CB. Nella “Lettera all’editore” che fa da prefazione al tuo romanzo breve La lucina (Mondadori, 2013), dici che questo libro: “È una storia scaturita da una zona molto
AM. Io ho avuto subito l’impressione che fosse un libro con queste caratteristiche, ma anche altri libri hanno avuto aspetti così intimi e testamentari. Però credo che questo libro, con quest’abbraccio così estremo e intimo tra questi due personaggi così vicini e così lontani, conservi ancora questa natura. Una cosa strana è che di questo libro non ricordo niente di quando l’ho scritto. Di tanti libri ricordo in quei giorni cosa facevo, di questo libro non ricordo niente. Ciò vuol dire che c’è stato un passaggio così segreto anche per me. Dunque io continuerei a tenere questa affermazione.
CB. Sempre nella “Lettera all’editore” hai scritto che La lucina è nata da uno spunto di poche righe annotate negli appunti durante la stesura degli Increati, e perciò l’hai definita: “Una piccola luna che si è staccata dalla massa ancora in fusione degli Increati”. Quale è il rapporto tra queste due opere, e come mai hai sentito l’esigenza di dare alla fine, alla Lucina, una vita propria?
AM. La Lucina è nata dall’osservazione di questa lucina che vedevo dall’altra parte del crinale, un posto in cui andavo a isolarmi. Parte da una frase che avevo messo negli appunti di preparazione per Gli Increati, un’immagine di visione di bambini morti che uscivano di notte da una scuola serale. Siccome erano morti non trovavano nessuno ad aspettarli e si incamminavano, ciascuno da solo. Non so se si trattasse di un sogno o forse un’immagine nata nella veglia. Pensavo che quest’idea sarebbe finita negli Increati nell’arco di mezza pagina, invece evidentemente non mi è più uscita di mente e si è legata con quell’altra mia immaginazione della luce che vedevo di fronte. A mia insaputa queste due cose hanno incominciato a lavorare tra di loro e a un certo punto ho capito che non era una piccola cosa che facevo fuori nella fornace dell’altro libro, e ha chiesto vita propria, non c’è stato verso. Per questo ho utilizzato le espressioni di piccole lune, piccoli meteoriti, perché sono proprio queste cose qui. E hanno avuto vita propria perché me lo hanno imposto loro.
AM. Credo anch’io che la luce e l’ombra attraversino tutto il mio lavoro. Ho fatto anche nel teatro un’opera che si intitola Merda e Luce e forse i due personaggi principali, se vogliamo chiamarli così, di tutta la mia opera sono proprio l’ombra e la luce. Io ho riflettuto molto su questa cosa della luce e molto ci ritorno anche negli Esordi. Ci sono anche in Canti del Caos dei pezzi in cui ogni frase si chiude con la parola “luce” ecc. Per dirla in breve, io non credo a questa idea, su cui è nato il nostro immaginario e la nostra civiltà, della separazione della luce e dell’ombra che trova la sua espressione nelle prime righe della Bibbia “Dio separò la luce dalle tenebre che aleggiavano sull’abisso…”. Non credo si possa separare la luce dalle tenebre così come credo che non si possano separare tante cose che la nostra cultura ha separato: l’essere e il non essere, l’essere e il divenire, il bene e il male, la vita e la morte… Nei miei libri non accetto questa separazione. A me interessa anche il momento dell’inseparato o il momento che precede questa presunta astratta separazione. Ne La Lucina è chiarissima questa cosa qui: la presenza del grande buio permette di vedere quella luce piccolissima. Se il protagonista fosse stato in una zona più illuminata, non solo da un punto di vista esteriore ma anche interiore, non avrebbe potuto vedere, seguire e andare a cercare l’origine di questa piccola luce. Non lo so con quali altre parole posso esprimere questa cosa. Per me questa non è una metafora, per me questa è l’essenza stessa di cui è fatto il mondo.
