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Intervista a Marco Bellocchio, ospite a Praga del Febiofest 2016

DSC_6505ritaglioNel corso della XXIII edizione del FEBIOFEST – Festival internazionale del cinema di Praga, in programma dal 17 al 25 marzo 2016 presso i Cinestar Anděl e CineStar Praha – Černý Most, particolare attenzione è stata attribuita al cinema italiano con una retrospettiva dedicata al regista Marco Bellocchio, di cui sono stati proiettati: I pugni in tasca, Sangue del mio sangue e Buongiorno notte. Nel corso della serata inaugurale il celebre regista, sceneggiatore e attore italiano è stato insignito dal Presidente del Festival, Fero Fenič, del premio Kristian “per il suo contributo alla cinematografia mondiale”. Oltre ai film di Bellocchio sono state presentate tre pellicole italiane in prima visione per la Repubblica Ceca: A Bigger Splash di Luca Guadagnino, Mediterranea di Jonas Carpignano e L’attesa di Piero Messina. Nell’ambito della sezione Culinary Cinema è stata dedicata all’Italia la serata del 20 marzo, con la proiezione del film Trattoria (2013) e la successiva degustazione di specialità italiane preparate dallo chef stellato Alexander Koppe.

Abbiamo incontrato il Maestro Bellocchio che ha accettato di rispondere a qualche nostra domanda.

CB: Maestro, oggi Lei è qui a Praga a celebrare una tappa ulteriore nella Sua lunga carriera costellata da molti successi, non ultimo il Leone d’Oro a Venezia. Se Lei guarda indietro, dagli anni ’60, da “I pugni in tasca”, ad oggi come è maturato il suo cinema dal Suo personale punto di vista?

MB: Beh, di sicuro se vedo un po’ il mio lavoro posso dire che ha seguito itinerari piuttosto personali. Nel senso che non mi sembra di essere stato condizionato dagli eventi o di aver seguito mode. Però, certamente, come mia personalità, ma anche come un cittadino italiano, quello che accade nell’Italia e poi nel mondo in qualche modo mi colpisce, mi coinvolge. Per esempio ci sono anche dei film che in partenza sono stati, direi quasi, in presa diretta con la realtà: se penso a Sbatti il mostro in prima pagina, un film che secondo me non è tra i più originali, però in qualche modo teneva conto delle vicende italiane di quel periodo; se penso a Matti da slegare, era un film-documentario su una riforma molto radicale dell’assistenza psichiatrica in Italia, l’apertura dei manicomi e quindi un capovolgimento dello sguardo sul diverso. Poi altri film che pur essendo molto personali, cercavano di cogliere…di fare un discorso più “italiano”: se pensiamo a L’ora di religione, su questo processo di beatificazione della madre, metteva insieme temi molto familiari anche con un discorso sulla Chiesa cattolica, oppure se pensiamo a Buongiorno, notte, è sicuramente un film su una tragedia italiana, ma ancora una volta io ho cercato (ma questo è inevitabile e anche giusto) di personalizzare, di parlare di Moro, però tenendo conto di tutta una serie di tematiche che sono ritrovabili in altri miei film. I pugni in tasca è stato fatto così, il mio primo film, senza nessun pensiero di parlare della società italiana, ma lì l’esigenza principale era proprio quella di riconoscere e di scoprire chi io fossi e se era la mia strada quella di fare il cinema. Poi dopo si è riconosciuto in questo film anche qualcosa di molto politico o di anticipatore rispetto al ’68, almeno per quanto riguarda la realtà italiana. Quindi il punto di partenza è sempre un’immagine, o immagini, che io sento fortemente anche quando l’idea o il soggetto mi viene proposto da qualcun altro, Come dicevo prima a un suo collega, Buongiorno, notte è stato una commissione: “per il venticinquesimo anno dalla strage di via Fani noi ti proporremmo di fare..”. Allora da questo punto di partenza io ho cercato di dare una rappresentazione personale di quella tragedia.

CB: Lei è sempre stato definito un “regista impegnato”. So che non sempre questa cosa l’ha condivisa pienamente. Il cinema come espressione artistica e il cinema come impegno: da cosa nasce questa esigenza?

