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I massoni in Italia, terra di confine tra fanatismo e libertà

Sabato 6 aprile si è svolta all’Università di Los Angeles (California, USA) la 2^ Conferenza Internazionale sulla massoneria, promossa dall’Istituto per gli studi  massonici della Gran Loggia di California, presieduto da Margaret Jacob, studiosa di prestigio internazionale assoluto, e dall’UCLA (University of California, Los Angeles).

L’Italia è stata rappresentata da Aldo A. Mola, autore della nota Storia della massoneria italiana (Milano, Bompiani, 1976,  VIII ristampa della 3^ edizione, 2012) e di varie altre opere sull’argomento.

La conferenza di Mola Masons in Italy: Borderland betweeen Fanaticisms & Liberty: è un ampio affresco sulle maggiori difficoltà incontrate dalla Libera Muratoria in un Paese nel quale essa è stata talvolta conosciuta, mai riconosciuta, quasi sempre perseguitata e screditata.

Di seguito l’intervento di Mola
1-  Le origini

 

In Italia la Massoneria iniziò a diffondersi dal 1730, per opera di massoni inglesi a Firenze. Sono state avanzate molte ipotesi su logge fondate a Napoli o a Roma prima di quella data, ma non esiste documentazione convincente. Sappiamo di sicuro che la massoneria in Italia arrivò dall’estero e che per molti decenni i massoni in Italia rimasero gruppi di poche decine di affiliati.  Le logge vennero formate da aristocratici, studiosi, persone ricche e colte. Nella maggior parte delle logge vi furono anche ecclesiastici.

In Italia la Massoneria cominciò a diffondersi in coincidenza con tre eventi fondamentali. In primo luogo, dopo secoli di stabilità, vi furono cambiamenti politici profondi.

Al dominio della Spagna, che controllava direttamente o indirettamente quasi tutta l’Italia, nel 1713-1714, cioè dopo la guerra di successione sul trono di Spagna, subentrò l’impero d’Austria, che ottenne Milano e l’Italia  meridionale. Nel 1738, dopo la guerra di successione sul trono di Polonia, l’Austria venne sostituita nel Regno di Napoli e di Sicilia dai Borbone di Spagna, cioè la stessa dinastia che sedeva sul trono di Francia. Il cambio venne bilanciato con l’assegnazione della Toscana all’imperatore d’Austria, Francesco Stefano di Lorena, massone, marito dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, iniziato alla massoneria.

La pace di Aquisgrana (1748), a conclusione della guerra di successione sul trono imperiale, a Vienna, confermò gli equilibri esistenti. Risultò evidente il declino di Stati un tempo potenti, come la Repubblica di Venezia e lo Stato Pontificio. Le Repubbliche di Genova e di Lucca erano piccole e deboli.

La seconda trasformazione riguardò la vita culturale. Essa ebbe i suoi centri vitali a Napoli, dal 1734 capitale di un regno autonomo con Carlo III di Borbone, un sovrano riformatore,  e a Milano, entrata nell’Impero d’Austria.

Il terzo cambiamento si intrecciò con quelli politici e culturali e riguardò la vita religiosa. Finite le guerre di religione, la cristianità rimase divisa, non solo tra Occidente e Oriente ma anche tra cattolici, evangelici e  riformati. La Chiesa cattolica esaurì la spinta innovatrice e condannò il giansenismo (Clemente XI) e cercò il dialogo con i  protestanti (Benedetto XIV, 17401758).  Nel  1773 papa Clemente XIV sciolse la Compagnia di Gesù, fino a quel momento molto influente sulla vita intellettuale e politica, ma ormai in conflitto con potenze cattoliche (anzitutto i  Borbone) e con la cultura dei Lumi.

Inizialmente le logge furono strumento di penetrazione in Italia degli  inglesi, i quali temevano che il Mediterraneo divenisse un lago dominato dai Borbone, il cui potere andava dalla Spagna all’Adriatico. Gli inglesi mirarono a creare una opinione favorevole nei circoli colti, puntando specialmente sugli studi di antiquaria, arte, storia.  In secondo tempo fu la  massoneria francese a diffondersi in Italia, dal regno di Sardegna, che era lo stato militarmente più forte della penisola, al ducato di Parma (passato ai Borbone) e altri centri.

 

2. La Chiesa  di Roma scomunica la massoneria

 

La Chiesa ebbe subito motivo di preoccuparsi per la diffusione della massoneria. La reazione del Papato fu immediata e coincise con l’assegnazione della Toscana alla Casa di Asburgo, più tollerante dei Borbone nei confronti di luterani, evangelici ed ebrei. La presenza di massoni inglesi, quindi anglicani o evangelici, allarmò il Papato, che si  sentì  minacciato.

Il programma della massoneria non era affatto chiaro.  Non si sapeva che cosa davvero avvenisse nelle logge, sospettate di essere centro di intese segrete tra forze nemiche o indifferenti al primato dei Papi.

Nel 1738 papa Clemente XII usò l’arma più forte: la scomunica dei massoni dalla chiesa. Nel 1739 il segretario di Stato, cardinale Ercole Firrao, aggiunse la condanna dei massoni a pene severissime, compresa la morte e la confisca dei beni. La Chiesa era sicura che gli altri sovrani d’Italia, tutti cattolici, avrebbero seguito l’esempio e avrebbero vietato e perseguitato i massoni. Invece le logge continuarono a diffondersi, sia pure con molta prudenza. In Italia i circoli massonici erano piccoli ma influenti. Lo si vide a Napoli, ove il massone più prestigioso fu Raimondo Sangro di san Severo, un principe molto ricco, colto, di spirito indipendente, fondatore della prima Gran loggia italiana.

Nel 1751, cioè tre anni dopo il trattato di Aquisgrana che aprì mezzo secolo di pace in Italia, papa Benedetto XIV, un pontefice di vasta cultura, in corrispondenza anche con Voltaire e altri esponenti dell’Illuminismo,  confermò solennemente la scomunica.

La Chiesa rifiutò totalmente la massoneria. La considerò pericolosa sia per la stabilità politica sia per il primato teologico della Cattedra di Pietro. La scomunica della massoneria è stata e viene generalmente considerata una manifestazione di intolleranza da parte della Chiesa, di rifiuto del dialogo e di negazione della fratellanza. Il Papato, però, non aveva alcuna ragione di essere tollerante e di dialogare con quello che considerava un nemico pericoloso. La Chiesa si fondava sul primato dottrinale del successore di Pietro: una prerogativa che fu poi definita nel dogma dell’infallibilità dei pronunciamenti del  pontefice “ex cathedra”, cioè in materia di fede. Dal suo punto di vista, la chiesa non poteva agire diversamente. Altrettanto facevano le autorità delle altre confessioni cristiane e, al loro interno, quelle della religione israelitica.

Perciò in Italia la massoneria si trovò a vivere in una condizione ambigua. A differenza di quanto accadde in altri Paesi europei, quali la Gran Bretagna, la Francia, i Paesi Bassi, gli Stati baltici e, naturalmente, le colonie inglesi della nuova Inghilterra, in Italia la massoneria non si dette mai una organizzazione ufficiale, alla luce del sole.

I massoni furono costretti a nascondersi e quindi divennero sempre più sospetti. La necessità di mantenere il segreto per evitare persecuzioni, processi e condanne determinò gravi conseguenze. Il pensiero massonico non poté circolare liberamente, tramite libri, rituali, catechismi. Il risultato fu che esso rimase oscuro anche ai suoi adepti e mancò una unità della massoneria.

La massoneria risultò opposta allereligioni del libro”. Fu una somma di simboli  e di messaggi orali.  Perciò si prestò a  manipolazioni e a  interpretazioni, a  “eresie”. José Antonio Ferrer Benimeli afferma che la massoneria ebbe radici cristiane, main un’età di divisione della cristianità in tante confessioni,  la religiosità e la spiritualità non bastavano certo a impedire condanne e  scomuniche da parte della Chiesa di  Roma, come già era accaduto per tante altresette”. 