CB: La lucina inizia con la frase: “Sono venuto qui per sparire” e si chiude con la domanda: “Dove andiamo“ a cui segue la risposta: “Non lo so“. Anche in questo
AM. I miei libri hanno spesso la caratteristica del cammino di conoscenza che si svolge attraverso una realtà che ha carattere spesso di apparizione, con un elemento inesplicabile come quello delle apparizioni. Noi ci muoviamo attraverso apparizioni, poi dopo abbiamo sistemato nella nostra mente in modo più rassicurante una serie di cose. Gli uomini, la nostra specie, da quando si è alzata su due zampe e ha cominciato a camminare, ha colonizzato il mondo camminando per migliaia di anni. Per generazioni e generazioni le persone hanno vissuto camminando, spostandosi dall’Africa all’Asia, poi sono tornate in Europa, alcuni hanno attraversato lo Stretto di Bering, alcuni sono andati nelle Americhe ecc. Questa esperienza è impressa nel nostro DNA e nella nostra mente in maniera profonda. Gli uomini per migliaia e migliaia di anni, e anche molto di più, hanno conosciuto un mondo che non avevano mai visto prima e che quindi per loro era un’apparizione continua e ininterrotta e si sono mossi tra apparizioni. Io credo che quando noi ripetiamo il gesto di un cammino, soprattutto di un lungo cammino -perché se cammini un giorno o due o tre magari non ti stacchi profondamente dalla dimensione della vita che tu conosci- se cammini per un lungo periodo forse in qualche modo ti ricongiungi a quella parte di te stesso che è in qualche punto profondo della tua mente e del tuo DNA e che è la natura stessa del nostro essere uomini. Anche nei miei libri i personaggi a volte camminano, vagano. La nostra civiltà nasce da una separazione traumatica tra il nomade e il sedentario e quindi la categoria del nomadismo è stata criminalizzata. C’è stato uno scontro di civiltà durissimo tra queste due componenti e da quel momento lì il nomade rappresenta una libertà, un periglio e un rischio anteriore da cui gli uomini si sono separati e quindi ne hanno il terrore. Probabilmente questo ha determinato questo odio quando riappare nella vita la figura del nomade. Ecco, a me interessa rimettere in movimento queste cose, anche dentro me stesso, perché può essere che il nostro mondo futuro, anche per cause di emergenze climatiche, conoscerà di nuovo un grande nomadismo. Quindi si sta riaffacciando quest’antico specchio di quest’antica separazione con cui noi dovremo fare i conti. A me è venuto naturale rimettermi su quella strada lì sia come uomo che come scrittore.
AM. La Lucina è forse l’unico mio libro in cui in modo sistematico si affronta quella cosa che noi chiamiamo “natura”, anche qui attraverso una divisione perché anche noi siamo natura. Invece la nostra lingua ci fa pensare che noi siamo qualcosa di separato dalla natura – qualcosa che ci circonda, lo scenario della nostra vita. Invece noi siamo parte integrante della natura, questa separazione non esiste. La Lucina è l’unico libro ambientato in un ambiente non metropolitano e nasce da un’esperienza di vita di osservazione in un luogo che mi ha permesso di essere più vicino a queste cose qua, di giorno e di notte. Per dirla in breve c’è un doppio binario: c’è chi vede la natura come minacciosa, qualcosa da cui noi abbiamo dovuto separarci violentemente quasi diventando qualcosa di astrattamente separato, cosa che non è, e l’altro quello di santificare la natura facendola diventare la fonte di ogni bene e di ogni cosa e non è affatto così. La natura che io descrivo in questo piccolo romanzo è anche violenta. Il protagonista si separa dalla civiltà degli uomini e si avvicina alla cosiddetta natura, ma poi ritrova nella cosiddetta natura gli stessi elementi che l’avevano inorridito nella vita. Fin dalle prime pagine c’è la scena della rondine che inghiotte in volo un grosso insetto, un bombo. Lì ci sono due atteggiamenti: c’è l’atteggiamento di chi si identifica nella vittima che è quello leopardiano, e l’atteggiamento di chi si identifica solo col forte e con l’aggressore che è quello nietzschiano. In me sento entrambe queste cose. Nella scena della rondine che inghiotte il bombo io descrivo l’orrore dello scricchiolare del corpo del bombo nel corpo della rondine, ma descrivo anche l’ebrezza della rondine che si alza in volo. Purtroppo se noi vediamo solo una di queste due cose facciamo una scorporazione astratta di comodo che invece sono abbracciate. Quindi io non la vedo come una madre benigna, ma vedo al suo interno un movimento, una lotta in cui esistono gli opposti.
