È da molti anni ormai che si assiste in Repubblica Ceca ad un esponenziale aumento di ristoranti “mediterranei”; negozi e mercatini di prodotti alimentari italiani, greci e spagnoli; pubblicazioni riguardanti la cucina e la cultura alimentare e, non ultimo, reportage e programmi televisivi che pubblicizzano il modello alimentare mediterraneo e la cucina italiana in particolare. Se all’inizio la cosa poteva far pensare ad una moda passeggera destinata a finire dopo qualche tempo, il trascorrere degli anni, almeno dal 2005 ad oggi, ha dimostrato invece che i cechi stanno poco alla volta introducendo nella propria alimentazione sempre più prodotti cosiddetti “mediterranei” come la pasta, l’olio d’oliva, il pesce ecc.
Nonostante la speculazione che troppo spesso si fa su questi prodotti, (chi scrive ha pagato 100 Kč – 4 Euro – per 1 melanzana proveniente dall’Italia, in una nota catena di negozi di prodotti italiani a Praga) è possibile affermare che il fenomeno non ha interessato esclusivamente le classi più agiate della popolazione ceca, ma anche le cosiddette “fasce medie” hanno iniziato ad introdurre abitualmente nelle loro cucina prodotti come l’olio d’oliva e la pasta. Se è vero che oggi è molto più facile reperire prodotti “mediterranei” in Repubblica Ceca rispetto a qualche anno fa, il loro costo rimane però ancora molto alto e sono veramente pochi i negozi dove il rapporto qualità prezzo è conveniente. L’inserimento nel 2010 della Dieta Mediterranea nella lista UNESCO del Patrimonio Immateriale dell’Umanità, ha contribuito ulteriormente a portare all’attenzione dei cechi questo modello alimentare non solo per la varietà di cibi che esso offre, ma anche per i benefici che questo tipo di alimentazione pare apporti alla salute.
Ma cosa si intende per Dieta Mediterranea? Proviamo in questo breve scritto a darne una definizione e a illustrarne la storia nelle sue linee fondamentali.
Bisogna prima di tutto far notare che ciò che l’essere umano mangia non è solo il frutto di una sua libera scelta, ma dipende in buona parte da fattori culturali, religiosi, sociali ed ambientali che ne condizionano l’agire quotidiano. Il cibo, da elemento strettamente necessario per garantire la sopravvivenza del corpo e fornire ad esso l’energia necessaria per svolgere le sue funzioni, valica presto tale limite fisiologico e materiale per caricarsi di significati sociali, culturali e simbolici che caratterizzano le diverse società e forme di organizzazione umane. La varietà e molteplicità di tali fattori fa sì che, a seconda di essi, le abitudini alimentari umane siano diverse nel tempo e nello spazio e che le scelte e i gusti alimentari di un popolo possano spesso essere agli antipodi rispetto a quelli di un altro diverso per cultura.
L’alimentazione tradizionale mediterranea è un tipo di alimentazione che, seppur con le notevoli varianti e le caratteristiche proprie di ciascun paese, accomunava e in parte accomuna ancora oggi le fasce ampie delle popolazioni che si affacciano sul bacino del Mar Mediterraneo e, in modo particolare, quelle dei paesi mediterranei europei. Tale cultura alimentare, con le sue varianti nazionali e regionali, esprimeva nelle sue forme tradizionali un perfetto equilibrio tra le risorse alimentari disponibili e i bisogni nutritivi dell’uomo e, attraverso modifiche e progressivi arricchimenti, ha attraversato migliaia di anni della nostra storia. Basata principalmente sul consumo di cereali, legumi, prodotti della pesca, olio d’oliva, frutta e verdura fresche e quantità moderate di carne e latticini, questo tipo di alimentazione è la risultante dell’incontro di tradizioni alimentari diverse (principalmente quella romana e quella araba, con i successivi apporti dei prodotti americani) che si sono fuse insieme ed evolute in seguito alle complesse vicende storiche e sociali che hanno caratterizzato in passato la regione geografica del Mediterraneo. Una delle caratteristiche principali di questo tipo di cultura alimentare è quella di essere una dieta (intesa nella sua etimologia di “stile di vita” e complesso delle abitudini alimentari) equilibrata e povera. Equilibrata perché non sbilanciata verso un unico tipo di alimento – come ad esempio avviene per la carne nella cultura alimentare odierna dei paesi ricchi – e povera, non solo perché era l’alimentazione principale dei contadini e dei pescatori -vale a dire delle fasce più ampie della popolazione-, ma soprattutto perché gli alimenti che la caratterizzano non sono particolarmente costosi, variano a seconda dei naturali cicli stagionali, la loro preparazione è semplice e risultano di facile reperibilità per l’alimentazione quotidiana.