Ogni gruppo (o loggia) interpretò la massoneria secondo l’insegnamento di chi via via organizzò e diffuse le logge.

E’ molto significativo il caso della diffusione in Italia della Stretta Osservanza e del mito dell’origine della massoneria. Il fallimento del Convento di Wilhelmsbad, (1780-1782) che avrebbe dovuto chiarire una volta per tutte se la massoneria discendeva dai crociati (come asserire da Michel de Ramsay sin dal 1737)  e specificamente dai Templari (come affermava la Stretta Osservanza) ebbe influenza anche in Italia perché molti affiliati rimasero delusi e contrariati. Ai loro occhi la  massoneria risultò un “grande nulla” (come sentenziato da Federico II di Prussia al quale poi vennero  fantasiosamente  attribuite  le “grandi costituzioni” del Rito scozzese antico e accettato) .

 

  3Massoneria e illuminismo

 

I principali circoli culturali italiani della seconda metà del Settecento, da Milano a Firenze e Napoli contarono anche massoni, ma non è affatto provato che le logge fossero il laboratorio delle riforme e dell’illuminismo.

E’ il caso di Milano, ove i fondatori della rivista “Il Caffè”, non erano massoni. Non lo fu neppure Cesare Beccaria, il giurista italiano più famoso, che propose l’abolizione della tortura nel processo penale e della pena di morte. Anche a Napoli vi furono illuministi massoni ma molti tra i giuristi, medici, scienziati e uomini politici più innovatori non erano affatto massoni.

Negli ultimi anni del Settecento i massoni d’Italia erano molto diversi. In Piemonte vi erano aristocratici e militari molto conservatori e scienziati come Sebastiano Giraud  di orientamento “democratico”. A Napoli vi erano massoni fedeli al modello inglese mentre altri ritenevano che la massoneria fosse una scuola politica. La figura più interessante dell’epoca fu Antonio Jerocades, un sacerdote  calabrese, convinto che le logge dovessero svolgere una missione civile e politica.

Jerocades ebbe dalla Madre loggia di Marsiglia speciali patenti per rinnovare la massoneria del Mezzogiorno d’Italia ed espose il suo pensiero in poesie pubblicate nel poema La Lira Focense (1783).

Aveva già pubblicato Paolo, o sia l’Umanità liberata (1783). La Lira focense precedette di poco il suo viaggio a Marsiglia riflesso in  Il codice delle leggi massoniche ad uso delle logge Focensi (composto da Antonio Jerocades (Neapoli) Pamphilia,1785 (trascrizione di G.Kloss, ms. II, C 2, Klossbibliotek, L’Aja).

La sua opera indica lo spartiacque in Italia tra le due concezioni della massoneria: tra quella speculativa e quella operativa, tra la via iniziatica e la lotta per il potere, tra Politica e rivoluzione. Nel decennio di fine Settecento la massoneria in Italia attraversò una stagione di cambiamenti, di rigenerazione e anche di  sbandamento. Le logge perdono il  contatto con le centrali  dalle quali erano nate e si inventano il proprio percorso. La Gran Bretagna guardava ai massoni illuministico-giacobini con sospetto perché temeva che fossero strumento della Francia. I pochi nuclei massonici italiani filoinglesi non vennero  legittimati.

In Francia durante il Terrore e nei primi tempi del Direttorio massoni e massoneria vennero messi ai margini della vita culturale e politica. Molti vennero uccisi. Quasi tutte le logge vennero sciolte.

La riorganizzazione avvenne all’insegna del lealismo nei confronti del governo. Le logge estere non ebbero scelta: allinearsi alle direttive di Parigi o scomparire.

 

4L’età franconapoleonica

 

In Italia a fine Settecento la massoneria cadde in sonno profondo per un breve spazio di tempo:  era aristocratica (aristocrazia di nascita e di cultura, con apporti del mondo ecclesiastico), militare (incardinata sui principi dell’onore e della fedeltà), pronta sempre a invocare la protezione del sovrano sulle logge  (o della sovrana nel caso di Maria Carolina d’Asburgo, regina di Napoli, sorella di Maria Antonietta di Francia, a sua volta molto legata a Maria Luisa di Carignano, principessa di Lamballe, massona, orrendamente assassinata dalla plebe parigina).

Da quel sonno la Massoneria si ridestò in Italia al seguito dell’invasione-occupazione da parte dell’Armata comandata da Napoleone Bonaparte (1796-1797). Questa non determinò l’immediata rinascita delle logge, ma creò le condizioni per la nuova cultura politica incardinata sulle costituzioni.

In pochi anni vennero elaborate le costituzioni delle repubbliche  di Bologna (1796: la prima che adottò il Tricolore verde, rosso e bianco),  Cispadana (1797), Cisalpina (1797 e 1798), e le costituzioni del popolo Ligure (1797), delle repubbliche  di Lucca (1799), di quella Romana (1798) e della Napoletana (1799), sicuramente  la più importante e innovativa di tutte, e della Repubblica Ligure (1802) oltre che di quella Italiana (1802).

I princìpi ispiratori erano la Rivoluzione americana del 1776, la costituzione degli Stati Uniti d’America, la  dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e le diverse costituzioni susseguitesi in Francia  sino al colpo di Stato del 18 brumaio 1799, l’instaurazione del Consolato e l’avvio verso un regime monocratico e infine la proclamazione dell’Impero dei francesi (2 dicembre 1804) e la trasformazione della Repubblica  Cisalpina o Italiana (1802) in regno d’Italia (Milano-Venezia, 1805).

Le logge  di orientamento giacobino o sospettate di infiltrazioni repubblicane e  antinapoleoniche, furono chiuse. Rinacquero solo dopo una epurazione interna, basata su espulsioni o conversioni.

Il caso più significativo furono le logge della Lombardia. Dopo l’incoronazione di Napoleone a Re d’Italia (26 maggio 1805) e l’insediamento di Eugenio di Beauharnais, suo figlio adottivo, come viceré, la loggia “Joseffina Reale”  di Milano contò personalità diversissime (Gian Domenico Romagnosi, Pietro Calepio,  Francesco Saverio Salfi…, tutto lo stato maggiore del regime napoleonico, senza più margini di doppia lealtà).

Negli anni seguenti la penisola italiana contò tre gruppi di logge: quelle direttamente dipendenti dal Grande Oriente di Francia, insediate nei territori direttamente annessi all’Impero (dall’Occidente liguro-piemontese all’ex stato pontificio, ove venne demolito il potere del  papa, Pio VII, che fu deportato da Roma); quelle  che fecero capo al Grande Oriente d’Italia, insediato a Milano il 20 giugno 1805 dal Supremo Consiglio di Rito scozzese antico e accettato per  l’Italia creato a Parigi il 16 marzo; e  le logge dipendenti dal Grande Oriente di Napoli, che ebbe per grandi maestri prima Giuseppe Bonaparte e poi il cognato di Napoleone, Gioacchino Murat, re di Napoli dal 1808 al 1815.

Il regime franco-napoleonico non solo permise ma incoraggiò la moltiplicazione delle logge come anelli forti della catena di unione tra la Francia imperiale  e  la dirigenza dei territori direttamente o indirettamente  dipendenti da Parigi.

Non è stato chiarito se l’imperatore fosse o no iniziato; lo erano però il principe Cambacérès, Arcicancelliere dell’Impero, e tutti i maggiorenti di un regime fondato  sulla autocefalia del potere politico, emancipato dalla consacrazione ecclesiastica sin dall’incoronazione di Notre Dame del 2 dicembre e da quella di Milano, ove l’imperatore si autoincoronò.

