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Il film Anna Karenina: il peccato del non osato

Più che per il film in sé e per sé dovremmo essere grati all’opera cinematografica Anna Karenina per averci invitato a riflettere e tornare nuovamente sul grande romanzo di Tolstoj. Un’occasione ghiotta comunque da cogliere visto che il tema fondamentale del libro, ovvero il rapporto tra uomo e donna nel contesto sociale è di sempre più lampante attualità in una società che, perduti i punti di riferimento rappresentati dai ruoli tradizionali, non sembra esser ancora riuscita a trovare un nuovo paradigma soddisfacente.

 Il grande romanziere russo, da sempre sinceramente interessato all’organizzazione sociale e ai suoi effetti sulla vita delle persone, analizza i parametri di questo rapporto alla luce dei cambiamenti storici ravvisabili nella morale della società dell’epoca. Un procedimento sostanzialmente inverso e contrario, quindi, a quello seguito dall’altro grande pilastro della letteratura russa e mondiale, Fedor Dostoevskij. Il genio di San Pietroburgo, infatti, si concentra sì sui medesimi cambiamenti epocali che avrebbero poi portato alla Rivoluzione Russa, ma li affrontava leggendoli in chiave essenzialmente filosofico-religiosa scrutando in profondità l’animo e l’anima del singolo. In Dostoevskij le travolgenti storie d’amore, come quelle intrecciate e complicate de L’idiota, sono lo sfondo sul quale si svolge la Storia, per Tolstoj sembrano al contrario esse stesse motore del cambiamento storico.

 Tolstoj si interrogava con onestà sulla questione del rapporto tra uomo e donna perché prevedeva che esso avrebbe risentito profondamente dei cambiamenti evidenti nello spostamento delle frontiere di ciò che era o che non era moralmente accettato dalla società russa del diciannovesimo secolo. Lo scrittore, dunque, si interroga su questioni che allora erano ancora agli albori ma che oggi, al contrario, sono di sempre più premente contingenza. Tolstoj ci pone di fronte, a guisa di due opposti teologici, un caso di adattamento e aderenza felice alla morale e alla tradizione e uno di ribellione e di sovversione che, sull’onda del piacere proibito innescato da un abbandono totale alla propria libertà e alle proprie passioni, si brucia rapidamente come una splendida fiammata per finire nella tragedia e nel dolore della cenere e della morte.

 Lo scrittore è troppo partecipe dei dolori e delle passioni dei suoi protagonisti per riuscire a condannarli; come un padre innamorato dei propri figli, per quanto scapestrati, preferisce non prendere parte al giudizio, come evidente dal suo ottimo romanzo Sonata a Kreutzer, libro di grande intelligenza che vede molto lontano, al limite della lungimirante chiaroveggenza. In questo breve e godibilissimo romanzo Tolstoj sembra adombrare che la destabilizzazione dell’istituto del matrimonio a seguito della sua secolarizzazione, accompagnata dalla progressiva liberalizzazione dei costumi, avrebbe condotto, almeno secondo uno dei personaggi, l’intera società verso una lenta e sicura mercificazione del valore della donna e del suo ruolo. Tutto questo avrebbe potuto trasformare in futuro lo stesso vincolo coniugale in un mercimonio, a sua volta esasperato dalle innate vanità e civetteria femminili sempre meno costrette negli angusti confini del pudore.

 Di tutta questa ricchezza e dei dubbi epocali sulla morale verso cui indirizzare i propri proseliti – in fondo Tolstoj pare sentirsi sempre responsabile in qualche modo della società e delle nuove sfide che essa si trova a dover affrontare – troviamo nell’omonimo film purtroppo poco se non forse la piacevolezza di immagini raffinate, musiche suadenti e costumi eleganti che ricreano alla perfezione la scenografia di un grande melodramma russo ambientato nel XIX secolo, almeno così come entrato a posteriori nell’immaginario collettivo. Ma se il film deve ridursi, alla fine del conto, a questo sfoggio di carineria andando poco oltre, allora, purtroppo, abbiamo perso l’ennesima occasione per rileggere in modo intelligente il nostro passato al fine di poterlo usare con successo nell’affrontare il futuro. Non sono pochi i grandi e costosi remake di opere letterarie o cinematografiche privi di un’anima, di un’interpretazione viva e attuale del messaggio delle medesime. Gli ingenti investimenti e i progressi tecnologici permettono di mascherare e confezionare bene un pacchetto che, alla fine, è quasi vuoto, intorno al quale rimaniamo fermi come adulati e intontiti dall’idea di poter delegare alla tecnologia il compito di rendere il mondo bello e luccicante.

 L’opera di Joe Wright, ad ogni modo, non pecca neanche tanto di esagerazione nello sfoggio di costumi e di salameccosi manierismi; lo si sarebbe anche potuto tollerare se il risultato fosse stato un contenuto più sostanzioso. Il vero peccato è quello di non esser riusciti a sfruttare questa grande occasione di mezzi e di promozione per osare qualcosa di nuovo, di diverso, di proprio, piuttosto che l’ennesimo bel pacchetto di cui ormai non sappiamo più cosa fare. Questo mezzo insuccesso si propone quasi come metafora di una situazione generale più ampia, non solo nel cinema o nelle arti, ma trasversale a tutta la società: rimaniamo attaccati ad un passato che non c’è più e di cui non siamo più in grado di leggere il messaggio. Come dimostra la vita di ognuno di noi, soltanto superando il passato si può procedere verso il futuro. Allora facciamo buon viso a cattivo gioco e rispolveriamo lo splendido romanzo di Tolstoj, scopriremo che ha ancora molto da dirci; come tutti i grandi romanzi, d’altronde.

Karenina

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