Tomáš Sedláček è oggi l’economista ceco più conosciuto, definito dalla Yale Economic Review come una delle cinque migliori teste dell’attuale scienza economica.Con il suo primo libro “L’economia del bene e del male”, che nel 2012 ha ottenuto il premio della Fiera del Libro di Francoforte, ha raccolto un successo inatteso in tutto il mondo.Sono seguite 14 traduzioni e la fama di astro nascente di una visione alternativa dell’economia che non teme scontri con le vecchie e, come dimostrato dalla crisi perdurante, non più funzionali ricette del mainstream, ovvero del cd. Washington Consensus.Dopo la conferenza “La Banalità del Bene”, tenutasi durante la prima Giornata Europea dei Giusti durante la quale ha ricordato il nucleo morale della questione dei valori nell’economia, abbiamo avuto l’onore di intervistare il giovane economista noto per la sua spontaneità e informalità del quale presentiamo per Cafè Boheme le interessanti e ispiranti idee.
Quale è il rapporto, se esiste, tra la crisi economica e i modelli culturali?Detto diversamente:è vero che questa crisi economica è soltanto il lato materiale di una più profonda crisi di valori che il Vecchio Continente sta attraversando?
Quando guardiamo a tutte le crisi che si sono avvicendate in Europa, a partire dal Nuovo Testamento, vediamo chiaramente che noi europei abbiamo una singolare caratteristica: abbiamo la sensazione di essere la culla ma anche la tomba della cultura. Percepiamo sempre moralmente le crisiche attraversiamo. Nell’Antico Testamento la crisi era paragonata ad una sorta di decadenza morale: quando il popolo faceva qualcosa di moralmente sbagliato seguiva la punizione; quando al contrario i re o i giudici agivano secondo giustizia allora arrivava la benedizione, che poteva essere sia politica che economica. Ritengo che questa sia la prima spiegazione in assoluto nella storia del ciclo economico. Quindi la crisi veniva percepita sempre in relazione a qualche cultura o ad alcuni valori. Il Cristianesimo ha successivamente spostato questa etica nell’aldilà. Per molto tempo i cristiani non si sono interessati a questo mondo. Nel XVII secolo in Boemia anche Jan Amos Komenský pensò che stava arrivando la fine del mondo e la decadenza morale. Noi oggi percepiamo le crisi attraverso un’ottica economica. Ma secondo me si tratta sempre dello stesso tema. Siamo una civiltà economica perché per noi i valori più importanti sono quelli economici: ma si tratta pur sempre di valori, che siano economici, culturali, religiosi o di altro tipo. Quindi il legame è evidente, e, dopo tutto, anche adesso l’intero Occidente sta attraversando una specie di penitenza. Abbiamo l’impressione di aver fatto degli errori, ma non sappiamo esattamente quali, vogliamo cambiare e così adesso nutriamo aspettative messianiche verso un nuovo modello che risolverà tutti i problemi.
Anche se spesso non appare evidente, il potere reale non consiste tanto nella ricchezza di materie prime, denaro o tecnologia, quanto piuttosto nei pensieri dominanti che stanno alla base delle ideologie economiche, politiche e sociali.Qual è oggi la situazione di queste élites concettuali?Vale sempre la supremazia delle teorie neoliberiste oppure la crisi ha aperto davvero un nuovo spazio per nuove soluzioni di organizzazione economica?
Già Keynes diceva che il pensiero è al primo posto, dopo viene il denaro. Per tornare alla sua domanda: penso che abbiamo capito che i mercati non sono divini. Io lo descrivo così: l’automobile è una scoperta fantastica, ma in molti paesi è anche diventata la prima causa di mortalità, allora cosa fare? Torniamo ai cavalli? L’auto è semplicemente una creazione umana, non è data dal Signore. Al contrario, l’economia liberista di destra ha sostenuto a lungo che i mercati avrebbero risolto tutto e che i mercati sono una specie di feticcio in grado di trasformare il male in bene e di guidare la società che, al contempo, non deve essere guidata. Si tratta dunque di una specie di unorchestrated orchestrator che non deve essere orchestrato ma che orchestrerà noi. Adesso ci siamo resi conto che se lasciamo il volante le cose si complicano un bel po’. Secondo me la destra non ha portato degli argomenti troppo buoni, si ripete sempre la stessa cosa: è tutta colpa della regolamentazione e la soluzione è deregolamentare. Io vedo le cose così: ognuno di noi si regola in qualche modo e si crea delle regole che poi rispetta o meno. E così è anche in economia. Ad esempio i produttori di scarpe devono mettersi d’accordo in qualche modo affinché le persone abbiano fiducia in queste scarpe. Se si diffonde la sensazione che le persone stanno perdendo questa fiducia, allora poi ci perde tutta l’industria che produce quelle scarpe. Quindi è nel loro interesse che esistano delle regole che disciplinino quel settore. Se questo non accade, poi deve intervenire un qualche regolatore che stabilisca queste regole.