Tradizione e tradizioni alimentari del Mediterraneo
Il termine “Mediterraneo” deriva dal latino Mediterraneus e significa letteralmente: “in mezzo alle terre”. Con questo termine si indica il mare che dallo Stretto di Gibilterra che divide la Penisola Iberica dal Marocco, fino al Golfo di İskenderun in Turchia, si estende su una superficie di circa 2.600.000 kmq bagnando le coste di molti stati appartenenti ai continenti di Europa, Asia e Africa.
Questo spazio geografico denso e complesso che ha visto la nascita e lo sviluppo delle prime grandi civiltà e organizzazioni statali dell’Occidente, oggi come in passato crocevia e crogiolo di razze e culture diverse che si sono vicendevolmente influenzate, ha fatto delle sue diversità la sua ricchezza culturale.
Benché sia una forzatura voler ridurre una tale complessità dinamica e diversità di lingue, culture, tradizioni, usi, costumi e religioni diverse sotto un’unica categoria, è tuttavia possibile individuare alcune caratteristiche culturali comuni riscontrabili nelle popolazioni che hanno abitato ed abitano il Bacino Mediterraneo.
Ciò è vero particolarmente per quanto riguarda la caratteristica alimentazione di queste popolazioni che abbiamo definito come “alimentazione tradizionale mediterranea”. L’alimentazione tradizionale mediterranea è la risultante dell’incontro di culture alimentari diverse che sono entrate in contatto tra loro e si sono evolute nel corso del tempo. La principale è sicuramente quella greco-romana basata sulla famosa triade frumento-vino-olio, integrata da legumi, altri cereali, verdure, formaggio, pesce e quantità ridotte di carne. Questo modello alimentare rispecchiava l’unità culturale del Mediterraneo che era praticamente un mare interno al territorio dell’Antica Roma e dai Romani stessi chiamato Mare Nostrum. Benché il cibo dei Romani non fosse quello consumato da tutte le popolazioni mediterranee dell’epoca, esso può però riassumere la cultura alimentare del mondo antico costituendone certamente la base per le successive evoluzioni.
La dieta dei Romani era caratterizzata dalla prevalenza di cereali e legumi sugli altri alimenti. Nella Roma delle origini i cereali maggiormente usati erano quelli “inferiori” così definiti perché necessitanti processi preliminari di lavorazione volti ad eliminarne le forti membrane esterne prima di poterli battere per ottenerne farina. Questa farina, una volta mescolata con latte oppure con acqua, dava origine a una specie di pasta che veniva arricchita con legumi o verdure. Anche il latte e i derivati di questo occupavano un posto importante nell’alimentazione romana. Tra i prodotti dell’orto maggiormente usati troviamo: cavoli, cipolle, broccoli, carote, asparagi, fave, lenticchie e cetrioli insieme ad altre verdure selvatiche come i funghi. La carne, principalmente di maiale, ma anche selvaggina, occupava un posto di importanza secondaria. Le pecore e le capre fornivano principalmente lana, pelli e latte, e solo in secondo luogo carne, mentre i bovini erano utilizzati principalmente come animali da lavoro. Il pesce fa la sua comparsa nell’alimentazione romana a partire dal II secolo d.C. e dunque più tardi rispetto alla Grecia. Il pesce consumato era per lo più pesce marino ma non solo. Quando la cultura romana si avvicinò a quella greca, le abitudini alimentari romane, più semplici rispetto a quelle dei Greci, subirono alcune modifiche e ne uscirono arricchite in quanto a raffinazione dei gusti alimentari, ma, a causa della somiglianza tra le due culture alimentari, questa non mutò radicalmente il suo aspetto.
