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“Il professor Nelchael”. Il capitolo mancante del romanzo di Mauro Ruggiero “Poco meno degli angeli”.

 “Poco meno degli angeli” (Prospero Editore, Milano 2020) è il romanzo d’esordio di Mauro Ruggiero (1979). Il libro, a metà strada tra un’opera di narrativa e un saggio di divulgazione scientifica, tratta diversi temi che vanno dalla fisica contemporanea alla religione e all’esoterismo. Per i lettori di “Poco meno degli angeli” pubblichiamo di seguito, in esclusiva, un capitolo che, per scelte editoriali, è stato escluso dal corpo del romanzo e non compare nella versione acquistabile. Si tratta del breve capitolo che racconta la storia del Prof. Dominik Nelchael, scienziato eccentrico e misterioso che può essere considerato il maestro, o l’iniziatore, del protagonista, Adam Jason.

Buona Lettura!

 

Il professor Nelchael

  

Dominik Nelchael proveniva da una famiglia di ebrei cecoslovacchi. Quando aveva poco meno di cinque anni, in un giorno freddo di marzo, i genitori lo avevano abbracciato in silenzio, chinati su di lui nel terminal dell’aeroporto di Praga, trattenendo a stento le lacrime per non spaventarlo, e lo avevano affidato all’inglese Nicholas Winton, che lo avrebbe sottratto, insieme ad altri più di seicento bambini ebrei, a un futuro certo di sofferenza e morte nei campi di concentramento nazisti.

 La madre e il padre gli avevano detto che avrebbe fatto un viaggio fino a Londra, dove avrebbe trascorso un po’ di tempo con degli zii che la famiglia non vedeva da molti anni. Nello scorgere per la prima volta dal vero quel drago d’argento fermo sulla pista a pochi metri da lui, Dominik era rimasto immobile e senza parole per la meraviglia, tanto da non accorgersi quasi di quell’ultima carezza che sua madre gli aveva fatto sulla testa prima di andare via, stringendosi forte al braccio di suo marito, mentre una coltre di nubi scure copriva la luce spenta del sole. Il giorno dopo, il 15 marzo del 1939, le divisioni del Reich erano entrate in Cecoslovacchia senza incontrare resistenza, e ventiquattro ore più tardi Adolf Hitler aveva proclamato il Protettorato dal Castello di Praga.

In Inghilterra il piccolo Dominik era stato affidato a una coppia di coniugi londinesi che viveva in una comoda casa sulle rive del Tamigi, nel quartiere di Temple. Con Emma, una lontana parente di sua madre, e il vecchio zio George, trascorreva quasi ogni fine settimana in campagna nel Kent, dove gli zii avevano una casa villetta bella e spaziosa, piena di libri e oggetti strani, soprattutto statue di divinità bizzarre e animali, creature che sembravano demoni e altre figure antropomorfe con tante braccia e mani che stringevano spade e altri oggetti difficili da definire.

Lo zio Geoge aveva lavorato per anni come diplomatico in Oriente e, insieme a molti quadri e stampe dai colori vivi che il bambino guardava sempre con molta attenzione e interesse, aveva portato con sé questi oggetti dai numerosi viaggi in India, Siam e Cina. Ogni settimana Dominik riceveva una lettera dai genitori rimasti a Praga “per via del lavoro” – come gli aveva scritto sua madre – ma che quanto prima “lo avrebbero raggiunto in Inghilterra”. Sentiva molto la mancanza dei suoi, era già passato più di un anno da quando aveva volato su quell’aereo meraviglioso, ma confidava di rivederli presto e attendeva con ansia il giorno ormai vicino in cui finalmente avrebbero vissuto tutti insieme nella grande casa sulle rive del Tamigi. Poi, però, le lettere avevano cominciato a diradarsi, forse perché lui e la zia Emma si erano improvvisamente trasferiti in Scozia, nell’Ayrshire Meridionale. Era stato per colpa di quelle sirene spaventose che a Londra svegliavano tutti in piena notte, e dei boati terribili che si sentivano ogni giorno più vicini. In quel lungo, di lettere ne erano arrivate solo tre, ma le parole d’amore che sua madre continuava a scrivergli, e che prima lo avevano riempito di gioia, gli suscitavano adesso una sensazione di profonda inquietudine, come se qualcosa di brutto e inesorabile stesse per accadere. Poi, ad un tratto, di posta non ne era più arrivata.

Dopo la guerra, Dominik era tornato con la zia Emma nella casa di Londra dove ad attenderli c’era lo zio George. Era diventato un ragazzo taciturno e solitario e presto aveva trovato rifugio e consolazione nello studio. Con il passare del tempo, gli zii, che lo aveva accudito sempre con dedizione e avevano cercato in tutti i modi di lenire il suo dolore, avevano scoperto le sue non comuni doti matematiche. Dominik era però interessato anche alle religioni e alle filosofie orientali, e molto presto aveva letto tutti i libri che lo zio possedeva sull’argomento. Nel 1951 si era iscritto alla City of London School dove si era specializzato in fisica, e nel 1952 aveva iniziato a frequentare il King’s College dove in seguito aveva terminato brillantemente gli studi. Ma parallelamente alle scienze esatte, Dominik aveva continuato lo studio della filosofia orientale e della storia delle religioni. Aveva imparato da autodidatta il sanscrito, e il pali da un vecchio archeologo conosciuto durante un seminario sulle religioni orientali. Aveva praticato yoga e frequentato i seminari che si tenevano presso varie succursali londinesi della Società Teosofica.

Nel 1960 aveva concluso un dottorato in fisica delle alte energie. Qualche tempo dopo, ancora giovanissimo, aveva ottenuto una cattedra prima a Edimburgo, dove aveva insegnato per alcuni anni, e poi a Parigi. Ma nella sua lunga carriera non aveva perso mai di vista la passione per la filosofia orientale e aveva elaborato un proprio sistema filosofico secondo il quale la fisica moderna, nelle espressioni della Teoria della relatività e della Meccanica quantistica, era in realtà molto vicina alle credenze e alle teorie degli antichi filosofi e sacerdoti indiani, così come all’antica sapienza cinese. Aveva scritto vari articoli e saggi al riguardo, e verso l’inizio degli anni Ottanta aveva dato alle stampe anche un libro in cui sosteneva apertamenteche esistesse una profonda armonia tra lo spirito della saggezza orientale e le concezioni della fisica contemporanea, e che il linguaggio dei simboli in cui sono scritti gli antichi libri sapienziali dell’antichità non fosse un lessico fantastico, ma un vero e proprio codice scientifico come quelli della matematica e della fisica.

Il libro aveva riscosso un discreto successo di pubblico, ma aveva trovato un’accoglienza fortemente negativa all’interno di una parte del mondo accademico. Per qualche tempo Nelchael aveva continuato la sua attività, finché, ormai completamente isolato, aveva deciso di lasciare l’insegnamento ed era partito per l’Oriente, dove aveva trascorso molti anni. Poi, all’improvviso, era ritornato in Europa e si era stabilito a Praga dove aveva trovato impiego come ricercatore presso l’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca.

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