Da una parte abbiamo la forza delle stesse idee ma dall’altra abbiamo i think-tank, le istituzioni e le università dove nascono i sistemi concettuali dominanti. È naturale che i finanziatori più ricchi concedano i propri favori e i propri mezzi a quelle idee che fanno loro più comodo.Viviamo dunque in una qualche forma di dittatura economica di una ristretta élite di superricchi?
Io non soprovvaluterei il ruolo dei soldi. Si dice:„you can fool some people, but you can’t fool all the people all the time“. Lo si vede bene nelle elezioni presidenziali che abbiamo avuto in Repubblica Ceca. C’erano dei candidati che hanno versato decine di milioni nella campagna elettorale e non hanno preso lontanamente i voti che hanno preso altri che hanno speso solo poche centinaia di migliaia di corone. Quindi il pensiero ha sempre la priorità sul denaro. Non penso che esista un qualche gruppo finanziario che comanda tutto, il sistema è troppo complicato perché le cose possano funzionare così. Provate a organizzare la pulizia di un condominio dove vivono venti persone e vedrete quanto è difficile. I problemi accadono sempre, conosciamo lo scandolo del LIBOR (si tratta del tasso di interesse londinese al quale le banche sono disposte a scambiarsi liquidità, spesso viene utilizzato come punto di riferimento per gli altri tassi di interesse, NdR), ma io non penso che questo sia il nostro destino. Esagerando un po’ possiamo fare l’esempio di Cristo oppure del Buddha che si sono imposti con la forza delle loro idee e parole e non con il denaro o il potere.
Facendo una piccola deviazione potremmo dire che anche la fisica quantistica sta andando in questa direzione nel momento in cui ci mostra che il rapporto causa-effetto potrebbe essere completamente opposto a quello che pensiamo e che la mente probabilmente è il principio di tutto il possibile.
La fisica quantistica ha molto da insegnare all’economia. L’economia che conosciamo ha appreso dalla fisica classica piuttosto che dai modelli più moderni dove, estremizzando, anche il singolo fotone ha una determinata sensibilità al fatto di essere percepito o meno. Quindi la semplice causalità cartesiana nella fisica è stata superata mentre in economia sembra che crediamo ancora in una specie di clockwork organge, l’arancia meccanica.
Come sappiamo Adam Smith era professore di filosofia morale.L’economia quindi è nata nello spazio della questione morale e non in quello delle scienze esatte. È
arrivato il momento per altri pensatori, come può essere Žižek, di iniziare a metterci bocca e gli economisti meno?
John Stuart Mill ebbe a dire che „non sarà mai un buon economista colui che è soltanto un economista“. Adorno ha aggiunto che questo è valido in generale: un musicista che è solo un musicista non è affatto un musicista, è solo un idiota. Per me l’economia è una scienza sociale e con il mio libro ho cercato in qualche modo di portarla, o riportarla, in quello spazio visto che, a ben pensarci, è lì che tutto ebbe inizio. Nutrivo un ideale rinascimentale dove vedevo me occuparmi di economia, l’altro di storia, l’altro ancora di antropologia e quell’altra di sociologia, poi ci saremmo incontrati e avremmo messo tutto insieme, ma ciò non è accaduto. Quindi in un certo senso anche la nostra società può essere descritta come una „società di fachidioti“, in tedesco con la parola fachidiot si descrive una persona che è estremamente esperta di un piccolo settore ma che non capisce niente di tutto il resto e fa conclusioni sbagliate. Penso che la conoscenza dovrebbe avere entrambi gli elementi. Nella fisica lo si vede bene: quando leggete i libri divulgativi vedrete che la fisica viene messa in relazione alla filosofia e alla teologia. Ed è di questo che abbiamo bisogno anche nell’economia: è necessario avere il lato approfondito rappresentato dalle persone che cercano di scoprire se theta è 0,4 oppure 0,5 e lo fanno tutta la vita – ed è necessario rispettarli -, allo stesso modo però è necessario rispettare anche le persone che cercano di trovare nessi più ampi per questa disciplina.