Il modello alimentare greco-romano dominante venne a contatto nel periodo medievale con quello germanico fondato sulla triade carne- grassi animali -birra. Le popolazioni provenienti dal Nord Europa, essenzialmente nomadi, avevano uno stile di vita principalmente di tipo silvo-pastorale che prediligeva lo sfruttamento degli spazi boschivi e la pastorizia, per cui vivevano di caccia, pesca e frutti raccolti nei boschi. Allevavano maiali, del cui grasso facevano largo uso, e coltivavano verdure in orti vicini agli accampamenti. I pochi cereali coltivati servivano non per fare il pane, ma una bevanda antenata della moderna birra. L’incontro tra queste due culture diede origine ad un nuovo modello alimentare che metteva la carne (sopratutto quella di maiale) e il frumento (pane) sullo stesso piano anche se non si affermò uniformemente in Italia e meno che altrove nelle regioni del Sud della Penisola che restarono legate prevalentemente al modello alimentare mediterraneo. In epoca alto medievale, questa cultura alimentare, risentì profondamente degli influssi che una nuova civiltà, quella degli Arabi, sviluppatasi sulle sponde meridionali del Mediterraneo apportò ad essa. La cultura alimentare araba ripudiava il consumo di vino e di carne di maiale per questioni religiose, ma aveva in comune con l’altra soprattutto il consumo di pane e cereali in generale. Tra le carni di consumo quotidiano la prediletta era quella di agnello, ma veniva consumata anche selvaggina e carne ovina accompagnata da legumi o riso che gli Arabi avevano portato dall’Oriente. Tra le verdure più diffuse nell’alimentazione araba troviamo le cipolle, le zucche, i cetrioli e le melanzane. Particolare importanza aveva poi l’uso delle spezie quali cannella, cumino e zafferano per arricchire i cibi. Agli Arabi si deve l’arrivo sul continente europeo di nuovi prodotti che più o meno velocemente entrarono di diritto in quella che oggi definiamo “alimentazione tradizionale mediterranea”, arricchendola e caratterizzandola ulteriormente. Questi prodotti, oggi molto diffusi, erano: il riso (anche se già conosciuto dai Romani), gli agrumi, gli spinaci, le melanzane, la canna da zucchero e in seguito, molto probabilmente, la pasta secca che tanto importante diventerà nella cucina italiana d’epoca moderna. Un altro momento di cruciale importanza per l’alimentazione nel Mediterraneo fu l’avvento dei nuovi prodotti arrivati nel vecchio continente in seguito alla scoperta del Nuovo Mondo. Dalle Americhe giunsero prodotti quali: fichidindia, mais, patate, pomodori, peperoni e peperoncini, molte varietà di fagioli e frutti quali l’ananas e prodotti come il cacao. Sebbene molti di essi faticarono ad essere accettati totalmente sulle tavole, oggi molti di questi prodotti sono anch’essi alla base dell’alimentazione delle popolazioni del bacino Mediterraneo. Basti pensare ad esempio alla polenta, alimento principale dei contadini una volta fatta con orzo, miglio o altri cereali ai quali si sostituì il mais nel XVIII secolo; o alle patate che mitigarono numerose carestie in tutta Europa anche se considerate di secondaria importanza nelle regioni mediterranee; o alla salsa di pomodoro, oggi simbolo, unita con la pasta o con la pizza, della cultura gastronomica italiana nel mondo.