Per conservare la libertà al proprio interno, le logge dovettero allinearsi alle direttive del governo e celebrarlo in tutti i propri riti ufficiali e nelle pubblicazioni. Questa dipendenza politica divenne ancora più evidente quando Napoleone conferì al figlio avuto da Maria Luisa d’Asburgo il titolo di Re di Roma: una decisione di grande valore simbolico, anche perché declassò la Città Eterna da capitale della chiesa cattolica a seconda città dell’Impero. Prima la  Piramide, poi San Pietro. Napoleone fu il punto  di arrivo del mito egizio esploso nel Settecento, presente nell’opera di Mozart.  

In quel contesto storico le logge italiane non ebbero affatto l’obiettivo dell’unificazione nazionale. Esse furono funzionali al potere. In loggia si parlava di politica (elogio dell’imperatore e delle autorità civili) e si praticavano riti parareligiosi, di impronta  naturalistica, neopagana, solare. Le feste massoniche coincisero con quelle del calendario imperiale e assunsero sempre più carattere ufficiale, come se le logge fossero uno Stato nello Stato o il suo nucleo di pensiero e di progetti politici.

Questo rende  ancora più singolare che Napoleone non faccia mai cenno alla massoneria nel suo carteggio e neppure nei pensieri dettati a Sant’Elena.

La condizione della massoneria nello spazio geografico italiano nel primo quindicennio dell’Ottocento risulta interessante per un altro motivo: le logge e i massoni furono presenti, anche in forma pubblica, in tutta la penisola, compresa Roma, senza che né il papa (Pio VII) né altri ecclesiastici cattolici ricordasse la loro scomunica. Non solo. Negli Stati franco-napoleonici italiani non ebbero alcuna circolazione le opere che denunciavano la Rivoluzione francese, il Terrore  e  l’Impero napoleonico come frutto di un complotto massonico.   Le più famose, i Mémoires pour servir  à l’histoire du jacobinisme di Augustin Barruel o Il velo alzato per’ curiosi dell’abate François Lefranc non vennero più ristampate. La massoneria rimase al di sopra delle critiche e delle polemiche. Nessuno la mise in discussione come pilastro portante dell’Ordine politico, conciliato con la Chiesa con il Concordato del 1801.

All’opposto, la massoneria rimase rigorosamente vietata in Sardegna, ultimo dominio di Carlo Emanuele IV, che abdicò ed entrò novizio nella Compagnia di Gesù,  e poi di Vittorio Emanuele I di Savoia, per i quali  continuava a valere  la proibizione della massoneria decretata da Vittorio Amedeo III, come misura  contro l’avanzata dei rivoluzionari francesi e i loro alleati interni, filogiacobini.

La massoneria fu proibita anche in Sicilia, dominio di Ferdinando IV di Borbone, sorretto dall’inglese lord William Bentinck. La costituzione siciliana del 1812 risulta diversa dalla Costituzione del regno di Spagna approvata nel 1812 dalle Cortes convocate a Cadice, perché quella di Sicilia previde un Parlamento bicamerale e riconobbe quindi il potere dei Baroni (o Pari) mentre quella di Spagna fu monocamerale. Entrambe però riconobbero una sola religione, quella della chiesa cattolica apostolica romana e vietarono le altre confessioni cristiane, le religioni non cristiane, il deismo e il libero pensiero. In altre parole, la Gran Bretagna esercitò influenza politica  in funzione antinapoleonica ma non in direzione delle libertà dei cittadini, che rimasero succubi della monarchia cattolica in Sardegna e in Sicilia.

 

5Restaurazione,  Risorgimento, Unificazione nazionale

 

Nel 1814-1815 la Restaurazione ripristinò i regimi rovesciati da Napoleone,  a eccezione delle repubbliche di Genova (assegnata ai Savoia), Venezia (tornata all’Austria, che l’avevano ottenuta con la pace di Campoformio ne 1797), Lucca, assegnata a Maria Luisa di Borbone, il cui ducato originario (Parma e Piacenza) fu dato come vitalizio a Maria Luisa d’Asburgo, moglie di Napoleone.

La massoneria venne vietata in tutti gli Stati. Pio VII ribadì la scomunica dei massoni e di tutte le associazioni segrete. Nessun sovrano ignorava che tanti sudditi erano stati attivi in logge. La proibizione non ebbe valore retroattivo. Nell’imminenza della restaurazione, le organizzazioni massoniche entrarono in sonno, con provvedimenti non sempre documentati. Si può calcolare che i massoni attivi intorno al 1813-14 in Italia fossero non meno di 20.000 (ventimila). Con la restaurazione  nessuno di essi fu arrestato o condannato in quanto massone.

D’altra parte la massoneria aveva e conservò ruolo eminente in Gran Bretagna, l’unico stato che, a parte la pace di Lunéville (1801), non si era mai piegato a Napoleone e, anzi, aveva alimentato coalizioni contro di lui anche quando Prussia, Russia (brindisi di Tilsit, 1807), Austria, etc. avevano stretto alleanze con l’Impero dei francesi. Inoltre la massoneria  rimase attiva, anche se in tono minore, nella Francia di  Luigi XVIII e di Carlo X. Il ministro degli Esteri, Maurice de Talleyrand, marescialli, ammiragli, prefetti continuarono a servire lo Stato mentre Giuseppe Bonaparte rimase Gran maestro del Grande Oriente di Francia.

Le nuove proibizioni, condanne e scomuniche non vollero punire chi era stato massone (il passato era passato e non era il caso di rinfacciarselo a vicenda) ma impedire che le logge divenissero centri di nuove cospirazioni. Nel Settecento il capofila dell’antimassonismo nell’Europa continentale era stato il Papato; con la Restaurazione la guida della lotta contro la massoneria fu l’Impero d’Austria, per motivi politici e ideologici.

Quelli politici erano chiari: Vienna (il Cancelliere Clemens von Metternich) considerava le logge il punto di incontro di tutte le società segrete miranti a distruggere l’ordine ristabilito. La massoneria fu proibita come tutte le altre sette (carboneria, etc.) e i movimenti liberali e costituzionali, secondo i quali la sovranità risiede nella nazione (era il caso della costituzione di Spagna, giurata da Fernando VII)  e i cittadini partecipano al governo eleggendo il Parlamento o una delle Camere. Per impedire alla massoneria di svolgere il suo ruolo di centrale occulta della cospirazione Vienna doveva combattere il liberalismo in ogni sua forma: proibire o controllare libri, riviste, giornali, circoli cultural, e tutta la vita intellettuale (università, scuole) e religiosa, perché anche gli ecclesiastici erano stati e potevano essere cospiratori e monarcomachi.  Per conseguire l’obiettivo Vienna dovette appoggiarsi alla  chiesa cattolica. Ma l’alleanza tra il trono e l’altare  si affermò solo nell’impero austriaco e, per certi aspetti, in quello di Russia, in Spagna, Portogallo e negli Stati italiani, ma ebbe poca influenza in Francia, ove la vita culturale continuò ad avere ampi spazi di libertà, e negli stati prevalentemente evangelici o luterani.

La Restaurazione fu un progetto politico: stabilità dell’Europa fondata sull’equilibrio tra le grandi potenze, inclusa la Gran Bretagna. Essa ebbe però un altro volto: la Santa Alleanza, con effetti profondi e durevoli sulla massoneria in Italia. Gli antichi affiliati cominciarono a sperare nel ritorno di Napoleone. Anche chi lo aveva odiato come tiranno, di fronte al dominio austriaco e clericale, lo rimpianse. I massoni, costretti a nascondere la propria storia personale per salvaguardare la vita, cercarono un nuovo orizzonte. Tra il ritorno dell’imperatore e la Santa Alleanza si aprì  una terza via, la Gran Bretagna: fu quella dei liberali italiani e di una parte importante di massoni, carbonari, antichi illuministi e anche di tanti giovani cresciuti nei licei, nelle università  e nelle scuole militari italiane in età napoleonica, che aveva aperto orizzonti improvvisamente chiusi dalla Santa Alleanza.