Esiste uno spazio in questo senso in Repubblica Cechia?Vede un qualche sviluppo?
La crisi ha costretto anche me a riflettere su contesti più ampi, così la sera ho iniziato a studiarmi la filosofia e durante il giorno facevo il mio lavoro di analista. In una certa misura questo libro è il risultato di tutto ciò e sono felice che abbia trovato una comunità di lettori così ampia, non me lo aspettavo. C’è interesse per queste cose, non è più possibile continuare a ripetere sempre le vecchie conclusioni che abbiamo calcolato tanto tempo fa, dobbiamo legarci anche ad altri settori. E qui sta il problema della politica. Il politico non deve ascoltare soltanto un gruppo, ad esempio gli economisti, come è oggi comune fare Al contrario deve essere in grado di percepire la situazione sociale e ascoltare anche i filosofi, i teologi, i sociologi, gli psicologi etc.
Negli ultimi anni in Italia si è cominciato a parlare del signoraggio, ovvero dei guadagni delle banche derivanti dal potere di stampare la moneta.Al momento stesso, però, sappiamo che ogni banconota stampata, riconosciuta dalla società come portatrice di un dato valore in denaro, rappresenta anche un debito che dobbiamo pagare affinché sia rispettato il patto sociale.Questo debito, però, è nelle mani delle banche centrali che si stanno trasformando sempre di più in soggetti privati distanti dai bisogni della società nascosti dietro la maschera dell’ “indipendenza”.A chi rispondono davvero questi soggetti e quali interessi e fini perseguono?
Da noi la banca centrale è ralmente indipendente, qui in Repubblica Ceca abbiamo una tradizione relativamente forte, quasi tedesca. L’indipendenza delle banche centrali è una delle conquiste della nostra civiltà, sappiamo infatti che per il politico la tentazione di stampare moneta è troppo grande e sono in pochi i politici, o le politiche, capaci di resistere. Penso che anche la politica fiscale dovrebbe andare in una direzione simile di depoliticizzazione. Lo stato ha due leve con le quali può influire un poco sulla politica economica: una è la politica monetaria, ovvero in sostanza il monopolio dello stato di stampare moneta, e l’altra è la politica fiscale, che è invece il monopolio dello stato di stampare debiti. Già da tempo vogliamo che la politica monetaria sia apolitica in modo che funzioni secondo una qualche regola che non sia politicamente manovrabile. Penso che dovremmo fare così anche nella politica fiscale; che sia il popolo a decidere liberamente se vuole essere una nazione con basse tasse e basse spese, come per esempio gli USA, oppure una nazione con imposte elevate e spese elevate, come per esempio il modello nordico. Ma non è possibile – anche se spesso la democrazia ce lo fa quasi credere -, scegliere uno stato con imposte basse e spese elevate.
Poi esiste anche la via italiana di imposte elevate e nessun servizio…
Esatto, anche questa non è una combinazione auspicabile, ma credo che un politico non dovrebbe avere il potere di stampare a piacere il denaro, ed è per questo che l’Europa con l’inflazione non ha problemi grossi come quelli che ha con il debito. Il peccato della politica monetaria è l’inflazione, il peccato della politica fiscale è invece l’indebitamento.
Ok, abbiamo una banca centrale indipendente dalla politica, ma poi nella realtà sono le persone a dirigerla, e quali sono gli obiettivi perseguiti da queste persone?Una bassa inflazione?Bene, ma a quale scopo?La maggior parte delle persone probabilmente accetterebbe un’inflazione più alta in cambio di maggiore occupazione a seguito di una politica monetaria espansiva.
