Storico dell’arte, saggista e docente universitario, Philippe Daverio è uno dei volti più noti della televisione italiana, e tra gli intellettuali che frequentano gli studi televisivi sicuramente uno de più stimati. Daverio ha visitato Praga nel corso del mese di gennaio 2016 per una serie di incontri e per esplorare la possibilità di portare nella Capitale ceca una mostra di artisti italiani contemporanei. Nel corso del suo soggiorno, il celebre studioso, ha visitato alcuni musei cittadini intrattenendosi con i responsabili delle più importanti gallerie d’arte praghesi, ma ha incontrato anche imprenditori italiani e l’Ambasciatore Aldo Amati. Ospite dell’Istituto Italiano di Cultura di Praga, diretto da Gianni Sciola, ha sottolineato in una conferenza il ruolo che Praga storicamente riveste, e cioè quello di “cuore pulsante della vita culturale europea”. Cafeboheme.cz lo ha incontrato per fargli qualche domanda
C.B. Nel 2011 ha creato il movimento “Save Italy” per sensibilizzare gli intellettuali e le persone comuni alla salvaguardia del patrimonio artistico italiano. Visti anche gli scandali degli ultimi anni, cosa potrebbe o dovrebbe fare l’Italia per valorizzare questo patrimonio?
P.D. La risposta è abbastanza facile: deve farsi amministrare dall’estero. Si dovrebbe chiedere a Sean Connery o a uno del genere di fare il commissario sull’Italia o, ad esempio, adesso che la Merkel va in pensione, le si potrebbe offrire un piccolo posto di lavoro in Italia ed ottenere così un commissario estero. Il fatto è che abbiamo bisogno di una cosa: di soldi. Questo dato parte da una constatazione importantissima: io reputo che l’Italia non possa appartenere agli italiani perché l’unità d’Italia è il risultato di sette patrimoni nazionali preesistenti. Infatti l’Italia unita, come simpatico paese piemontese militare, non è mai stata in grado di gestire il suo patrimonio perché i piemontesi, che erano abituati alla logica di furerie, alle caserme dell’area subalpina, si sono trovati a dover affrontare palazzi storici, raccolte di dipinti, porcellane… tutte cose che non gli erano naturali…per dire: le prime volte le porcellane le trasportavano con il furgone per il fieno! Si pensi anche alle biblioteche, tutte cose e situazioni che non erano adatte a loro, e questo in un secolo e mezzo ha portato alla catastrofe. Per questo oggi è necessario riguardare l’Italia come la sommatoria di queste sette nazioni preesistenti, tenendo conto di un dato oggettivo: non è vero che il Meridione è l’unico pezzo in crisi perché la Rete di Colorno oppure il Mirabello o il Mirabellino al parco di Monza, versano in condizioni analoghe ad alcuni monumenti in degrado a Napoli. Quindi l’Italia è oggettivamente unita dalla catastrofe e questo è già un dato positivo perché almeno in un punto l’unità del Paese è avvenuta! Bisogna però trovare il modo di salvarla questa unità. Io reputo che questo sia un dovere della Comunità Europea, non possiamo immaginare che la Comunità d’Europa sia solo la moneta, la maggioranza degli europei non ha studiato economia: Marine Le Pen ha fatto degli studi di agricoltura diretta, in Italia il capo del Movimento Cinque Stelle ha studiato da comico, Farage ha studiato come si fa a sbagliare la cravatta ed è il più grande esperto mondiale di errori di cravatta sulla camicia…La maggior parte di questi personaggi non ha studiato economia quindi sarebbe anche crudele, a mio parere, tentare di chiedergli di capire. Questa faccenda della moneta è fondamentale, ma non è l’unica. l’Europa va unita sulle culture e il movimento vero è un movimento di “L’Europe de Culture”. Ora, chi è in grado di lanciare “l’Europe de Culture”? Se lo facessero quelli di Königsberg verrebbe paura a tutti perché ritornerebbe prima Immanuel Kant, poi rifarebbero l’Anschluss… e quindi non si può fare. Se lo facciamo fare ai francesi “romperebbero i coglioni” perché sono intollerabili e non possiamo affidare a loro il ruolo di unificazione della cultura. Gli spagnoli meglio di no perché dopo un po’ ritorna sempre Torquemada e non c’è niente da fare, sono simpatici all’inizio, ma alla fine si sente che stanno accendendo il fuoco. Allora, l’unico Paese che può avere la responsabilità di essere l’unione delle culture d’Europa è lo Stivale, per vari motivi: uno perché non appartiene agli abitanti, cosa questa interessante! Perché gli italiani sono un po’ dell’impero, un po’ del duca, un po’ del prete, un po’ del prevosto, un po’ delle massonerie… L’Italia appartiene a tante cose, quindi non ha questa discriminazione di essere univoca ed è un grande esempio di dignità. Poi l’Italia ha inventato il grande progetto della “non distruzione” che è stato il Concilio di Trento grazie al quale per 400 anni abbiamo evitato di spararci, cosa che gli europei non hanno fatto… Inoltre sono depositari di alcuni segreti gastro-politici e per questo l’Europa deve salvare l’Italia. L’Italia non appartiene agli italiani; l’Italia è fondamentale per l’Europa; l’Europa deve salvare l’Italia…è un’equazione semplicissima! Questo è il concetto di “Save Italy”: come prima cosa salvare l’Italia dagli italiani e salvare il suo passato per poi generare il futuro dell’Europa. Bisognerebbe poi convincere, come primo passo, due o tre deputati italiani in Europa ad imparare l’italiano in modo da poter essere tradotti in “europeese”, oppure quelli che già sanno l’italiano ad imparare anche un’altra lingua della comunità in modo da poter dialogare con gli altri… Noi abbiamo un credito morale nei confronti dell’Europa la quale non ci ha restituito i soldi sufficienti per restaurare tutto il Meridione e gran parte del Nord, sulla catastrofe complessiva, e tutto questo progetto potrebbe passare sotto una parola che recupera finalmente l’insulto antimeridionalista dei lombardi cioè “terun” e invece di fare “Terronia” facciamo una “Terra omnia”: l’Italia diventa la “Terra Omnia” d’Europa.