Il cambio fu profondo e condizionò il secolo seguente della vita culturale, morale e politica dell’Italia; e quindi anche della massoneria.

I pochi segni di vita della massoneria italiana dopo la Restaurazione furono l’iniziazione di Federico Confalonieri, capofila dei liberali italiani, in una loggia di Sussex in Inghilterra comprendente il fratello del re, l’attivismo di nuclei massonici in alcuni porti (anzitutto a Livorno, in Toscana) e la dura repressione di ogni segnale di liberalismo. L’Austria, il governo pontificio e quello di Ferdinando I di Borbone a Napoli arrestarono, talvolta torturarono, processarono e condannarono a pene pesanti tutte le persone sospettate di complotto liberale. Malgrado la repressione si diffusero le sette di carbonari, adelfi, federati che arrivarono a contare centinaia di migliaia di affiliati, anche popolani. Nel loro ambito i massoni erano pochi, ma avevano un progetto e guidavano il movimento.

Sull’esempio della rivoluzione spagnola del gennaio 1820, in  luglio i liberali insorsero a Napoli e imposero al re la promulgazione della costituzione di Cadice, proposta anche dai cospiratori piemontesi nel regno di Sardegna nel marzo 1821. Nel frattempo l’Austria arrestò massoni e carbonari a Milano (Piero Maroncelli, Silvio Pellico, Gian Domenico Romagnosi…) e il papato ribadì la condanna dei massoni. Senza aiuti dall’esterno, i liberali italiani fallirono. Nel marzo 1821 a Napoli vennero pubblicate le Costituzioni del Rito scozzese antico e accettato: un “messaggio” per gli anni venturi.

Tutto rimase immobile sino al rovesciamento di Carlo X dal trono di Francia e all’ascesa di Luigi Filippo di Borbone-Orléans, il “re borghese” (luglio 1830), e al moto che si concluse con la fondazione del regno dei Belgi. In Italia liberali e massoni si mossero nel Ducato di Modena e nello stato pontificio, ma con esito sfortunato (1831). Subito dopo il ventisettenne Giuseppe Mazzini (Genova, 1805-Pisa,1872), già carbonaro, mai regolarmente iniziato in loggia, arrestato, condannato all’esilio, fondò in Francia la “Giovine Italia”, che tra gli obiettivi fondamentali ebbe proprio una cesura generazionale tra i nuovi patrioti e chi era stato iniziato alle società segrete in età napoleonica. La nuova Associazione negò l’ingresso a chi avesse più di quarant’anni. Essa aveva tuttavia un’organizzazione simile a quelli della massoneria, a cominciare dal rito di iniziazione, che imponeva il giuramento di fedeltà sino alla morte, il segreto assoluto e una serie di “prove”. Il suo obiettivo però fu solo e sempre politico: indipendenza, unità e repubblica. Inoltre esso fu nazionale anche quando Mazzini fondò la Giovine Europa, concepita come liberazione e fratellanza dei popoli oppressi in forma di unione ed espressione della volontà divina (“Dio e popolo”).

Mazzini predicò sempre cospirazioni (anche in forma di attentati) e insurrezioni, nella convinzione che un moto anche piccolo avrebbe provocato l’incendio generale. Il suo messianismo, di carattere religioso,  contrastò con l’universalismo pragmatico della massoneria, fondato sul principio della gradualità e diffidente nei confronti dei disordini. Tra mazzinianesimo e massoneria vi fu sin dall’inizio un solco destinato ad approfondirsi nel tempo e a divenire incolmabile, come accade tra progetti e metodi nettamente diversi nei fini e nei metodi.

Sino al 1848 l’Italia non ebbe nessuna vera rete massonica; d’altra parte, i “patrioti” non ebbero un programma preciso. Volevano unire l’Italia ma non era chiaro come farlo: confederazione, federazione, unione, unificazione erano tante vie diverse. Mancava soprattutto un punto di riferimento nazionale e internazionale.  Nel 1844 Massimo d’Azeglio propose di superare le sette e di agire alla luce del sole, per formare una “opinione nazionale”. Due anni dopo papa Pio IX venne preso a simbolo dell’ italianità. Il neoguelfismo ebbe immenso successo.

In pochi mesi furono pubblicate migliaia di libri, opuscoli, giornali che parlavano apertamente  di Italia unita, almeno in forma di lega tra gli Stati esistenti, con la presidenza del papa.
I pochi massoni attivi in Italia, costretti al sonno e al silenzio, rimasero però prudenti, perché nello Stato della Chiesa rimanevano in vigore tutte le discriminazioni religiose e politiche ai danni dei non cattolici e dei massoni.

In quei decenni in Italia non vi erano logge organizzate; alcuni italiani vennero iniziati in loggia all’estero. Fu il caso di Giuseppe Garibaldi (Nizza, 1807-Caprera, 1882), che nel 1844 entrò in una loggia di Montevideo all’obbedienza del Grande Oriente di Francia. All’epoca questo era in rapporti regolari con la Gran Loggia Unita d’Inghilterra. Garibaldi entrò dunque nel circuito della massoneria regolare universale, come si vide anche dai suoi legami con massoni degli Stati Uniti d’America.

Nel 1848-1849 la massoneria si riaffacciò in Italia, ma in posizione periferica, circoscritta e complessivamente ininfluente sul corso politico-militare scandito, a livello europeo, da rivoluzioni politiche, moti sociali, insurrezioni liberali, rivolte nazionali (dalla Boemia all’Ungheria). La “primavera dei popoli” colse di sorpresa anche i cospiratori più preparati, da Mazzini a Garibaldi, che nel 1847 offrì la sua spada a Pio IX.

Le logge non ebbero tempo di organizzarsi.

Nel marzo 1849 il regno di Sardegna venne sconfitto dall’Impero d’Austria. In luglio la repubblica romana, che vide in azione anche alcuni massoni, venne abbattuta dalla spedizione militare francese mandata dal presidente Luigi  Napoleone, futuro Napoleone III. Poi cadde anche la repubblica di Venezia. Nel regno delle Due Sicilie liberali e patrioti furono incarcerati, esiliati o, nel migliore dei casi, costretti al silenzio.

Unico vero progresso di quel biennio fu lo Statuto del regno di Sardegna promulgato da Carlo Alberto il 4 marzo 1848. Esso enunciò due principi fondamentali: la religione cattolica era la religione dello Stato ma vennero ammessi altri culti e fu dichiarata l’uguaglianza dei cittadini dinnanzi alle leggi. Ai  valdesi (evangelici) e agli ebrei vennero riconosciuti diritti civili e politici.

Quella  fu la vera svolta, perché da quel momento sia i liberali sia la massoneria poterono contare sul re di Sardegna.  Vittorio Emanuele II, asceso al trono dopo l’abdicazione del padre  (sconfitto in battaglia a Novara nel marzo 1849). Il nuovo re conservò  lo Statuto, l’elettività della  Camera e dei consigli provinciali e comunali, la libertà di stampa e dette asilo politico agli esuli politici delle altre regioni italiane.

Tuttavia la massoneria rimase silenziosa. Molti  massoni preferirono rifugiarsi in Francia, Gran Bretagna o nelle Americhe. Altrettanto fecero patrioti, poi iniziati massoni all’estero, soprattutto nelle Americhe, in Gran Bretagna e in Francia (fu il caso di Luigi Pianciani). Il Libro d’Oro del Supremo Consiglio del rito scozzese antico e accettato fornisce al riguardo importanti informazioni.

