliche nel settore culturale?
È molto semplice. Non influiscono affatto. E questo perché non abbiamo mai ricevuto importi maggiori da nessuno.
Quali sono gli obiettivi di lungo termine del MuMo? Ha qualche sogno che vorrebbe veder realizzato?
I sogni sono un segreto e la realtà è tale per cui, nonostante tutte le crisi, saremmo lieti di mantenere lo standard che abbiamo nel campo culturale.
Ad eccezione dell’artista Wolfi di art brut non si sente molto parlare a Praga. Come è arrivata a questa forma di arte e come si pone di fronte ai critici che la ritengono piuttosto un lavoro artigianale/terapeutico?
Ho conosciuto l’ottima curatrice e conoscitrice di “art brut” in Repubblica Ceca Terezie Zemánková che mi ha presentato altri collezionisti oppure proprietari di collezioni di “art brut” in Europa. Ci siamo messe d’accordo che varrebbe la pena mostrare queste opere nel nostro museo almeno una volta all’anno per alcuni anni. Per quanto riguarda i critici di cui lei parla, anch’io sostengo un’opinione critica perché oggi è naturale che l'”art brut” è parte indivisibile dell’arte dato che offre una chiave di percezione del mondo che è sparita insieme all’accettazione dell’arte universale.
Attualmente state esponendo le opere dell’art brut giapponese. La cultura giapponese si differenzia profondamente da quella europea. Quali fondamenta comuni hanno l’art brut europeo e quello giapponese e cosa invece li differenzia?
In Giappone l'”art brut” per il momento è qualcosa di ancora poco comprensibile. (Dobbiamo renderci conto che l’idea dell’arte in generale è arrivata in Giappone soltanto nel 1872 quando venne tradotta con l’espressione bidzucu – la tecnica oppure la magia della bellezza). La percezione giapponese della bellezza si differenziava in modo significativo da quella europea. Con il loro liguaggio estetico le opere degli artisti giapponesi fanno davvero riferimento alle ricche radici della cultura giapponese e appaiono diverse dalle opere di altri artisti “brut”. D’altra parte come per ogni artista, l'”art brut” supera ogni confine, produce opere che sono al di là della comune norma artistica, spesso sono legate a esperienze personali e emozioni represse.
Quali opere e quale artista via ha colpito di più e perché?
Per me personalmente non è del tutto semplice avvicinarmi a questi artisti e comprenderli, probabilmente mi hanno colpito soprattutto Chiyuki Sakagami e Takashi Shuji.
In che modo la diffusione dell’art brut contribuisce ad una nuova consapevolezza delle malattie mentali? Si tratta di un modo grazie al quale pensare diversamente su cosa è e cosa non è normale?
Naturalmente è di aiuto, ma soprattutto ad ognuno di questi artisti, grazie alla forza dell’immaginazione liberata, nonostante i mezzi limitati, viene consentito di sviluppare i propri sogni e i propri desideri. Ognuno di noi sa dentro di sé cosa è e cosa non è normale, anche se poi abbiamo spesso tutti dei dubbi. Non spetta a noi giudicare chi è ancora normale e chi non lo è più – è una questione per gli specialisti. D’altra parte conosciamo molte persone in posizioni di comando in tutto il mondo di cui conosciamo le anormalità e le disfunzioni narcisistiche delle loro personalità e noi rimaniamo in silenzio di fronte a tutto questo. Quando qualcuno finisce in una clinica psichiatrica perché una di queste persone narcisistiche ha ammazzato la loro famiglia, allora quest’ultimo è più normale della persona che lo ha subito. È sicuramente “più normale” di colui al quale ha causato questo trauma. La vita è assurda.
Dalì dichiarò che l’unica differenza tra lui e un pazzo è che lui non è pazzo. Questo motto non potrebbe diventare il manifesto dell’art brut?
Come manifesto dell'”art brut”, come dice lei, mi viene in mente una sola frase – Miglioriamo tutti la nostra tolleranza.