C.B. Quindi, tenendo conto anche del movimento “Save Italy”, personalmente lei crede in una funzione che potremmo definire “salvifica” dell’arte per la società di oggi oppure no? O meglio, oggi l’arte in cosa può aiutare la civiltà?
P.D. Io credo di sì. Innanzitutto credo che prima di fare questa dichiarazione in merito all’arte che può salvare la civiltà, bisogna definire “arte”, bisogna definire “salvare” e bisogna definire “civiltà”, altrimenti potrebbe darsi che io sia accomunato anche a Grillo e quindi bisogna stare attenti! Allora, “salvare” vuol dire “dare un destino” (e già qui la faccenda si fa interessante, perché salvare le cose così come sono, forse non è neanche il caso!), “salvare” vuol dire re-indirizzare in un modo diverso il gusto, i comportamenti? Se l’arte e la cultura possono svolgere questo ruolo bisogna definire anche che cos’è l’arte; probabilmente non si tratta di quella che commercia il nostro ammirato amico Larry Gagosian che aveva una galleria a New York… È necessario definire che cosa intendiamo per “creatività”, per “arte”, per “opportunità”… certo è che quella roba lì può veramente “buttare i destini”…e per noi può diventare anche uno strumento di competizione, non perché bisogna venderla, ma perché bisogna formarla. Io cito sempre questa cosa molto simpatica: che tra l’altro è in quel posto lì dove vado, che è a Palermo… (io ce l’ho con i palermitani perché hanno tradito loro stessi e la loro causa) La fantastica scritta massonica che sta sulla facciata del Teatro Massimo di Palermo. Il Teatro Massimo è un errore architettonico, la sua gestione è una catastrofe biblica da un punto di vista gestionale; l’unica cosa buona è la scritta massonica: “l’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita, vano delle scene il diletto ove non miri a preparare l’avvenire”. Ecco, questa idea palermitana, immediatamente post unitaria, è formidabile e forse ancora quella che può essere il riferimento vero per dare una funzione alla struttura culturale.
C.B. Professore, qual è il rapporto tra arte ed economia? È soltanto il mercato che influenza i gusti dei singoli e dell’artista?