La monarchia e i suoi ministri, sia politici (come Massimo d’Azeglio, Camillo Cavour,  Urbano Rattazzi), sia militari (come Alfonso la Marmora) non amavano le sette. Temevano che il giuramento di fedeltà pronunciato all’ingresso in loggia fosse in contrasto insanabile con quello di fedeltà al re. I modelli della massoneria francese e inglese rimasero estranei al regno di Sardegna.

Dopo la vittoria del Regno di Sardegna, alleato con la Francia di Napoleone III, contro l’impero d’Austria nella guerra dell’aprile-luglio 1859 e l’annessione della Lombardia da parte del Piemonte, solo nell’ottobre del 1859 venne fondata nella sua capitale, Torino, la prima loggia “italiana”. Il suo stesso nome, “Ausonia”, antica denominazione dell’Italia, indicò il programma: arrivare all’unità nazionale.  Dal 1860 le logge si moltiplicarono e accolsero centinaia di iniziati. Si scoprì che vi erano almeno due logge all’obbedienza del Grande Oriente di Francia, a Genova e a  Livorno. Gli eventi politico-militari del 1860 fu però molto più rapidi del cammino dei massoni: l’unione di Toscana ed Emilia-Romagna al “re costituzionale” Vittorio Emanuele, la spedizione dei Mille guidata da Garibaldi in Sicilia e nell’Italia meridionale, la conquista di gran parte dello stato pontificio , i plebisciti che gettarono le basi della proclamazione del regno d’Italia (14 marzo 1861).

 

6 La massoneria nella Nuova Italia: luci e ombre

 

I documenti non provano che la massoneria ebbe ruolo di protagonista in quelle rapide trasformazioni, in gran parte però ispirate dai suoi ideali: indipendenza, unità, ordine, fratellanza tra i “popoli di Italia” e tra gli italiani e le altre nazioni.

Il banco di prova della nuova massoneria italiana fu proprio la questione nazionale. Occorreva definire che cosa fosse l’italianità e il ruolo della Nuova Italia nel mondo. Il primo massone a scriverne in modo chiaro fu l’ebreo piemontese David Levi, in preparazione della prima assemblea costituente massonica,  indetta a Torino a fine dicembre 1861, cioè ben sette mesi dopo la costituzione del Regno. Levi unì la nascita dell’unità d’Italia alla storia della libertà dei popoli. Era la poesia di Alessandro Manzoni,  la musica di Giuseppe Verdi. Fino a quel momento esisteva un Grande oriente italiano. L’Assemblea di Torino fondò la Massoneria Italiana col nome di Grande Oriente d’Italia. Questo non aveva alcun legame storico con quello fondato a Milano nel 1805, agli ordini di Napoleone. Il Grande Oriente del 1862 era “italiano”, del regno d’Italia. L’assemblea elesse gran maestro Filippo Cordova, un siciliano di fiducia  di Cavour, che prevalse su Giuseppe Garibaldi. Il gran maestro ebbe due obiettivi: farsi riconoscere dalle organizzazioni massoniche degli altri Paesi e unificare le varie organizzazioni massoniche che stavano nascendo in Italia.  Non ottenne nessun risultato.
La Gran Loggia Unita d’Inghilterra prese atto della nuova organizzazione ma non strinse patti di fratellanza. Cavour (di cui Londra non si era mai fidata pienamente) era morto il 6 giugno 1861 e in Italia vi erano troppi rivoluzionari. Inoltre  a Palermo nacque un Supremo Consiglio di Rito Scozzese – Grande Oriente d’Italia che ebbe riconoscimento dalla Giurisdizione del Supremo Consiglio degli Stati Uniti d’America e quindi aveva legittimità universale.

Tra il 1861 e il 1885 la massoneria italiana visse un quarto di secolo di assemblee costituenti, tentativi di conciliazioni, conflitti. Garibaldi venne eletto gran maestro nel 1864 ma si dimise dopo due mesi. Nel 1867 fu fondata la loggia “Universo” che doveva unire i parlamentari e le personalità più influenti per governare l’Italia. Il paese viveva anni difficili. Per fronteggiare gli enormi debiti il governo statizzò i beni degli ordini religiosi.

Sin dal 1860 il papa scomunicò Vittorio Emanuele II, i ministri del suo governo e quanti collaboravano con lui: tutti agenti del Diavolo. Il re unì l’Italia, Pio IX la divise perché non rinunciò al potere temporale. Nel 1864 pubblicò il Syllabus, che condannò tutte le dottrine politiche del Sette-Ottocento (socialismo, democrazia, liberalismo) e tutte  le “società segrete” a cominciare dalla massoneria, poi bollata come “sinagoga di Satana”.

Una parte del clero italiano era schierata per l’immediata conciliazione tra la Chiesa e il regno d’Italia, che era ormai una realtà. Tra questi si contarono anche gesuiti come padre Curci e Carlo Passaglia. Ma prevalsero i fautori della  scomunica. L’Italia venne divisa in due soprattutto da quando Roma venne occupata (20 settembre 1870) e annessa al regno col voto dei suoi cittadini.

La massoneria italiana cominciò solo dal 1870-1872 a darsi un vero programma. Fino a quel momento era rimasta con un piede nella cospirazione, un altro nella  repubblica, un terzo vicino alla Corte, un quarto nel governo, un quinto nell’opposizione costituzionale, il sesto nell’internazionale socialista. Non aveva un progetto chiaro, una dottrina. I massoni sapevano poco di massoneria. Lo documenta il libretto di Ludovico Frapolli, Una voce,  gran maestro aggiunto e  poi effettivo, mazziniano, garibaldino, morto suicida.

Frapolli scrisse e cancellò varie volte persino il titolo del “programma” che doveva sintetizzare l’essenza della massoneria universale e italiana. Il gran maestro era il primo a non avere una conoscenza precisa della massoneria, delle sue costituzioni originarie (1723 e 1738), dei riti, a cominciare dallo Scozzese antico e accettato. Sovrappose le sue idee alla Tradizione. Improvvisò anche catechismi massonici. Parte delle sue opere rimangono inedite.  D’altra parte la sua “carriera massonica” è molto chiara: venne iniziato nel dicembre 1862, promosso subito al 3° grado e in un paio di giorni fu elevato al grado supremo del Rito scozzese antico e accettato. Mirò a creare un unico concistoro dei quattro supremi consigli esistenti in Italia (Torino, Firenze, Napoli, Palermo). Quello di Napoli era capitanato da Domenico Angherà, un arciprete originario della Calabria.  Nel frattempo  con Cristoforo Bonavino,  un altro ecclesiastico temporaneamente entusiasta del messaggio massonico, col none di Ausonio Franchi assunse la guida del Rito simbolico italiano, molto semplificato rispetto al Rito francese e a quello scozzese.

Nei primi decenni successivi all’unificazione, in Italia la massoneria stentò a darsi unità e regolarità. Si dedicò a compiti estranei alla Tradizione. A conferma, non venne pubblicata alcuna traduzione delle  Costituzioni di Anderson, né degli Antichi Doveri, almeno in forma semplificata. In oltre sessant’anni di vita (1864-1926) le riviste ufficiali del Grande Oriente dedicarono solo un articolo di tre pagine alle Costituzioni di Anderson (“Rivista della massoneria Italiana”, anno XXX, 1900, pp- 20-22). Nel 1872 Garibaldi scrisse il suo programma massonico: per lui essa era la “madre della democrazia”, una associazione filantropica, impegnata per realizzare riforme sociali e aperta alle iniziazioni femminili. Per confermarlo iniziò sua figlia, Teresita, e numerose altre massone. Celebrò anche battesimi e matrimoni massonici, secondo un cerimoniale che si diffuse e  che, a ben vedere, imitava quello  cattolico. Negli ultimi anni dispose che la sua salma fosse cremata all’aria aperta, ma non venne accontentato perché al funerale presenziò il rappresentante della Casa regnante, contraria a entrare in conflitto con la chiesa cattolica, che condannava la cremazione non in sé ma quale affermazione di naturalismo positivistico, in contrasto con il cattolicesimo. Il rito crematorio rivendicato da Garibaldi per la propria salma non fu propriamente massonico, per due motivi: la Libera Muratoria non fece mai della cremazione una regola né vincolante né preminente; l’opzione garibaldina era comunque neopagana e per motivi igienico-sanitari e pratici del tutto impraticabile nelle città dell’Otto-Novecento ove dalla “pira omerica” (come Carducci definì il rogo richiesto da Garibaldi)  si ripiegò su prosaici forni  crematori, ingentiliti in “are”. S’aggiunga che per gli israeliti e gli islamici l’abbruciamento delle salme è vietato, sicché tale pratica era accettata o non rifiutata solo dagli ebrei secolarizzati.