Ed è proprio questo il problema, la maggior parte delle persone direbbe di sì a questa offerta. Per questo la politica monetaria non è propriamente democratica, non eleggiamo il governatore della banca centrale. In realtà, sia la politica monetaria che quella fiscale sono dei trucchi. La politica monetaria finge che ci siano più soldi di quanti in realtà ve ne sono, e potenzialmente pecca proprio su quello che dovrebbe proteggere, ovvero il valore del denaro. La politica fiscale al contrario finge che ci sia la domanda quando la domanda non c’è. Se l’economia è in recessione, allora lo stato può ricorrere a qualche trucco creando in modo artificiale la domanda, in pratica si sostituisce al mercato. Se lo facessimo bene, ovvero se risparmiassimo durante gli anni buoni, poi avremmo un saldo positivo delle finanze pubbliche con il quale durante la crisi ci potremmo permettere di spendere più di quanto raccogliamo perché abbiamo risparmiato, ma non lo facciamo. Per questo adesso vediamo che molti paesi occidentali applicano misure di risparmio nel bel mezzo della crisi perché nei periodi buoni hanno fatto una politica di sprechi. In pratica abbiamo gestito la politica fiscale al contrario.
Quindi dovremmo legare di più le mani ai politici?Ma questa è la democrazia:i politici in fondo reagiscono alle aspettative degli elettori.Viviamo in un doppio mondo:quello prima delle elezioni, quando il governo spende e spande, e quello del dopo elezioni, quando invece risparmia.Ma in fondo la persona comune della strada ha diritto di votare colui che gli offre un qualche lavoro, ha bisogno di lavorare e non gli interessa con quali soldi lo pagheranno.
Sì, questo si può fare in momenti di emergenza quando si può fingere che ci sia una domanda superiore ma non è possibile farlo all’infinito. Dobbiamo renderci conto che la democrazia come tale molto spesso si appoggia su pilastri non democratici. Prendiamo per esempio la giustizia: nessuno di noi vuole che il giudice segua la vox populi:anche se tutto il popolo gridasse „alla forca, alla forca“, il giudice non lo deve ascoltare e deve giudicare l’imputato secondo la legge. Infatti non eleggiamo i giudici ma li nominiamo. La politica monetaria funziona in modo simile, non eleggiamo il governatore della banca centrale in base a quello che promette, ma lo nominiamo. Con l’inflazione può sembrare che le cose stiano come dice lei. Perché mi dovrebbe dar fastidio un’inflazione del tre o del cinque percento, ma il problema dell’inflazione è che è estremamente scivolosa, poi è necessario che la banca centrale inizi a ritirare quei soldi dalla circolazione ed è una cosa molto dolorosa che nessuno ha voglia di fare. E così finisce che viene fatta solo la parte piacevole e raramente arriva il turno di quella spiacevole, ed è proprio qui che sta il trucco. Per questo penso che sia meglio che non lo facciano i politici o le persone che hanno un conflitto di interessi perché per il politico la rielezione sarà sempre la sua priorità. Che i partiti e i politici si confrontino su chi riesce meglio a gestire lo stato oppure su chi riesce ad acquistare quello che le persone desiderano, che siano le autostrade oppure le scuole; ma che non concorrano su chi è più bravo ad indebitare maggiornamente e con costanza il paese. Per questo propongo che ci sia un qualche organismo indipendente, nazionale o ancora meglio europeo
Le pesanti misure economiche neoliberiste si sono sempre presentate sotto la promessa del cd. effetto trickle downche però evidentemente non ha avuto luogo.I ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.A questo si aggiunga anche la classe media che si impoverisce.La correttezza delle teorie neoliberiste non viene allora messa del tutto in discussione proprio dai risultati sbilanciati della sua applicazione reale?Il salumiere vorrà sempre sostenere la vendita dei suoi salumi, è del tutto naturale.Meno naturale però è che l’intera società, nella quale c’è solo una piccola percentuale di salumieri, assuma come propria l’ideologia “del salumiere”.Dov’è l’equilibrio ottimale?