Quando parliamo di alimentazione tradizionale mediterranea, non intendiamo con questo termine una tradizione alimentare unica e omogenea per tutta l’area geografica del Mediterraneo, lungamente sperimentata e arrivata a noi da un lontano e remoto passato senza subire modifiche. Ciò, come abbiamo visto, sarebbe solo un’astrazione sfruttabile al massimo nell’ambito di una politica più o meno condivisibile di ritorno all’antico (tra l’altro onnipresente nella storia dell’uomo) che però non tiene conto della complessità della realtà.
“Il cibo- dice lo storico italiano dell’alimentazione Massimo Montanari- è cultura quando si produce, quando si prepara, quando si consuma. È il frutto della nostra identità e uno strumento per esprimerla e comunicarla”1 Cuocere il pane, preparare la frutta, apparecchiare la tavola… Ogni atto legato al cibo anche il più semplice e quotidiano porta con sé una storia ed esprime una cultura complessa.
I prodotti, la gastronomia, le tecniche di preparazione degli alimenti disponibili e le loro combinazioni, i condimenti e le modalità del consumo dei pasti, sono sempre l’immagine dell’ identità e della cultura di un popolo. La cucina è infatti una delle espressioni più profonde della cultura di un paese, indissolubilmente legata alla storia, all’economia e alla vita dei suoi abitanti. Essa varia perciò necessariamente da paese a paese o da regione a regione pur mantenendo certe caratteristiche comuni e di omogeneità nell’ambito di una certa area geografica.
Quando si parla di tradizione alimentare del Mediterraneo, si intende con questo termine un modello alimentare che, pur tenendo conto delle grandi differenze riscontrabili nelle varie gastronomie nazionali e regionali dei paesi mediterranei, principalmente quelli europei ma non solo, tra loro diversi per storia, cultura e tradizioni, unisce non tanto per i metodi di preparazione degli alimenti, ma per l’uso comune di molti prodotti originari e altri che si sono diffusi fino a diventare autoctoni della regione e che accomunano paesi tanto diversi tra loro in un nucleo alimentare omogeneo. Abbondanza di alimenti vegetali principalmente freschi; verdure d’orto e selvatiche; erbe aromatiche; cereali utilizzati per la panificazione (pane in tutte le sue tipologie) o per ricavarne pasta e polenta; riso; legumi; frutta fresca e secca; l’uso prevalente di olio d’oliva come fonte principale di grassi; un consumo moderato di carni bianche, di carne di maiale (dove permesso), di carni ovine e pesce preferite alle carni bovine e molte altre caratteristiche, sono tutti elementi comuni alle diverse popolazioni che hanno abitato le rive del Mediterraneo.
Alla base della pasta secca, oggi usatissima in Italia, così come alla base del cuscus diffuso invece principalmente nei Paesi del Nord Africa, o del bulgur, molto diffuso in Medio Oriente, vi è sempre il grano duro; esempio di un alimento comune mediterraneo usato in modo diverso a seconda della cultura di riferimento. Ma l’alimentazione tradizionale mediterranea affonda le sue radici comuni soprattutto nella frugalità dei pasti, nella convivialità (caratteristica comune di tutti i popoli mediterranei) e nella grande importanza culturale di cui si carica l’atto del nutrirsi. Nella religione ebraica, come in quelle cristiana ed araba, il momento del pasto è un momento importantissimo di aggregazione sociale e scambio interpersonale: gli elementi della famosa “triade mediterranea” costituita da pane, olio e vino, sono stati assimilati dal cristianesimo che ne ha fatto i simboli fondamentali della propria liturgia e della propria ritualità. Il pesce, altro alimento caro alla tradizione mediterranea, è spesso considerato nella simbologia paleocristiana simbolo del Cristo stesso e nella Bibbia sono innumerevoli i versetti contenenti gli elementi della triade mediterranea.