Nel trentennio seguente la massoneria ascese a partito dello Stato, con una profonda differenza rispetto all’età franco-napoleonica. Per lo statuto del regno d’Italia la religione dello Stato era e rimase quella cattolica. La massoneria era  conosciuta ma non riconosciuta. Lo Stato non varò mai una legge sulle associazioni a tutela della massoneria, che pertanto visse sempre in una condizione difficile perché in qualsiasi momento poté essere dichiarata segreta. Il vero ostacolo non fu la chiesa cattolica ma l’ordinamento giuridico e, a ben vedere, essa stessa perché in Italia i massoni non gradivano il riconoscimento “ufficiale” per non subire controlli da parte del governo.

Per conoscere la massoneria italiana dall’unità alla prima guerra mondiale e all’avvento del governo Mussolini (31 ottobre 1922) disponiamo di molte fonti e documenti, sinora utilizzati solo in piccola parte.  In primo luogo abbiamo il “Bollettino del Grande Oriente d’Italia” (1864-1869) e la “Rivista della Massoneria italiana” (1870-1904), poi “Rivista massonica”(1905-1926), su cui manca uno studio. In secondo luogo sono stati ritrovati i Verbali manoscritti del Consiglio dell’Ordine e della Giunta esecutiva  del Grande Oriente d’Italia, ma sinora non sono stati studiati sistematicamente e ne manca una “antologia” che consenta di capire come agisse il governo della massoneria.  In terzo luogo si conserva la matricola generale degli affiliati del Grande Oriente dal 1875 circa allo scioglimento delle logge al 1925. Anche questa è una fonte in attesa di utilizzo. Vi è infine una enorme quantità di documenti negli archivi di Stato  (sono quasi un centinaio), degli enti pubblici (province, comuni) e di varie istituzioni e privati che ebbero relazioni con massoni e massoneria. Manchiamo invece dei verbali di loggia, a parte poche eccezioni, come “La Concordia” di Firenze, la “Rienzi” di Roma e poche altre, ma solo per pochi anni. Come poi diremo, nel 1925 il governo italiano rese impossibile la vita della massoneria, perciò i grandi maestri delle due organizzazioni in quel momento attive, il Grande Oriente e la gran Loggia d’Italia, sciolsero le logge. E’  comprensibile che siano state distrutte o nascoste molte carte per evitare persecuzioni. Però esistevano decine di logge all’estero, ma della loro vita e dello loro documentazione non si sa quasi nulla, così come si sa pochissimo delle relazioni  tra i vertici della massoneria italiana e le maggiori obbedienze straniere. Nel 1924 il Grande Oriente contava un terzo delle proprie officine fuori confine, inclusi gli Stati Uniti d’America, ove aveva alla propria obbedienza logge sicuramente floride a Denver (Colorado), Cleveland, Chicago, Christofer e Herrin (Illinois), Boston (Massachussets), Newark (New Jersey), Philadelphia, Pittsburg e Uniontown (Pensilvania), per un insieme di dodici Officine.

Anche la Gran Loggia d’Italia aveva parecchie dipendenze nelle Americhe, ma la documentazione al riguardo solo adesso comincia a essere studiata, su impulso di Annales: Gran Loggia d’Italia degli A.L.A. M.:  cronologia di storia della Massoneria italiana e internazionale (1908-2012) di Luigi Pruneti e a cura di Aldo A. Mola (Roma, Atanor, 2013), del rinvenimento dei registri degli affiliati (26.000 nomi tra il 1915 e il 1925) e di molti altri inediti, in parte ordinati nella sede a Roma.

L’annessione di Roma al regno d’Italia (ingresso dell’Esercito italiano nella Città Eterna, 20 settembre 1870; plebiscito 2 ottobre) segnò la debellatio dello Stato pontificio ma anche la condanna dello Stato da parte della chiesa, che scomunicò il re, i ministri e i loro collaboratori.  In centinaia di documenti (encicliche, costituzioni apostoliche, lettere,  discorsi…) Papa Pio IX (1846-1878) ribadì solennemente la condanna  della massoneria, “sinagoga di Satana”, accusata di complottare contro  la chiesa, la fede cattolica, la religione, ogni forma di spiritualità. Il suo successore, Leone XIII (1878-1903), nel 1884 confermò la condanna nell’enciclica Humanum genus,  in cui  affermò che forse nelle logge vi erano anche persone in buona fede ma la massoneria in sé era il Male e pertanto i suoi membri erano esclusi dalla Chiesa. I più autorevoli  periodici cattolici, a cominciare dalla prestigiosa rivista dei gesuiti, “La Civiltà cattolica”, condussero una battaglia continua per screditare la massoneria, accusata di praticare al proprio interno riti osceni e blasfemi. La condanna si estese anche alle istituzioni pubbliche (governo, enti locali…) che promuovevano o non impedivano l’erezione di monumenti a eretici e la loro celebrazione. Nel 1889 a Roma venne scoperto il monumento a Giordano Bruno, il filosofo arso vivo in Campo de’ Fiori.

Altri monumenti vennero eretti ad Arnaldo da Brescia, Galileo Galilei, Paolo Sarpi, sino a fra’ Dolcino, cioè a eretici e a tutte le vittime della persecuzione clericale.  La massoneria italiana si identificò la ribellione, cantata da Giosue Carducci nell’Inno a  Satana.

La massoneria italiana non aveva una identità propria: prese a prestito e fuse insieme tante figure del Risorgimento e dello Stato unitario, tra i cui presidenti del consiglio e ministri (specialmente alla Giustizia e alla Pubblica istruzione) si contarono numerosi massoni:

Agostino Depretis, Francesco Crispi, Giuseppe  Zanardelli, Alessandro Fortis, Francesco De Sanctis, Michele Coppino, Ferdinando Martini, Nunzio Nasi…).

La massoneria divenne depositaria del progetto di “fare gli italiani”, cioè di costruire la coscienza civile del Paese attraverso la scuola obbligatoria e gratuita e il cerimoniale civile. Allo scopo la massoneria rivendicò di essere stata all’origine dell’unificazione nazionale e imputò alla chiesa cattolica di essere il nemico. Con i grandi maestri Giuseppe Mazzoni, Giuseppe Petroni e, soprattutto, Adriano Lemmi, essa aumentò il proprio prestigio e il controllo della vita pubblica divenendo il “partito dello Stato”. Dopo la loggia “Universo” (Firenze, 1867), fondata da Frapolli per progettare le riforme legislative, nel 1877 Lemmi istituì la loggia “Propaganda massonica”, direttamente alla propria obbedienza, per raccogliervi i “fratelli” di prestigio supremo che non avevano tempo o non volevano essere infastiditi in una loggia ordinaria e furono dispensati dagli obblighi comuni. Essa raccolse docenti universitari, militari, uomini politici, insigni patrioti. Tra i suoi membri più autorevoli vi fu Giosue Carducci, poeta e critico letterario, stratega della cultura della Nuova Italia. Carducci agì in pieno accordo con Francesco Crispi, capo del governo tra il 1887 e il 1896, e con Adriano Lemmi. Negli anni della sua gran maestranza (1885-1896) Lemmi organizzò la finanza del Grande Oriente e codificò i capisaldi del pensiero massonico italiano: fare dello Stato il garante delle libertà e del progresso civile di tutti i cittadini  e combattere con ogni mezzo il papato, “coltello piantato nel cuore dell’Italia”. Come Carducci e Crispi, Lemmi puntò sul consolidamento della monarchia, che a sua volta onorò la memoria di Garibaldi e di  Giuseppe Mazzini con i monumenti elevati in Roma e in tante altre città,  spesso con simboli massonici in evidenza (squadra e compasso).

