“Un collega nella ricerca della verità”. Così il padre della scienza moderna, Galileo Galilei, aveva definito l’astrologo, astronomo e matematico tedesco Johannes Kepler, un altro di quegli uomini straordinari che vissero presso la corte praghese dell’Imperatore alchimista Rodolfo II d’Asburgo.
Nato il 27 dicembre 1571, vicino alla Foresta Nera, l’infanzia del giovane Kepler non fu facile a causa di una situazione familiare poco serena. Il padre era un soldato di ventura, mentre sua madre, per via delle sue conoscenze nel campo delle erbe medicinali, era ritenuta una strega e per questo rischiò addirittura di finire sul rogo. Nonostante provenisse da una famiglia di umili origini, Keplero ottenne una buona educazione grazie all’aiuto dei suoi zii e si distinse negli studi di matematica, greco e latino, ma soprattutto, fin da giovanissimo, si interessò all’astronomia, interesse che divenne più forte dopo aver visto una cometa nel 1577 e assistito a un’eclissi lunare nel 1580, due eventi che lo segnarono profondamente.
Nel 1584 Keplero entrò in seminario avviato sulla strada verso il sacerdozio, e dal 1588 lo troviamo all’Università di Tubinga, ateneo protestante dove ebbe tra i suoi maestri Michael Maestlin,
astronomo e matematico, che lo convinse della fondatezza delle teorie geocentriche di Niccolò Copernico. Keplero si formava sulle opere scientifiche e filosofiche di vari autori, tra cui Nicola Cusano, filosofo che sosteneva teorie rivoluzionarie come l’infinità dell’universo, il suo non avere un centro e la sfericità della Terra.
Abbandonata l’idea della vita religiosa, nel 1594 il giovane Keplero viveva modestamente con la moglie e la figliastra a Graz, in Austria, dove insegnava matematica e operava come astronomo. Ma “arrotondava” lo stipendio operando anche come astrologo, cosa che fece più volte nel corso della sua vita. Previde per il 1595 un inverno freddo, un attacco dei turchi e una rivolta dei contadini. Tutte e tre le profezie si verificarono con grande stupore dei cittadini di Graz. Nello spirito di Keplero convissero sempre l’anima del matematico, impegnato in calcoli complessi sul moto degli astri, e quella dell’astrologo ed ermetista che credeva nell’armonia soggiacente dell’universo e nell’anima del mondo, senza che questi due aspetti della sua personalità entrassero mai in contraddizione.
Keplero, che fondava le sue teorie sulla base del sistema copernicano, credeva esistesse una connessione tra una visione scientifica e una teologica dell’universo, e sebbene incarnò sempre l’idea del matematico rigoroso, non ripudiò mai i suoi due grandi maestri: Pitagora e Platone. Proprio in virtù della compenetrazione di questi due aspetti, nel 1595 pubblicò l’opera “Mysterium Cosmographicum” destinata a cambiare la sua vita perché attirò l’attenzione dell’Imperatore Rodolfo II e del suo astronomo di corte Tycho Brahe che lo vollero a Praga al loro servizio.
Nella capitale dell’Impero, Keplero arrivò nel 1600 all’età di 29 anni e fu in questa città che, nel 1609, scrisse il suo “Astronomia Nova” che gettò le fondamenta per la nuova scienza astronomica.
La collaborazione con Brahe, 25 anni più anziano di lui, non fu facile, ma i due si compensavano. Keplero era schivo e introverso e, al contrario di Brahe, credeva che fosse la Terra ad orbitare intorno al sole. Inoltre era debole di vista, a causa di una malattia contratta da bambino e ciò gli creava qualche problema con le osservazioni, ma in compenso aveva uno straordinario talento per il calcolo matematico che, unito alle osservazioni celesti di Brahe, li resero una coppia di scienziati formidabile che insieme rivoluzionarono l’astronomia confutando la tesi aristotelica-tolemaica di un mondo creato in perfetta armonia basato sull’immutabilità delle sfere.
Ma Keplero non si accontentava soltanto di descrivere i corpi celesti, voleva indagare le cause del loro moto, cercare cioè le cause fisiche dei fenomeni, e anche
questa fu una importante innovazione del suo metodo scientifico.