È giusto che il salumiere più bravo faccia i salumi, il problema sta nella definizione di salumiere più bravo: si intende quella persona che conosce bene le carni, i loro sapori, è in grado di lavorare in modo igienico, corretto e in modo continuativo oppure è quella persona che sa fare i salumi solo nel breve periodo a prezzi bassi oppure ha una pistola? Nel momento in cui accettiamo la regola che nella battaglia concorrenziale nella produzione dei salumi è lecito utilizzare la pistola, allora vincerà il salumiere più bravo, ma questo significherà che è il più bravo nel minacciare gli altri e non nella capacità di preparare i salumi migliori e più buoni. Questo è il ruolo della regolamentazione. Funziona così anche nello sport: quando giochiamo a calco abbiamo bisogno di avere regole chiare e date che vengono rispettate, secondo è necessario avere un arbitro, altrimenti invece del calcio in pochi minuti avremo la box. Tocca quindi al regolatore e ai giocatori decidere a quale gioco intendono giocare: sarà il gioco dei migliori salumi oppure del tiratore più bravo? Qui sta l’equilibrio.
Dietro la pressione delle istituzioni internazionali i paesi indebitati come l’Italia e la Grecia hanno delegato i propri governi direttamente a funzionari bancari come Monti e Papadémos.Ciononostante il debito non è stato domato.Al tempo stesso le istituzioni finanziarie di tutto il mondo chiedono a gran voce la diminuzione dei debiti pubblici.Possiamo dire allora che gli economisti hanno fallito nel ruolo di politici?
È una buona domanda perché l’intero problema che stiamo vivendo sta nell’economia, la domanda è se potremo tirarcene fuori con ancora più economia. In un certo senso non è assolutamente detto che gli economisti ne capiscano più di chiunque altro. La questione è se la soluzione della crisi economica passa per più economia, maggiore produttività e più pensiero economico. Adesso è tardi per spegnere l’incendio. È come se avessimo i postumi di una sbornia e cercassimo di eliminarla, ma questi postumi non sono il problema che invece è l’abuso di alcool della sera precedente, quindi il problema forse sta nell’uso eccessivo di questo tipo di pensiero economico. In sostanza il nucleo del problema della crisi non sono questi postumi ma la sera precedente.
Nel libro molto interessante “Il debito: i primi cinquemila anni” si descrive la storia dei debiti e come in pratica il debito rappresenti soprattutto uno strumento di potere il cui rifiuto ha già avuto luogo diverse volte nella storia.Non troppo tempo fa l’Islanda si è rifiutata di riconoscere il proprio debito nei confronti del Regno Unito e dei Paesi Bassi, cosa passata sotto silenzio dalla stampa ceca.Qual è la legittimità degli enormi debiti pubblici moderni e quali sono gli strumenti per rifiutarli e che chance hanno?
Questo è il problema della colpa collettiva che è un tabù nell’etica. La divisione del lavoro e del valore funziona quasi perfettamente, siamo in grado di calcolarlo al centesimo, per questo abbiamo anche l’imposta sul valore aggiunto, ma la colpa non è così semplice da dividere. Facciamo l’ipotesi che io uccida una persona e che mi diano 42 anni di carcere, se lo uccidiamo insieme però non è che io ne prendo 21 e lei pure 21, al contrario prenderemo entrambi 42 anni. Quindi nella specializzazione la colpa non si divide, al contrario si cumula. In fin dei conti il papa Giovanni Paolo II parlava delle strutture del peccato, ovvero delle strutture dove tutti sono molto onesti, pii, ma alla fine viene comunque commesso un qualche peccato. Dicendolo in modo un po’ brutale è il caso dei processi di Norimberga: „non è colpa nostra, noi abbiamo solo rispettato la legge“, ma alla fine il risultato è stata un’etnia quasi sterminata. Allora dov’è l’errore? È colpa dei generali che non hanno ucciso nessuno ma che inventavano quelle regole? Oppure sono colpevoli i soldati che hanno rispettato quelle regole? Un altro modo di guardare alla questione è il funzionamento dei sistemi come tali. Fateci caso, nemmeno i sistemi puramente razionali, matematici funzionano. Prendiamo per esempio un software come può essere windows, mac os, android o qualsiasi altro. Esso