E’ interessante notare come nel modello alimentare mediterraneo, il consumo di alimenti vegetali in generale, uova, latte e derivati insieme al pesce, sia prevalente rispetto al consumo di carni in generale e carni rosse in particolare (almeno in passato) al contrario invece di altri modelli alimentari dove il consumo di queste carni è prevalente. Questa caratteristica è imputabile necessariamente a ragioni di tipo economico e di diffusa povertà, più che frutto di un canone dietetico liberamente scelto per motivazioni salutari. Ma proprio tale caratteristica è passata in tempi più recenti ad essere uno dei tratti distintivi e particolarmente apprezzati di questo modello alimentare che a partire dalla seconda metà del XX secolo ha suscitato l’attenzione di medici e nutrizionisti di vari paesi. Questi, alla ricerca di un modello alimentare alternativo ai modelli alimentari omologati e ad una tendenza generale della società contemporanea a trascurare una sana e corretta alimentazione, ma sopratutto forti di alcune constatazioni scientifiche che dimostravano che nei Paesi con una dieta povera di grassi saturi e ricca di grassi monoinsaturi, carboidrati e vegetali le persone avevano livelli di colesterolo molto bassi nel sangue ed una bassissima predisposizione alle cardiopatie coronariche, hanno operato un recupero-creazione di un modello alimentare di riferimento, in parte originale, in parte ispirato alle diverse culture alimentari tradizionali dei paesi europei del Mediterraneo, come Spagna, Grecia, Francia Meridionale e sopratutto regioni dell’Italia Mediterranea, che tenesse conto non solo delle esigenze alimentari dell’individuo per mantenere un buono stato di salute, ma che riscoprisse anche la parte culturale, gli antichi ritmi, la convivialità ed il piacere legati all’alimentazione.
Nasce così negli Anni ’50 il termine “Dieta Mediterranea” coniato dal medico e fisiologo statunitense Ancel Keys professore presso l’Università del Minnesota e direttore del Laboratory of Physiological Hygiene presso la stessa Università.
Il modello alimentare della Dieta Mediterranea proposto da Keys e dagli altri studiosi non è solo un tipo di alimentazione, ma un vero e proprio stile di vita nel quale alcuni alimenti tipici mediterranei come: olio d’oliva, pasta, pane, legumi, ortaggi e frutta fresca, vengono sapientemente combinati con giuste quantità di carne di maiale, coniglio, pollo o agnello e in minor quantità da carne bovina. Importanti anche prodotti quali il pesce, le uova, il latte e i suoi derivati se consumati nelle giuste misure. In questo modello alimentare occupano una posizione predominante i vegetali e fra questi i legumi e i cereali. Per i condimenti vengono usati oltre all’olio d’oliva, piante aromatiche piuttosto che miscele di spezie e principalmente: limone, peperoncino, aglio, cipolla, basilico, origano rosmarino, alloro, salvia, menta, prezzemolo e timo. Se a questo tipo di alimentazione si affianca anche un costante esercizio fisico, considerato già dalla medicina antica come metodo per mantenere uno stato di buona salute sia fisica che mentale (mens sana in corpore sano)2 la “dieta mediterranea” secondo Keys metterebbe al sicuro da molte patologie moderne legate ad una scorretta alimentazione.