CB. Il filosofo Eraclito di Efeso in un suo frammento ha scritto che “Polemos – la contesa, la lotta- è il padre di tutte le cose” e considerava questa lotta eterna, una legge
AM. Il tema della guerra è un tema dominante della mia opera. In effetti ne Gli Increati è un tema importante: la guerra che però viene trascesa e viene portata alle ultime conseguenze, ma che in ultima analisi è la guerra tra i vivi e i morti. Io ho passato la mia giovinezza in guerra, così come tanti uomini passano la loro vita in guerra. In questo momento tutto il mondo è dominato da guerre, a volte terribili. Dunque l’astrazione della pace separata è una separazione culturalistica che ha preso piede in alcune zone del mondo dove per pochissimi anni, per un battito di ciglia, non ci sono state guerre. Ma adesso noi siamo di fronte ad un pericolo di ripresa anche nel nostro continente. Quindi penso che sia una caratteristica indelebile della nostra specie che ha caratteri fratricidi e genocidi. La Bibbia comincia con Caino e Abele ecc. Quando io a trenta anni ho cominciato a scrivere e ho imparato a leggere quello che non conoscevo per la mia turbolenta e difficile esperienza scolastica, mi ricordo che sono stato abbagliato in modo impressionato dall’Iliade. Mi sembrava che l’autore mi dicesse le cose come stavano. La rappresentazione di questo mondo in guerra in cui tutto passa e attraversa questa dimensione, mi sembrava che mi stesse dicendo la verità che invece qui è stata chiusa in categorie come l’epica. Quello lì è il mondo. Quindi sì, nei miei libri ci sono o guerre dispiegate o guerre intime. Anche in altre mie opere teatrali come Magnificat tra la partoriente e il feto vi è una guerra e un abbraccio. Molto spesso i miei libri hanno due figure, ad esempio La Cipolla, torrido, a livello erotico che però contiene un combattimento amoroso tra corpi. Quasi tutti i miei libri hanno come cuore, come fulcro, la luce e il buio e due personaggi che combattono e che si abbracciano l’uno con l’altro.
AM. Non so bene. Evidentemente è stato un salto di piani che è avvenuto così perché a volte nei miei libri precedenti ci sono delle premesse, anche lette col senno di poi si possono intravedere delle premesse. Per la prima volta questo passaggio avviene ne Gli Incendiati dove i due amanti vengono uccisi e continuano ad amarsi e a combattere anche da morti. Lì pero, diciamo, si tratta di due persone che passano dalla vita alla morte insieme. Invece ne La Lucina è un incontro tra due persone che appartengono a due dimensioni diverse che poi sono state semplificate con la città dei vivi e la città dei morti nei libri successivi, in Fiaba d’Amore e in modo più sistematico ne L’Addio. Non lo so. Però ad un certo punto ho dovuto saltare il fosso. Tutto aveva evidentemente preparato questa cosa qui e ho capito che non dovevo più curarmi di questo steccato artificiale che divideva tra le tante cose anche in modo artificiale la vita e la morte. E ho capito che dovevo portare il mio lavoro, la mia letteratura in questo territorio, in questo mondo ignoto. Poi da qui è nata l’idea dell’ ”increazione” che per me non è un paradosso culturale o una metafora.
CB. Sappiamo che a breve della Lucina uscirà un film di cui tu sei il protagonista. Credi che il film sia riuscito a trasmettere il messaggio del romanzo, e come è stato
AM. Questo non sta a me dirlo. Io ho un rapporto difficile con questo film. Molti spettatori, anche di diverso gusto, me ne hanno parlato e ne hanno scritto bene, anche alla radio e in altri posti. Io sono disturbato dalla mia presenza in questo film e non sono sereno alla visione di questo. Credo che nel film passi l’anima del libro. Evidentemente attraverso la parola riesco ad andare più nei meandri, invece nel film c’è una poesia più stringata che va all’osso. Anche questa è stata un’esperienza molto strana e mi ha colpito molto scoprire che io sono in tutta la storia del cinema l’unico scrittore che abbia interpretato un ruolo da protagonista nella propria opera. Ci sono stati altri scrittori, da Artaud a Pasolini, che però hanno fatto dei cammei: uno ha fatto Giotto, l’altro ha fatto il frate ecc. Ma non hanno dato volto e corpo alla loro opera e mi domando come mai. Alcuni erano anche vicini ad ambienti cinematografici e mi chiedo: “Come mai nella storia del cinema io che sono il meno adatto a questa ostensione visiva mi è successa ‘sta cosa qua?” È davvero un mistero e mi ha divertito scoprire che c’è stato un altro scrittore, il solo, che ha interpretato la sua opera. Negli anni ‘50 c’era negli Stati Uniti uno scrittore che, tra l’altro, io leggevo da giovane, molto reazionario, che scriveva dei polizieschi, Mike Spillane. Questo qui ha interpretato negli anni ‘50 un film intitolato Cacciatori di Femmine, il titolo è già tutto un programma. Quindi ci siamo io e Mike Spillane, c’è La Lucina e c’è Cacciatori di Femmine, se questo vuol dire qualcosa, me lo dirai tu perché io non lo capisco.