è solo matematica, razionalità, pura logica, nessuna psicologia, nessun complesso di Edipo, nessuna religione, eppure anche questi sistemi di tanto in tanto si bloccano e li dovete resettare. Quindi nessun sistema, per quanto pianificato in modo razionale al 100% e a livello teorico completamente funzionante, sarà mai perfetto. Non c’è di che stupirsi, allora, se accade anche a tutta la società, e secondo me questo è proprio quello che è accaduto adesso. Gli antichi questo lo sapevano, nell’Antico Testamento ma anche nella legge babilonese esisteva una specie di „reset“. Ad esempio nell’Antico Testamento una volta ogni 49 anni veniva fatto il reset e si ricominciava, questo anno di grazia, una volta ogni 49 anni, aveva proprio lo scopo di far ripartire il sistema e cancellare i debiti. Noi ce ne siamo dimenticati. Nel momento in cui so che ogni computer si blocca più o meno una volta alla settimana, allora è meglio farlo ripartire la domenica sera quando c’è più calma. Se non lo faccio poi, come succede sempre, accadrà nei momenti peggiori. Inoltre quell’anno di grazia, oltra al restart, aveva anche un buon effetto antimonopolio. Prima parlavamo della concentrazione del potere, il capitalismo allo stato puro spesso, ma non sempre, ha la tendenza al monopolio. In altre parole la concorrenza tende verso la non concorrenza. Il sogno di ogni concorrente è che non ci sia la concorrenza e che lui diventi un monopolista. Di fatto questo è anche il principio di tutti i giochi, per esempio il Monopoli, visto che parliamo di monopoli. Si inizia con un’organizzazione comunista, tutti abbiamo gli stessi soldi e le stesse chance di vincere, poi per esempio vince lei, ma dopo giochiamo di nuovo, rimettiamo i soldi nella scatola e resettiamo. Si immagini di giocare a questo gioco a 18 anni, dovremmo poi forse pulirle le scarpe tutta la vita? Naturalmente non vogliamo questo. In questo modo si potrebbe comprendere la frase altrimenti difficilmente comprensibile di Gesù „a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quel poco che ha“. Per me in questo modo si descrive il principio puro del capitalismo senza nessuna correzione, perché questa in sostanza è la sua natura.
E ora una domanda secca:il debito mondiale complessivo, pubblico e privato, viene stimato in circa 50.000 mld. $. Dove sono questi soldi e a chi li deve il mondo?
Li deve al suo stesso futuro. Il prestito è qualcosa come una duplicazione dei soldi: io ho la sensazione che i miei soldi siano in banca, ma in realtà non ci sono perché la banca li presta a qualcun altro che magari ci costruisce un palazzo. E i suoi soldi in realtà sono i miei, ma al tempo stesso sono anche i suoi. Se io volessi quei soldi subito, non ce li troverei. Quindi il sistema bancario è instabile nel tempo, è stabile soltanto nel lungo termine, quando ciò viene meno a causa della sfiducia poi il sistema collassa. Siamo debitori verso noi stessi di quei soldi perché quei soldi sono in due o più posti nello stesso momento.
Tornando un attimo alle teorie complottiste, volevo chiederle se pensa che l’esoterismo gioca un qualche ruolo nell’economia mondiale oppure no?
Io penso che chi crede alle teorie complottiste è un ottimista. Se qualcuno controlla il sistema e riesce a farlo in modo così geniale, allora è davvero un ottimista. Molto più inquietante è pensare che non c’è nessuno al comando e che tutto si sviluppa in un certo modo. Per quanto riguarda l’esoterismo comprensibilmente non è un segreto che ogni investitore creda in qualcosa, ha i propri talismani oppure principi che sono assolutamente irrazionali, la teoria infatti a volte aiuta, ma a volte no. Se ci fosse un modello, allora poi i mercati non dovrebbero necessariamente funzionare. In altre parole, se tutti sapessimo qual è il cavallo vincente, poi non avrebbe senso scommettere. Questo è il problema dei mercati di capitali: tutti vogliono sapere chi vincerà, ma per principio non è dato saperlo, e se lo è, la scommessa degli investimenti non avrebbe più senso. Ci deve essere qualche incertezza. È possibile barare in tanti modi, ma dal punto di vista filosofico, oppure teorico, non è possibile conoscere il risultato prima.