Ancel Keys, teorico della Dieta Mediterranea
Già noto per essere stato l’ideatore della “Razione K” che costituì la base per l’alimentazione di sussistenza in dotazione dell’esercito americano durante la Seconda Guerra Mondiale, Keys iniziò ad interessarsi all’alimentazione mediterranea in seguito ad aver costatato al seguito delle truppe americane di stanza nel Mediterraneo in Grecia ed Italia durante la guerra, che la popolazione di questi luoghi era poco soggetta a malattie dovute ad un’eccessiva presenza di grassi nell’alimentazione. Incuriosito da ciò Keys, insieme ad altri medici, promosse uno Studio internazionale cooperativo di Epidemologia della Cardiopatia Coronarica, noto con il nome di Seven Countries Study che mise in rapporto i livelli di colesterolo nel sangue con i tipi di dieta alimentare seguita da diverse popolazioni. I soggetti studiati per un considerevole numero di anni furono oltre 12000 appartenenti a popolazioni dell’area mediterranea e non (Italia, Grecia, ex Jugoslavia, Olanda, Finlandia, Giappone, U.S.A.). Da tali studi emerse che il tasso di mortalità per cardiopatie coronariche tra le popolazioni mediterranee che si cibano in prevalenza di cereali, pesce, prodotti ortofrutticoli e utilizzano quasi esclusivamente olio di oliva, ed in Giappone (la cui alimentazione è altrettanto povera di grassi saturi), era di gran lunga inferiore rispetto alle popolazioni non appartenenti a questa area. Keys e gli altri medici costatarono che le diete dei gruppi considerati erano tra loro ben diverse. Nei gruppi mediterranei erano maggiormente presenti prodotti quali l’olio d’oliva, cereali, frutta, ortaggi e vino (in quantità moderate durante i pasti), mentre negli altri “non mediterranei” (ad esclusione del Giappone), carne, uova, formaggi, sostanze grasse di origine animale e molte bevande superalcoliche consumate in genere fuori pasto, avevano la prevalenza. Keys sosteneva che la frequenza delle cardiopatie coronariche è diversa in popolazioni che consumano diverse quantità e qualità di grassi. Tali cardiopatie risultavano molto meno frequenti in quelle popolazioni la cui dieta contiene relativamente piccole quantità dei comuni grassi della carne e del latte molto presenti nell’alimentazione tipica del mondo occidentale in generale. Ancel e sua moglie Margaret Keys, si trasferirono in Italia, nel Cilento, verso la fine degli Anni ’70 e precisamente a Pioppi, antico borgo marinaro oggi centro turistico del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, nella provincia di Salerno, e quivi rimasero fino al 2003, prima di ritornare negli USA dove Keys si spense un anno dopo, due mesi prima del suo centunesimo compleanno. Sempre nel 2004, Keys fu insignito della Medaglia al Merito alla Salute Pubblica dallo Stato Italiano. Affascinati dalla natura e dal paesaggio mediterranei, Ancel e Margaret continuarono a studiare l’alimentazione e la gastronomia locali e l’effetto sulla salute della popolazione in certa percentuale ancora dedita alla pesca e all’agricoltura e legata a quel tipo di alimentazione tradizionale che affondava le sue radici nella cultura contadina e marinara. Keys riconobbe la genuinità e le qualità dell’alimentazione tradizionale cilentana che rispecchiava, naturalmente con le sue caratteristiche proprie, quel modello ideale mediterraneo da lui tanto celebrato. Apprezzava particolarmente le antiche ricette basate su una cucina fondamentalmente povera che reperiva i suoi prodotti ancora per buona parte in loco e legati al ritmo delle stagioni; i cibi preparati che non subivano quasi mai elaborati e raffinati processi di cottura, ma venivano mantenuti più vicini possibile al sapore originale grazie anche ad un moderato uso di spezie che permette di mantenere i sapori degli alimenti distinti ed esaltarne freschezza e genuinità; una cucina basata principalmente su verdure selvatiche e dell’orto, minestroni, pane casereccio e pasta secca o fatta in casa, condita con semplice sugo di pomodoro fresco, una spolverata di formaggio e basilico e solo nei giorni di festa arricchita con pezzi di carne, oppure servita con pesce locale. Pasta cucinata in combinazione con i legumi e servita come piatto unico capace di assicurare da solo tutti quegli apporti nutritivi che normalmente sono forniti in parte dal “primo” ed in parte dal “secondo” piatto abituali. Pasta con fagioli (o ceci, o piselli, o lenticchie…), la pizza fatta anch’essa in casa e condita con mozzarella ed alici; componenti d’avanzo che non andavano mai sprecati ma riutilizzati per la preparazione di altri piatti. La carne e il pesce, serviti una al massimo due volte alla settimana, conditi sempre con olio d’oliva locale; la frutta fresca come dessert e un bicchiere di vino per accompagnare i pasti.
