Alberto Giacometti (1901-1966) e il suo universo di donne e uomini scarnificati e sofferenti sono in mostra alla Galleria Nazionale di Praga fino all’1 dicembre.
La retrospettiva, realizzata in collaborazione con la Fondazione Giacometti di Parigi, è stata curata da Julia Tatiana Bailey (Galleria Nazionale), Serena Bucalo-Mussely (Fondazione Giacometti) e dalla Direttrice della Fondazione, Catherine Granier.
In nove sezioni, con 170 opere fra sculture, dipinti ed opere grafiche, viene ripercorso il percorso artistico dell’artista svizzero dal periodo post-cubista e surrealista alla maturità, riunendo opere mai esposte accanto a pezzi ‘iconici’ della produzione del Maestro.
Da molti definito lo scultore della solitudine, visionario e solitario, Giacometti era il figlio maggiore del pittore neoimpressionista Giovanni. Cresciuto nello studio di suo padre a Stampa, nella Svizzera italiana, è stato iniziato molto presto nelle arti visive, mostrando, in pittura uno stile divisionista vicino all’esperienza paterna. Suoi modelli i genitori, i fratelli Diego e Bruno e sua sorella Ottilia.
All’età di diciotto anni è già alla scuola di Émile-Antoine Bourdelle a Parigi, la celebre Académie de la Grande Chaumière.
Il giovane artista osserva criticamente l’arte del passato e per opposizione cerca un nuovo approccio alla forma e alla materia. Rompe con la tradizione della scultura dal XVI al XIX secolo e propone un’arte radicale e primitiva. Aderisce al movimento surrealista realizzando opere oniriche ed esistenzialiste che indagano la profondità dell’anima.
Nel 1930, già diventato uno dei più importanti artisti dei suo tempo, prende le distanze dal movimento surrealista e, non soddisfatto dalla dimensione immaginifica, torna a lavorare sul ‘modello’ dal vero. L’ossessione di una vita! Lo scopo non è quello di rappresentare una persona….ma di ‘vederla’!
Con infaticabile impegno scolpisce, disegna, dipinge. Per diversi anni si concentra, in modo quasi ossessivo sui volti. Primi modelli suo fratello Diego, la modella professionista Rita Gueyfier e l’artista sua amica Isabel Delmer. In pittura, realizza le teste della serie “dipinti neri”, riducendo la sua scala cromatica il toni del grigio e del nero e dal monocromatico i volti emergono come presenze spettrali.
In scultura il suo lavoro procede per sottrazione: lavorando con la creta in preparazione alla fusione in bronzo, toglie la muscolatura alle sue figure, scarnificandole. Inizia la realizzazione di un universo di uomini, e soprattutto di donne, filiformi e sofferenti. Così lo stesso autore dichiara: “Ho giurato che non avrei più lasciato che le mie statue si riducessero anche di un pollice. Ecco cosa è successo: ho mantenuto l’altezza, ma è diventata magra, magra … Molto alta e sottile”.
Figure femminili rappresentate tutto nello stesso modo, nude, in piedi, le braccia tese lungo il corpo, il viso impassibile, divinizzato da un massiccio piedistallo nel quale sono radicate. Grazie a queste pose seriali, ripetitive,
Giacometti costruisce un mondo collettivo ripreso nell’atto del procedere quotidiano, un quotidiano che ha vissuto l’esperienza devastante della Seconda Guerra Mondiale, e in questa serialità è l’universo, lucidamente doloroso, del Maestro!
Marisa Milella