Se la si affronta bene la crisi può essere anche buona. Jung diceva che senza crisi non cambia niente, men che mai poi la natura umana. Tutto attraversa un qualche cambiamento, un qualche ciclo. Anche nella nostra vita ci sono i cicli, gli anni migliori e quelli peggiori. Quindi, se si dà ascolto correttamente alla crisi, vediamo che essa cerca di farci progredire. La crisi buona è quella che fa male ma che non uccide e ci spinge avanti. Un esempio semplice: mi fa male un dente, ma non troppo, ogni mattina ci bevo su un po’ di grappa e così più o meno si va avanti, non vado dal dottore e magari sviluppo pure una dipendenza dall’alcool. Ma se all’improvviso il dente comincia a farmi male sul serio, allora nel giro di due ore sono dal dottore, il giorno dopo il dente non mi farà più male. Questa è la misura giusta del dolore che mi costringe ad andare dal dottore e fare qualcosa. Ad esempio a me è successo che avevo dei problemi con la ruota anteriore, ma non era un problema grave, la macchina funzionava bene. Poi un bel giorno, mentre stavo guidando, all’improvviso vedo la ruota anteriore rotolare via, ecco, questa era una crisi che mi avrebbe anche potuto uccidere. Per fortuna tutto è andato bene, ma è questo che avevo in mente. Dal punto di vista filosofico quando passiamo da un livello di ordine ad un livello superiore di ordine nel mezzo viviamo sempre un caos maggiore. Quando gli ebrei abbandonarono l’Egitto dovettero attraversare il deserto e così via. Sembra che questo sia un principio comune, non solo economico
Visto che parliamo del rischio e dell’azzardo, torniamo alle banche.In che misura percepiscono davvero il rischio delle proprie attività quando abbiamo visto che gli stati sono stati praticamente costretti a salvarle.Il tasso di interesse è un premio per il fatto che la banca presta a qualcuno e si assume in questo modo un rischio, ma qui sembra che le banche abbiano quasi la sicurezza di non perdere quei soldi
In questo senso è interessante proprio il caso di Cipro dove adesso si parla delle remunerazioni dei manager. Ora sappiamo che non siamo in grado di dire se quel manager era o non era bravo. In altre parole non sappiamo se si è meritato quei premi, lo possiamo dire solo dopo cinque o dieci anni. La mia proposta è che i manager prendano il loro stipendio ma che i premi arrivino solo dopo dieci anni quando si dimostrerà se è stato davvero bravo o no. Nel momento in cui la banca dovesse avere dei problemi, allora al contrario si potrebbero utilizzare questi soldi per risanarla. Anche quando comprate delle scarpe non riconoscete subito se sono buone o no, e avete il diritto entro due anni di restituire le scarpe prodotte male e ottenere indietro i soldi. Ciò significa che il venditore vende per davvero quelle scarpe solo tra due anni. Si potrebbe pensare a qualcosa di simile anche per i manager, e magari anche per altre funzioni. Questo cambierebbe anche la motivazione dei manager che non sarebbero più spinti a gestire l’azienda in un’ottica solo di breve termine e invece cercherebbero di evitarle problemi per almeno dieci anni.
Parliamo di protezionismo.In Europa abbiamo aperto le frontiere economiche e in qualche modo la nostra ricchezza si è sparpagliata in giro per il mondo. Ègiusto che le aziende scelgano il luogo dove produrre in base a dove convenga loro.Questo però comporta la distruzione di massa dei posti di lavoro in Europa, anche se d’altra parte abbiamo prodotti più economici.Come stanno le cose con la specializzazione?Non diventeremo tutti dei vulnerabili “fachidioti”?