Anche il vino, infatti, ricopre un ruolo importante in quei paesi dell’area mediterranea in cui motivazioni religiose non ne proibiscono l’assunzione. Esso, se assunto in quantità moderata e in corrispondenza dei pasti, ha delle ottime proprietà salutari.
Una delle caratteristiche fondamentali dell’alimentazione di tipo mediterraneo è che i prodotti vengono usati sempre freschi e nell’arco di pochi giorni. Solo certi prodotti, oggi come in passato, venivano conservati attraverso tecniche naturali di conservazione come la salatura, l’affumicazione o l’essiccazione, per poter essere consumati nel periodo invernale. La grande varietà di prodotti di cui è costituita la cucina mediterranea permette di abbinare un grandissima varietà di gusti e sapori adattabili alle più svariate esigenze a riprova del fatto che il modello mediterraneo non è uno specifico programma dietetico o, lo ripetiamo, una tradizione unica riscoperta da un lontano passato, ma un insieme di abitudini alimentari tradizionalmente seguite dai popoli delle regioni mediterranee legate da elementi comuni.
Altro aspetto importantissimo legato allo stile alimentare mediterraneo è sicuramente quello dell’attività fisica. Il contadino, il pastore, l’artigiano, il pescatore, il lavoratore in generale del passato, lavoravano manualmente tutto il giorno spostandosi prevalentemente a piedi. Questo stile di vita, abbinato all’alimentazione tradizionale, era il segreto della salute che metteva al sicuro da diverse patologie legate all’alimentazione oggi molto diffuse. Non è un caso, infatti, che tali patologie siano aumentate anche tra quelle fasce delle popolazioni mediterranee che in seguito al boom economico degli Anni ’60 e ’70, hanno abbandonato il tipo di alimentazione tradizionale perché ritenuta troppo povera, per conformarsi agli stili alimentari tipici invece della società ricca e delle mode alimentari d’oltreoceano, e non è un caso se oggi si tende invece, seppur spesso con un’ eccessiva idealizzazione, a ritornare alle vecchie abitudini del passato. Una prova di ciò consiste nel costatare la tendenza che sempre più libri e riviste di cucina hanno nel pubblicare testi che ripropongono la “vecchia cucina della nonna” e dei sempre più numerosi studi medici che consigliano il ritorno ad abitudini alimentari più parche e a stili di vita più salutari ed equilibrati.
L’alimentazione tradizionale mediterranea con le sue differenze locali, che Keys e altri studiosi hanno definito –sicuramente in modo riduzionistico- con il termine di “Dieta Mediterranea”, è ancora oggi seguita, sebbene in misura sensibilmente ridotta rispetto al passato, da una parte della popolazione dei paesi mediterranei tra cui l’Italia e principalmente l’Italia meridionale e insulare dove ancora prevale in parte il consumo di verdure, legumi e cereali (pasta, pane, pizza), dove si mangia più pesce che carne e dove latticini, formaggi e salumi costituiscono una pietanza alternativa e non un piatto quotidiano come in altri paesi del Nord Europa, e dove l’olio d’oliva è preferito di gran lunga ai grassi animali come il burro.
L’ idea di “Dieta Mediterranea” come modello alimentare di riferimento che è venuta formandosi in seguito agli studi moderni coadiuvati dal progresso scientifico e tecnologico, non è solo un modello alimentare ideale, da cinquant’anni sempre più riconosciuto per le sue qualità, ma una vera e propria filosofia e stile di vita che si ispira alla semplicità, alla frugalità dei pasti, alla qualità del cibo più che alla quantità, alla stagionalità dei prodotti, ai sapori semplici ecc. tutti elementi che se in un certo periodo del nostro tempo sono stati considerati negativamente, perché indici di una società povera, oggi sono valorizzati paradossalmente per lo stesso motivo.
Foto di Danilo Desidera, disegni di Silvia Vezzuto