AM. Credo che ci sia un nucleo fondante, la “radice della fiamma” come la chiamo all’inizio de Gli Esordi dove faccio il discorso della divisione delle tre sezioni della fiamma in una candela, del rovesciamento, con il nucleo portato all’esterno, il nucleo interno che è quello della radice della fiamma. Se tu riesci a superare le prime due sezioni, potresti starci dentro come in una cupola, come dico durante l’incendio dell’immondizia ne Gli Esordi. Ecco, in quella zona lì credo che non ci siano entrati.
CB. Capuana ha detto che la scrittura nasce spesso da una forza interna non controllata. Gli antichi la chiamavano “ispirazione” e anche Nietzsche ne parla, anche Carl Gustav Jung. Quanto la tua scrittura è controllata e quanto, invece, è frutto di qualcosa di cui non sei pienamente cosciente?
AM. Io sperimento questa cosa sulla mia persona da decenni. Gli antichi parlavano di ispirazione, adesso i moderni deridono queste cose: “la musa che ispira”, e le etichettano come ingenue. Però loro, gli antichi, attraverso queste cose, chiamiamole “ingenue”, dicevano una verità più profonda, quindi i moderni come dice il proverbio “hanno buttato via il bambino con l’acqua sporca”. Questa cosa esiste perché se la letteratura non è due cose che diventano una terza cosa, allora cos’è? E a che cosa mi serve? E dove mi porta? Io sperimento continuamente questa cosa qua e l’ho anche tematizzata in Canti del Caos questa presenza della musa che è una presenza maledettamente seria. Credo che la nostra presunzione di essere tutto, di controllare tutti e di stare dentro una zona esaustiva sia ridicola ed esprima solo la paura degli uomini di trovarsi in un qualcosa che è infinitamente più vasto della propria persona. I fisici dicono che la materia all’interno del mondo visibile, che è una parte preponderante del tutto, è ancora inconoscibile e inattingibile. Quindi questa cosa qui la sperimento e sono sicuro, capisco, sento che quando scrivo sono profondamente abbandonato. Perché il problema è se tu fai resistenza o ti abbandoni a questa cosa. È questo che decide di tutto. Io non so se ho molti meriti, se c’è una cosa che so è che non ho paura dell’abbandono. E quando succede questo io capisco che scrivendo mi oltrepasso e oltrepasso le mie capacità puramente cognitive e razionali per andare dentro una percezione del mondo superiore.
CB. Con il tuo ultimo romanzo, L’addio, hai partecipato al Premio Strega del 2016. Al di là delle polemiche che ci sono state, c’è una frase che tu hai detto, una frase
AM. Si lega a quello che ho detto prima. In questa epoca e da molto tempo, e se vuoi anche attraverso tutti i tempi, la letteratura è stata ridotta ad una cosa piccola perché si ha paura di questa dirompenza segreta, e quindi i poeti e gli scrittori non sono stati mai ascoltati: non è stato ascoltato Dante, non è stato ascoltato Melville, non è stato ascoltato Dostoevskij… Nelle, chiamiamole così, verità, se questa parola non fosse limitativa, che loro portavano in luce erano così perturbanti rispetto all’ordine delle cose. L’organizzazione della vita ha preso il sopravvento e sono stati relegati in questa dimensione separata dell’estetica. Io non sto dentro questa dimensione separata dell’estetica. Secondo me questo qui che io ho chiamato “sogno” ha in sé un’idea di passaggio tra due dimensioni che sono conoscibili o percepibili. Nessuna forma è riuscita a metterci in contatto con questo, se non la letteratura o la musica o altre forme di arte che sono state chiamate “arte” dagli uomini. La frase è stata presa da una cosa di cui appunto anche io non ho voglia di parlarne, è nata dal dolore dello scontro con un mondo che ruota attorno alla letteratura.
CB. È come se nelle tue opere tu cercassi di esprimere con lo strumento linguistico un qualcosa di essenziale dell’essere umano, un qualcosa che è parte del suo DNA, archetipico; un qualcosa di noi stessi con il quale, però, non siamo più in contatto da molto tempo. È forse questo quello che più sconcerta e disorienta nella tua scrittura e, al tempo stesso, rende le tue opere capaci di toccare le profondità della psiche umana?
Mauro Ruggiero