È vero, in fondo questa è l’altra faccia della medaglia della specializzazione, quando entrate in un qualche tipo di rapporto, sia personale che commerciale, diventate poi dipendente dall’altra persona. Saint-Exupery lo descrisse molto bene nel Piccolo principe, nel momento in cui addomestica quel fiore poi le sue emozioni sono un po’ anche in quel fiore, in pratica si tratta di un investimento di emozioni che poi ci fa soffrire nel momento in cui il fiore sta male. E così oggi soffriamo perché la Grecia vive la situazione che sta vivendo. L’economia ha la tendenza a unire cose diverse. Adam Smith disse che la ricchezza delle nazioni non consiste nella quantità di banane oppure di oro o di minerali di cui disponiamo, ma consiste nella specializzazione. Io aggiungo che la specializzazione è possibile solo tra persone che sono diverse. Quindi l’economia è in grado di avvicinare i popoli, addirittura direi molto più che la cultura o la religione. Senza l’economia dell’Unione Europea, se la Grecia avesse attraversato 100 anni fa quello che sta vivendo adesso, allora l’unica cosa di cui adesso parleremmo sarebbe come attaccarla. Che gioia avrebbero avuto gli inglesi 100 anni fa se avessero saputo che gli irlandesi sono andati in bancarotta, oppure gli slovacchi se avessero saputi che gli ungheresi sono falliti. Adesso nessuno ne gioisce, e al contrario proviamo davvero ad aiutarli. Questa è veramente la prima grande crisi finanziaria che l’Europa ha attraversato senza bagliori di guerra, e questo perché nell’Unione Europea non c’è più la tentazione del dumping. Il primo esempio di dumping è la svalutazione, in inglese beggar-thy-neighbour policy, in realtà la svalutazione non aumenta la concorrenzialità di una data nazione, ma diminuisce la concorrenzialità dei partner commerciali. Storicamente le svalutazioni non hanno funzionato. L’Europa lo ha fatto per centinaia di anni e non ha portato a niente, non a caso si parla di guerra commerciale. E spesso le guerre commerciali si trasformano in vere guerre sanguinose. Nessuno vuole questo.
Mi ricordo di aver letto un giorno che la globalizzazione buona è quella che, accanto alla cucina tradizionale, porta anche i negozi con il kebab, mentre la globalizzazione cattiva è quella che porta ovunque solo gli stessi identici Mc Donald’s e a causa di ciò spariscono i ristoranti tradizionali.Quindi standardizzazione oppure differenze?
Io sono per le differenze. Purtroppo lo si vede molto in America dove per l’appunto spariscono i buoni ristoranti locali e ovunque si trovano soltanto queste catene. Che cosa c’è di sbagliato nel Mac Donald’s? Io non ho niente in contrario, il cibo che servono complessivamente mi piace. Insieme a mia moglie ci abbiamo pensato sopra e ci siamo accorti che esso non crea una comunità. L’unica cosa che conta è il cibo. Quando scelgo un qualche ristorante magari ci vado perché conosco il cuoco o il proprietario, al contrario nei fast foods l’unica cosa che conta è mangiare. E lo stesso vale per l’economia. Quando l’economia sarà soltanto economia, allora sarà come in quei fast food dove conta soltanto mangiare, niente di più. Solo sfamarsi.
Quando ho letto l’interessantissimo libro Il tao della fisica di Fritjof Capra mi sono detto che Tomáš Sedláček è un economista olistico che magari porterà un nuovo paradigma economico. È così?
Io cerco piuttosto di introdurre un livello multiparadimatico, ciò significa che non dobbiamo cercare di creare un qualche paradigma che funzioni sempre, in sostanza non dobbiamo fare dei nostri paradigmi dei feticci. Va bene, abbiamo un modello, ma è solo un modello, ciò significa che esiste una data probabilità che non funzioni così, non è la santa verità. È soltanto un’automobile, e l’automobile può avere un’avaria. I tassi di interesse di cui parlavamo mi ricordano un po’ gli airbag che funzionano sempre ad eccezione degli incidenti d’auto. Lo si vede bene propri nei tassi di interesse: tutto funzionava bene, avevamo un’assicurazione contro tutto, e all’improvviso boom, e non funziona più niente. Se siamo riusciti a pensare dell’economia in modo un po’ diverso, allora il mio obiettivo è stato raggiunto. Quando la nostra ottica cambia, improvvisamente scopriamo molte cose interessanti. Anche se ritengo che l’economia matematica abbia potuto mostrare alcune cose interessanti, ma non tutte, forse quell’ottica si è esaurita, ciononostante spero che questo nuovo paradigma sarà utile e magari in questo senso questa crisi ci aiuterà a riflettere.
Di: Andreas Pieralli e Mauro Ruggiero