MB: Forse l’aggettivo “impegnato” aveva un significato, per chi lo utilizzava, di impegno politico, di impegno politico-sociale. È chiaro che è una definizione un po’ restrittiva e legata a dei tempi in cui era quasi d’obbligo impegnarsi in tematiche politiche, sociali, infatti c’è stato tutto un periodo in cui ci sono state numerose opere di questo genere. Sono domande che spesso mi vengono poste all’estero perché in Italia il cinema politico è stato un filone che evidentemente ha riscosso interesse non solo nel nostro Paese, ma anche altrove. Nella realtà, nella sostanza, io credo di aver fatto sempre dei film impegnati, anche quando la politica era del tutto assente. Anche i film che ho fatto a Bobbio, Sorelle mai o Sangue del mio sangue sono film “impegnati”, impegnati perché c’è un tentativo almeno di mettere in relazione i miei sentimenti, le cose in cui credo, con la rappresentazione di realtà anche assai diverse. Io feci anche un film da Il gabbiano di Čechov…mi potrebbe dire: “cos’è?! non c’è niente di “impegnato”, no! C’è la sincerità di rappresentare una commedia meravigliosa ambientata nell’ ‘800 in Russia, però cercando di riportarla sempre alle cose che io sento. Sicuramente ho fatto dei film più o meno belli e anche sbagliati, però almeno mi riconosco di non aver fatto mai una cosa impersonale, futile, oppure semplicemente professionale. Anche se credo di aver acquisito una professionalità, però finché posso io cerco di “muovermi”, altrimenti si vede la freddezza, la superficialità, si vede l’esecuzione. E questo non mi piace.

CB: Si è avvicinato al cinema giovanissimo: prima al Centro sperimentale di cinematografia a Roma, poi a Londra. Se guarda indietro c’è una persona verso cui si sente particolarmente riconoscente nell’ambito del cinema?

MB: Beh, una in particolare… numerose. Nel senso che in fondo direi sia a livello personale, sia a livello anche dei grandi autori: per esempio al Centro sperimentale ho potuto fare i miei primi esperimenti con molta, potremmo dire, immaturità, ma soprattutto mi è stato possibile conoscere la storia del cinema attraverso i film che non avevo mai visto. Se pensiamo al cinema muto, l’ho scoperto lì al Centro sperimentale, che è stato per me una sorgente di ispirazione e poi sono riconoscente anche a chi mi ha permesso di fare il mio primo film.

CB: Vuole fare dei nomi?

MB: I nomi sarebbero tanti…se penso a mio fratello Piergiorgio, con cui io avevo un rapporto intellettualmente molto intenso perché attraverso i Quaderni Piacentini, attraverso tutto un movimento di sinistra mai violento, ma radicale, è chiaro che io avevo imparato tutta una serie di cose e anche tramite il suo aiuto, la sua collaborazione leale anche se diversa, mi è stato possibile produrre il mio primo film. E poi è chiaro, anche le cose che sono cambiate, i  tentavi diversi, sono nati anche da esperienze personali molto approfondite: se penso alla mia frequentazione, molto lunga, nell’analisi collettiva di Massimo Fagioli, da cui sì, mi sono poi separato, però quella è stata un’esperienza che in qualche modo ha influenzato direttamente alcuni miei film e anche indirettamente…sono tutte esperienze umane che io sento adesso che hanno influito (poi qualcuno potrebbe dire anche negativamente) sul mio modo di fare cinema.

 CB: Lei è stato sempre uno sperimentatore e ha preferito aprirsi sentieri da solo piuttosto che percorrere delle strade già battute. Pensando al linguaggio cinematografico, soprattutto italiano, di oggi in generale (lo so che è difficile mettere assieme tutti i generi), come immagina, da sperimentatore, il cinema dei prossimi decenni in Italia?

MB: Adesso le nuove tecniche permettono di fare tutto. Prima esisteva già un cinema sperimentale, se pensiamo al ’68, ma addirittura se pensiamo al cinema muto: la sperimentazione in pittura, musica…Adesso c’è proprio una facilità di fare film, utilizzando tecniche che sono diventate, spesso, non dico sempre, piuttosto convenzionali nella loro facilità. Io credo che poi in tutti questi film che si vedono, e sono tanti, anche di giovani, è chiaro che è riconoscibile l’originalità…poi uno fa dei nomi temendo di dimenticarne altri…per esempio, non so se è arrivato qui Marcello?

CB: Sì certo, Pietro Marcello è stato a Karlovy Vary qualche anno fa.

MB: Come si chiama il primo film?…La bocca del lupo! È un autore che secondo me è originale, per cui in quella forma di cinema si riconosce la sua originalità, almeno per me..ma non solo lui! Anche, con ben più grande fortuna: Il divo di Sorrentino è un film piuttosto originale; Gomorra…insomma ci sono dei film che poi hanno trovato anche un grande consenso di pubblico. Io non credo che l’arte sia finita, non è che il cinema è finito, questo dimostra che in queste miliardi di immagini che ormai ci investono c’è ancora lo spazio per fare qualcosa di originale.

 

Foto di Francesco Bencivenga

Si ringrazia Riccardo Cantoni

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