La Chiesa continuò a ripetere le condanne di sempre, ma negli anni 1885-1900 venne  affiancata da Léo Taxil, Domenico Margiotta e altri che screditavano il Grande Oriente d’Italia  per abbattere il capo del governo, Crispi, fautore dell’espansionismo coloniale, aspramente avversato dalla Francia. Lemmi venne accusato di aver compiuto un furto a Marsiglia  quando aveva 22 anni e di essere stato condannato a un anno di carcere:  una accusa infamante. Anziché in sede  giudiziaria ordinaria, Lemmi si fece assolvere da un giurì del Rito scozzese. Travolto dalle polemiche e da dissidi interni, nel 1896 si dimise e fu sostituito da Ernesto Nathan, ebreo londinese italianizzato: una decisione che alimentò le polemiche dei clericali contro il complotto ebraico, massonico, socialista, analogo  quello che in Francia divampò sull’“affaire Dreyfus”. Le dimissioni non placarono la  tempesta. Nel 1896 molte logge rifiutarono obbedienza al gran maestro e due anni dopo nacque il  Grande Oriente Italiano, di orientamento radicale e repubblicano, subito riconosciuto dal Grande Oriente di Francia.

La massoneria introdusse al proprio interno i motivi di divisione in partiti e di conflitti religiosi  e ideologici che secondo le costituzioni di Anderson debbono rimanere estranei ai lavori di loggia. Ma ormai – come venne documentato anche nella “Rivista della Massoneria Italiana” – molti andavano in loggia senza paramenti rituali, persino in divisa quando erano militari; e nelle sedute si decidevano le candidature elettorali politiche e amministrative, gli affari della “città”.

Nel primo decennio del Novecento con i grandi maestri Nathan ed Ettore Ferrari (1903-1917,  sovrano del Rito scozzese antico e accettato   sino alla morte, nel 1929), le iniziazioni balzarono da 3-400 a 2500-3.000 l’anno. Gli apprendisti portarono in loggia le loro passioni; ma quanti erano i maestri che dovevano insegnare a  dominarle, a  dirozzare la pietra?

Tra il 1860 e la Grande Guerra (1915-1918) la maggior parte degli iniziati portò all’interno dei  templi la propria formazione e vocazione di politici politicanti, (parlamentari, amministratori pubblici, militanti di partito…)  con esperienze e/o aspirazioni rivoluzionarie spesso estranee agli antichi doveri e alle stesse Costituzioni dell’Ordine, peraltro ripetutamente modificate, proprio per dare spazio alle ormai  prevalenti  motivazioni ideologiche. Fu il caso di Ettore Ferrari, che da giovane militò nel Circolo dei diritti; di Luigi Pianciani, che premette per avere nella loggia “Rienzi” di Roma  il socialista Antonio Labriola;  di  Mario Panizza, Giuseppe Mussi, Malachia De Cristoforis, Adolfo Engel…: una tentazione (o deriva) radicale condivisa  sia dal rito simbolico italiano, sia da alti dignitari del Rito scozzese, fomite quindi di tensioni, divisioni, ricomposizioni e della divisione definitiva del 1908-1910.

 

7- Nuove  condanne (socialisti, nazionalisti, liberali)

 

Il nuovo papa, Pio X (1903-1914), non pubblicò altre encicliche di scomunica dei massoni. Dovette fronteggiare il “modernismo” dei cattolici (cioè l’apertura della Chiesa  al “mondo moderno”), che fu scomunicato, anche perché sospettato di essere manovrato dalle logge.

La massoneria venne però investita da nuove ondate polemiche. Dal 1904 i socialisti rivoluzionari chiesero l’espulsione dei massoni dal partito. Lo ottennero nel congresso di Ancona del 1914, su proposta del trentunenne  Benito Mussolini. I nazionalisti negarono che Risorgimento e unificazione d’Italia fossero massonici, perché (secondo loro) in Italia  la massoneria era sempre stata  una organizzazione al servizio di potenze straniere. Infine anche un autorevole filosofo liberale, Benedetto Croce, definì la massoneria cultura  “ottima per commercianti e maestri di scuola elementare” e dichiarò che gli ideali della massoneria (filantropia, fratellanza, libertà…) sono una utopia, mentre la storia è lotta, come affermato dall’idealismo dialettico dalle sue remote origini (Eraclito) a Hegel e dalle sue derivazioni (il marxismo).

La massoneria si affermò nella Nuova Italia per due motivi: la contrapposizione tra Stato e chiesa cattolica, il sistema elettorale, che favoriva i “notabili”.  Quel sistema crollò nel 1908-1912 perché il governo presieduto dal liberale Giovanni Giolitti respinse la richiesta di massoni, socialisti e repubblicani di vietare l’insegnamento della religione nelle scuole elementari. La massoneria si spaccò perché il Grande Oriente processò i deputati che si schierarono con Giolitti. Una parte del Supremo consiglio scozzesista, capitanata dal pastore protestante Saverio Fera, rifiutò quella decisione sia in nome della libertà dei deputati e della separazione tra logge e politica, sia in difesa della “libertà religiosa”, che non significa solo libertà di non credere ma anche di credere, in linea con le Costituzioni di Anderson. Fera respinse il clericalismo degli anticlericali. Il Supremo Consiglio da lui presieduto fu riconosciuto dal Convento mondiale del Rito scozzese. Il Grande Oriente imboccò invece la linea del “libero pensiero”. In alcune sue logge gli affiliati giuravano contro la monarchia, l’esercito, la religione.

Il secondo cambiamento fu l’introduzione del diritto di voto per tutti i cittadini maschi, anche se analfabeti. La massoneria non fu più in grado di controllare l’elettorato e perse di importanza. Nel 1912-1913 essa fu travolta da una “Inchiesta” giornalistica promossa dai nazionalisti. Quasi tutti gli intervistati (uomini politici, scienziati, artisti, docenti  di grande prestigio) dettero un giudizio duramente negativo della massoneria, giudicata ridicola e camorristica.

Quando l’Europa venne precipitata nella Guerra del 1914-1918  il Grande Oriente si schierò per l’intervento dell’Italia. Era l’occasione per riprendere il controllo del potere. Le conseguenze furono catastrofiche, perché il Parlamento perse il governo del Paese. Dopo la Guerra la scena politica fu dominata da socialisti rivoluzionari e da clericali, nemici del Risorgimento e della massoneria.

Dopo anni di guerra civile strisciante, il 31 ottobre 1922 nacque il governo presieduto da Benito Mussolini, ex socialista rivoluzionario, ex repubblicano, capo del Partito Nazionale Fascista: un governo di unione nazionale, comprendente molti massoni.