P.D: il più bravo critico d’arte d’oggi ha capito che Satana nell’arte contemporanea è l’America, perché quattro speculatori, sostanzialmente analfabeti (e che tutti conoscono), fotocopie grottesche di mercanti d’arte di trent’anni fa (questi ultimi invece estremamente sofisticati mentalmente), questi “quattro paraculo” hanno messo le mani sul mercato, hanno fatto l’accordo con Satana e governano da ormai 25 anni, come nel caso della Biennale di Venezia. Poi è vero anche che le nostre forze di opposizione sono molto fragili…Venezia è in mano ad un ex semi-ministro democristiano dell’industria che non sapendo dove metterlo gli hanno fatto fare la presidenza della fondazione della Biennale, cioè Baratta. Baratta è una brava persona ma socialmente inappropriata: nessuno avrebbe il coraggio di compiere un errore simile in oncologia (se uno ha il cancro andrebbe da Baratta? No!). Allora, perché non applichiamo alle nostre strutture culturali almeno l’attenzione che possiamo applicare alla salute? Perché siamo dei cialtroni! Il primo gesto per salvare l’Italia è la battaglia contro il pressapochismo e una denuncia dei cialtroni, che solo da noi sono una maggioranza assoluta che domina la scena politica e mediatica. Nel caso di Baratta, che è una brava persona, si ha semplicemente quello che in inglese si dice unappropriated, si tratta di un errore di nomina…poi lui è felice lì perché gli danno dei soldi, perché ha 75 anni e forse dovrebbe stare a casa a fare il pensionato, a giocare a carte al bar a Roma, è comunque un uomo salvato e questo mi fa piacere! Quando vedo un uomo salvato sono felice, però se per salvare un uomo devo condannare una nazione…ci farei un attimo un pensiero! Comunque una cosa seria sarebbe fare una battaglia contro Baratta, cioè Baratta è una persona che va eliminata come “simbolo”, come “persona”, come “operato”…una damnatio memoriae anche con le nomine degli ultimi coglioni, “signori” ammessi alle biennali, che non c’entrano niente, errori interpretativi. Dove la patologia italiana del pressapochismo raggiunge un punto apicale è nella gastronomia; gli italiani adorano il pressapochismo, e su questo non c’è dubbio, li rende simpatici per un certo verso, e si può dire che nel pressapochismo c’è la parte del successo della gastronomia italiana (per fare gli spaghetti il rigore non è obbligatorio). Sulla gastronomia questa scelta è una scelta politicamente corretta, nel campo culturale un po’ meno. Il pressapochismo nella direzione di un’orchestra non si può attuare, perché se il violoncello suona un quarto d’ora dopo il violino non funziona più niente, è la catastrofe. Ecco, i beni culturali sono molto vicini alla direzione d’orchestra e quindi è necessaria una maggiore attenzione.
C.B. Passando invece al piano personale: cosa la emoziona davanti ad un’opera d’arte?
P.D. Ormai poco perché sono troppo vecchio! (no, non è vero!). È un’emozione di tipo stendhaliano che permane, anzi, è proprio l’unica emozione interessante, che dopo un po’ di tempo viene meno e come ogni tipo di pathos comincia a decadere. Però l’emozione stendhaliana permane attraverso la “Sindrome di Santa Croce”. Poi con gli anni succedono altre cose: al piacere fisico si sostituisce un piacere di catalogazione mentale, come dire: se una cosa va in biblioteca riesco a collocarla e si inserisce se è linguisticamente armoniosa. Io ormai sono alla ricerca dell’equilibrio delle armonie come ad un certo punto a tutti accade, quando uno sta per morire ha l’interesse di trovare principalmente delle armonie possibili di qua e di là e sono proprio quelle che sto cercando e quelle che vedo. In alcuni casi l’armonia non è sufficiente, ci sono posti in cui nulla entra in contraddizione con nulla, solo che il tutto è sbagliato. La coerenza come fatto armonico non è sufficiente, è come vedere un gruppo di tedesche grasse che mangiano delle torte ridendo a voce molto alta, non c’è contradictio nella cosa, ma non vi è armonia…anche qui non è facile definire la questione. È il valore etico dell’armonia che si insegue ed è questo l’importante.
C.B. Pensando alla sua adolescenza e all’età adulta, quali libri e opere d’arte l’hanno segnata profondamente.
P.D. Non ho mai letto niente…No, i libri che mi hanno influenzato di più sono quelle “robe” che in tedesco si chiamano “Bildungsroman” i libri di formazione. Sono passato in modo dialettico dalle prime letture tipo l’“Education sentimentale” flaubertiana, sino alla grande educazione sentimentale, la più bella, quella versione moderna dell’” Éducation sentimentale” (che mi ricordo si leggeva con degli amici regolarmente e quotidianamente) che è “Crocifissione in rosa” di Henry Miller. Fra questi due poli c’è tutta la letteratura…vi è tutto un percorso. È chiaro che non mi sia reso conto fin dall’inizio della fondamentale importanza del libro di Miller (non era il “Wilhelm Meister” di Goethe). Questi sono i libri che consiglierei personalmente ancora oggi ai ragazzi, anche perché se li leggono in originale hanno l’opportunità di migliorare nelle lingue. Tutto il resto viene dopo…ci vuole molto tempo per leggere il “Chisciotte”, solo quando si sa bene lo spagnolo e si è molto maturi il “Chisciotte” è fantastico. Oggi non leggerei più “l’ Éducation sentimentale” ma leggerei proprio il “Chisciotte”. L’altra scoperta incredibile e molto recente (ed è quasi vergognoso doverlo affermare) è che “I promessi sposi” sono un grande libro, la cui lettura andrebbe vietata al Liceo, consentita solo dopo il 33° anno di età e dopo aver sentito parlare un po’ di lombardo. “I promessi sposi” è uno dei libri più ironici della letteratura dell’Ottocento, più snob, più distaccati, più aristocratici…vi è tutta “quella roba” de “Milan che se varda in zò e quel lì è la zente del populin…” ed è così che ragionava Manzoni…fantastico! Per il resto si può leggere di tutto ma se devo dare delle indicazioni a grandi linee, queste sono le funzioni chiave che propongo.