Nella sua concezione dell’universo, lo scienziato tedesco mescolava sapere pagano e cristiano, intuizioni e calcolo matematico e questa combinazione di vari fattori apparentemente in contrasto tra loro, gli garantirono fama immortale. Dopo la morte di Brahe, l’Imperatore Rodolfo lo nominò matematico Imperiale e a Praga visse anni d’oro per la sua vita di studioso, potendo lavorare indisturbato avvalendosi del copioso materiale di osservazioni astronomiche lasciatogli in eredità dal suo defunto collega danese.
Keplero visse in diverse case nel centro di Praga dove teorizzò ipotesi e formulò leggi che cambiarono profondamente il volto dell’astronomia. Conduceva una vita semplice, quasi monacale, consumava pasti frugali, non era incline a vizi ed era solito passeggiare in silenzio per boschi e sentieri, “traendo gioia soltanto dalla scienza”.
I meriti scientifici di Keplero sono numerosi. In un epoca in cui l’astronomia era ancora legata a schemi arcaici e di matrice teologica, dimostrò che la fisica terrestre e quella celeste erano regolate dalle stessi leggi, ma soprattutto formulò le sue famose tre leggi sul movimento dei pianeti, da cui Isaac Newton elaborò quella di gravitazione universale.
Nell’ottobre del 1604, durante un’osservazione del cielo praghese, notò una strana stella che appariva più luminosa di Giove, e con sua enorme sorpresa capì che si trattava di una supernova esplosa nella Via Lattea in direzione della costellazione di Ofiuco. Ancora oggi, quella di Keplero, è l’ultima supernova ad essere stata osservata nella nostra Galassia. Fu il primo scienziato a parlare del fatto che la luna influisce sulle maree, suscitando l’ironia degli altri scienziati. Inventò il monocolo per la miopia e per la presbiopia e mise a punto il telescopio kepleriano, considerato come l’evoluzione di quello inventato dal suo contemporaneo Galileo.
Dopo la morte di Rodolfo II, il nuovo Imperatore, Mattia, lo trasferì a Linz dove si sposò per la seconda volta e ricoprì la carica di matematico territoriale. Nel 1618 pubblicò l’opera “Harmonices mundi”, in cinque volumi, in cui riprendendo la teoria della musica delle sfere di Pitagora, la mette in relazione con le sue leggi sul moto planetario. Nel libro viene esposta la terza legge di Keplero, e al tempo stesso si mettono in relazione tra loro la geometria sacra, la musica, la cosmologia e l’astrologia. Ancora una volta a scrivere erano il filosofo ermetico e lo scienziato.
Nel 1627 pubblicò le “Tabulae Rudolphinae”, un catalogo astronomico contenente la posizione di oltre 1000 stelle in base alle misurazioni di Tycho Brahe e altri astronomi, contenenti istruzioni e tavole per localizzare dei pianeti del sistema solare.
La sua ultima opera “Somnium” è invece una strana storia di poche pagine e molte note in cui si racconta di un immaginario viaggio sulla luna. Lo scritto è considerato la prima opera di fantascienza.
Il 15 novembre 1630 il sole era da poco sorto nella costellazione dello scorpione quando, nella città di Ratisbona, Johannes Keplero morì, povero, come nonostante la fama e l’ingegno era sempre vissuto. Le cronache raccontano un fatto interessante e insolito. La sera della sua morte, per una di quelle che potremmo definire “coincidenze significative” vi fu una straordinaria e insolita pioggia di stelle cadenti, quasi a voler salutare quell’uomo che allo studio dei fenomeni celesti aveva dedicato la vita.
Nella storia della scienza Keplero e Brahe furono l’anello di congiunzione tra Copernico e Newton il quale li considerava i due giganti sulle cui spalle lui era salito.
Nel cimitero di Ratisbona rimane ancora oggi una lapide con l’epitaffio da lui stesso composto: “Mensus eram coelos, nunc terrae metior umbras. Mens coelestis erat, corporis umbra iacet” (Misuravo i cieli, ora fisso le ombre della terra. La mente era nella volta celeste, ora il corpo giace nell’oscurità).
Questo articolo di Mauro Ruggiero è stato pubblicato per la prima volta su: “Progetto Repubblica ceca” (2017).