L’Italia era nella confusione e lo rimase sino all’avvento del regime di partito unico, il “fascismo”, la cui prima legge vietò agli impiegati pubblici di appartenere  ad associazioni segrete. La massoneria non era segreta, ma la legge era contro la massoneria (maggio-novembre 1925) e fu gradita a  quasi tutti i parlamentari, inclusi molti liberali e “democratici”. All’epoca in Italia i massoni erano circa 50.000. Pochi di essi vennero effettivamente perseguitati, costretti all’esilio, condannati a vivere in luoghi isolati (“confino di polizia”). La generalità degli affiliati entrò in sonno. Molti di essi collaborarono con il governo Mussolini in posizioni eminenti. Fu il caso di Alberto Beneduce, il principale organizzatore dell’economia italiana; di Balbino Giuliano, ministro dell’Educazione Nazionale, di Edmondo Rossoni, sindacalista fascista, dello scrittore Curzio Malaparte. In loggia entrò anche Telesio Interlandi, che poi diresse  la rivista “Difesa della Razza”. Fu un periodo di confusione  e di contraddizioni. I massoni non si opposero apertamente al governo e nella grande maggioranza non vennero infastiditi. Anche in quegli anni uscirono riviste sapienziali e si affermò Julius Evola, già collaboratore di Arturo Reghini e di altri “grandi iniziati”.

8Il fascismo vieta le logge

    Il fascismo combatté la massoneria per tre motivi fondamentali: in primo esso luogo voleva essere “la Nazione” e quindi non poteva avere un “concorrente” come la Massoneria che dichiarava di essere  Madre e Custode della Patria. In una guerra di Simboli non ci possono essere due vincitori. In secondo luogo Mussolini sapeva che una parte dei gerarchi fascisti (Italo Balbo,  Roberto Farinacci, Giacomo Acerbo, Alessandro Dudan…) e molti militari (Luigi Capello, l’ammiraglio Paolo Thaon di Revel, Ugo Cavallero…) erano massoni e non voleva avere “il serpe in seno”. Infine, per avere l’aiuto della Chiesa cattolica, essenziale per la stabilità del governo, doveva “dare  un esempio”: proibire la massoneria.

Nel 1925 Grande Oriente e Gran Loggia si sciolsero ma molti massoni continuarono a operare nel silenzio e nell’esilio, ove furono aiutati da fratelli degli Stati Uniti d’America, come  Arturo Di Pietro, Charles Fama e Frank Gigliotti, tutti protestanti.

Gigliotti ebbe parte importante nella rinascita della massoneria nel 1943-1960. Facilitò i rapporti tra i fratelli d’Italia e gli americani, a tre condizioni: il rifiuto netto del social-comunismo, dell’anticlericalismo e della visione nazionalistica della storia. L’Italia doveva entrare nell’Occidente. Però rimanevano tanti ostacoli: la vecchia scomunica (anche il Rotary e i Lions per il Vaticano rimanevano “sospetti”)  e il divieto di affiliazione massonica per quasi tutti i partiti politici, che si dichiaravano antifascisti ma  rimanevano totalitari (partito comunista, partito socialista, democrazia cristiana, movimento sociale italiano).

 

9La massoneria nell’Italia attuale: non riconosciuta, male conosciuta

 

Malgrado tante difficoltà, dal 1943 e soprattutto dal 1945 la Massoneria italiana rinacque. Nel giugno 1946 in Italia cadde la monarchia  durante la quale la massoneria crebbe e ottenne prestigio (1861-1925). Dopo lo scioglimento delle logge (1925) i massoni entrarono nei Rotary Club, presieduti dal re Vittorio Emanuele III di Savoia.  Dal 1943 la massoneria italiana fu quasi completamente repubblicana.

La Costituzione della repubblica italiana (1948) è largamente ispirata ai principi massonici di uguaglianza dei cittadini e di rifiuto di ogni discriminazione religiosa, razziale, di classe. Ma la massoneria rimase  ai margini della vita pubblica. Tuttavia  il Grande Oriente d’Italia si affermò  con i grandi maestri Giordano Gamberini (1960-1969) e Lino Salvini (1970-1978), che ebbero il riconoscimento di molte Grandi Logge americane e della Gran Loggia Unita d’Inghilterra e la pacificazione con la chiesa cattolica. Nel 1974 il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Ferenc Seper, affermò che i cattolici possono entrare nelle logge che non cospirano contro la Chiesa. In quel nuovo clima filosofico e culturale, la Loggia “Propaganda massonica” n. 2, retta da Licio Gelli su mandato del gran maestro Salvini, raccolse esponenti di tutte le forze politiche, alte cariche dello Stato (soprattutto militari), industriali, banchieri e giornalisti. Gelli ideò anche una Organizzazione mondiale per l’assistenza massonica.  Anche la Gran Loggia d’Italia compì importanti progressi con il Sovrano Giovanni Ghinazzi.

Dal 1981 sia la loggia “Propaganda massonica n. 2” e il Grande Oriente, di cui era componente, sia la Gran loggia d’Italia vennero colpite da uno scandalo artificioso di enormi proporzioni. La P2 fu sciolta dal Parlamento come associazione segreta, ma fu assolta dalle accuse in sede giudiziaria. Poi il Grande Oriente tornò a contare circa 20.000 affiliati dal gran maestro Armando Corona a Gustavo Raffi. Si affermò anche la Gran Loggia d’Italia (circa 10.000 affiliati) da sei anni presieduta dal gran maestro Luigi Pruneti.

In  Italia non esiste una legge che protegga il nome della massoneria.

In sua assenza, qualunque gruppo di cittadini può darsi il nome di massoneria. Perciò oggi in Italia esistono quasi duecentocinquanta organizzazioni che si proclamano “massoneria”. Anche l’antimassonismo rimane molto diffuso, non solo tra i clericali e gli estremisti di sinistra e di destra, ma anche in movimenti populistici e fanatici.

Durante i loro pontificati  Giovanni XXIIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e lo stesso Benedetto XVI non hanno pubblicato alcun documento contro la massoneria; anzi non ne hanno mai  pronunciato il nome.  Benedetto XVI ha lamentato il “relativismo”, ma, come i suoi immediati predecessori, ha elogiato i principi fondamentali della massoneria: l’ansia di  libertà e di fratellanza, la benevolenza e il rifiuto del totalitarismo in tutte le sue forme. La massoneria è invece e rimane combattuta dai clericali, dai comunisti e da chi dice che la storia è frutto di complotti organizzati da ebrei, massoni, rivoluzionari, alta finanza, tutti  sempre orchestrati dalle logge.

In tempi recenti  sia il presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, ex comunista, sia il presidente del  governo italiano, Mario Monti, sono stati accusati di essere al servizio dell’internazionale massonica. Sono invenzioni, ma vengono credute da chi teme che la storia sia controllata da  poteri misteriosi, invincibili: il Diavolo, già ripetutamente evocato da papa Francesco.  La crisi in corso (economica,  sociale, culturale e civile) genera insicurezza e paure e spinge a cercare soluzioni totalitarie, populiste. Perciò la massoneria in Italia  rimane in posizione difficile: essa è esposta a inchieste giudiziarie, vittima di pregiudizi antichi e di movimenti che hanno bisogno di trovare un capro espiatorio da immolare per “uscire dalla crisi”.

In conclusione si può dire che senza la massoneria l’Italia non avrebbe raggiunto l’unità nazionale e il livello di libertà e di civiltà politica attuale. Senza la massoneria l’Italia tornerebbe indietro di secoli. Perciò essa costituisce un patrimonio civile anche per chi non è massone.

 

FINE

BIBLIOGRAFIA:

 

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C. Francovich, Storia della massoneria in Italia. Dalle origini alla Rivoluzione francese, Firenze, La Nuova Italia, 1974;

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L. Pruneti, Annales,. La Gran loggia d’Italia (1908-2012), a cura di A. A. Mola, Roma, Atanòr, 2013;

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G. Verucci, L’Italia laica prima e dopo l’Unità, Bari, Laterza, 1981.

Photo: www.kansasmason.org

mola

 

 

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