Alessandro Borghi, classe 1986, appartiene a quella nuova generazione di attori italiani che hanno inaugurato una nuova e promettente stagione per il cinema del Bel Paese. Inizia la sua carriera lavorando come stuntman e recitando piccoli ruoli per la televisione. Nel 2011 esordisce sul grande schermo nel film “Cinque” di Francesco Dominedò, e ottiene il ruolo di coprotagonista in “Roma criminale” (2013) a cui seguono “Suburra” e “Non essere cattivo” con il quale viene premiato come migliore attore italiano esordiente alla 72° edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
“Non essere cattivo” (2015) è il terzo lungometraggio del regista Claudio Caligari presentato fuori concorso a Venezia, in cui Borghi recita la parte di Vittorio. Questo film è stato scelto e proiettato a Praga nel corso del Mittelcinemafest 2015 organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura. Borghi ha presenziato alla proiezione e ha accettato di rispondere a qualche nostra domanda sul film.
C.B. Parlaci di “Non essere cattivo”.
A.B. È un film a cui tengo in maniera particolare perché so che in Italia non è comune e che capita forse una volta ogni 15 anni, e forse neanche capiterà più perché Claudio Caligari purtroppo ci ha lasciati. Si tratta di un film che si porta dietro una tradizione abbastanza importante: la tradizione neorealista, esistita in Italia per un po’ di anni e che andava piano piano svanendo e di cui Claudio secondo me era l’unico e ultimo vero rappresentante della scuola Pasoliniana. È stato un regista tenuto per tanto tempo lontano dall’unica cosa che gli dava la possibilità di avere il sorriso, ed è morto con la consapevolezza di aver visto esaudirsi il suo ultimo desiderio (per quello che mi riguarda ne avrebbe dovuti farne altri dieci di film!). Come ho detto tante volte, il film è una storia ambientata negli anni ‘90 a Ostia dove esisteva una realtà particolare. È una storia che parla di scelte e di quanto sia complicato avere la forza di prendere una strada diversa quando si nasce in alcuni contesti. Questa forza e questo potere presenti nella scelta dell’essere umano vengono raccontate attraverso i due personaggi che partono insieme, con la stessa mente e piano piano prendono due strade diverse rimanendo però sempre completamente in simbiosi perché l’amicizia è questo. Infatti può succedere che in un momento si è più lontani ma quando senti che qualcosa non va tu tendi a riavvicinarti ad una persona, provi a riportarla via ed è questo che fanno Cesare e Vittorio, soprattutto Vittorio nei confronti di Cesare il quale fa più fatica a prendere una strada diversa. Per quanto mi riguarda questo è un anno molto importante sia per “Suburra” che per “Non essere cattivo” poiché è stato molto interessante vedere che ci sono due modi completamente diversi di fare questo mestiere. In “Suburra” tu prendi parte a un progetto enorme, ad un film ricco e sei una piccola rotella di un ingranaggio nel quale ti devi limitare a fare davvero bene quello che ti spetta. Invece in “Non essere cattivo” è una cosa diversa, è un film dove si è creata una vera famiglia. Io ancora adesso quando rivedo il film mi sembra che qualcuno mi stia facendo vedere un documentario di me quando avevo vent’anni. Ricordo che mi è successa questa cosa perché Luca Marinelli per me è diventato veramente un fratello e per la prima volta ho fatto davvero tanta fatica ad uscire dai panni del personaggio. Grazie a questa esperienza ho realizzato che cosa vuol dire quando gli attori americani dicono che fanno fatica ad uscire dal personaggio (cosa che per noi è inconcepibile perché in Italia non si ha spesso la possibilità di lavorare in questa ottica). Invece qui è successo. Luca ed io eravamo diventati Cesare e Vittorio e quando ci hanno levato gli abiti anni ‘90 ci siamo sentiti scomodi (come un metodo Stanislavski all’ennesima potenza!). La cosa più interessante è che è stato un metodo Stanislavski inconscio poiché non ti metti a tavolino e decidi “ok adesso facciamo il metodo” ma semplicemente ti limiti a vedere quali sono le dinamiche che sono interessanti da portare sul set. In realtà io e Luca, senza dircelo, abbiamo coltivato un’amicizia vera e pura che sembrava durasse da trent’anni quando effettivamente esisteva da solo trenta minuti. In poche parole tutto quello che noi abbiamo portato nel film è stato all’80% frutto di un’amicizia vera presente nella nostra vita e ci siamo semplicemente limitati a portarla lì rendendola un po’ più cinematografica ovviamente. Anche Valerio Mastandrea è stato fondamentale perché se non ci fosse stato lui, tu ed io adesso non saremmo stati qui a parlare e il film non sarebbe mai esistito. Noi ci siamo più volte confrontati sul fatto che speriamo che “Non essere Cattivo” possa essere considerato come un anno zero per il cinema italiano ma non per la tipologia di film bensì per il modo in cui è stato affrontato il progetto.
C.B. Per quanto riguarda la tua carriera l’ultimo periodo è stato molto ricco. Possiamo dire che ha aperto una nuova stagione anche per la tua maturazione personale? Cosa ti ha dato il prendere parte a questi due progetti importanti?
A.B. La prima cosa che mi ha dato è la consapevolezza, finalmente, che in questo paese possiamo fare un cinema di altissima qualità. Questo è un sollievo perché per chi fa il mio mestiere è complicato. Infatti in alcuni momenti tante persone provano a farti credere che tu puoi fare soltanto la televisione se vuoi guadagnare dei soldi, mentre se vuoi fare cinema e vivere di questo mestiere si guadagna poco. Invece tu devi distaccarti da questa cosa. Io ho fatto delle scommesse con me stesso, ho preferito fare un percorso diverso rifiutando anche dei progetti di televisione abbastanza importanti ma perché sapevo che queste rinunce avrebbero portato un giorno ad avere la possibilità di poter fare questo mestiere sul serio. Infatti, quando mi chiedono che cosa ti aspetti per il futuro, io rispondo sempre la stessa cosa, che non è di lavorare con Sorrentino, con Tornatore (che sarebbe meraviglioso!) ma è semplicemente di avere un giorno la possibilità di poter fare un progetto come questo, che ti dia la possibilità di lavorare rilassato, con la mente sgombra, di lavorare sul tuo personaggio e di portare davvero l’anima sul film perché io, quello che ho provato su “Non essere cattivo” è una sensazione che non avevo mai provato in vita mia.
C.B. Qual è secondo te la differenza tra la tua generazione di attori italiani e quella immediatamente precedente alla tua (se c’è una differenza)?
A.B. Guarda, non lo so…quello che posso dirti per certo è legato a una cosa puramente materiale. Io ho iniziato a fare questo mestiere nel 2006, periodo in cui stavano iniziando a finire i soldi per fare i film. Mi ricordo benissimo questa cosa perché paradossalmente quando adesso vado a fare delle proposte di contratto, mi vengono proposte delle cifre che non sono così tanto superiori rispetto a quelle di quando ho iniziato a fare questo mestiere. Però dico sempre questo: da una parte questa crisi a noi ha fatto bene perché non avendo i soldi, tutti quanti sono stati costretti a guardarsi intorno: mentre prima c’era il nome di un attore che costava tot, adesso non ci sono i soldi e per questo proviamo a vedere chi altro c’è. Questo fatto ci ha aperto un sacco di porte. Io ogni tanto organizzo, insieme ad altri registi, dei workshop con altri attori anche molto giovani e quando parlo con i giovani dico sempre: “se dovete fare questo mestiere per diventare ricchi o per diventare famosi, cambiate subito strada perché non è più questo il momento. Questo mestiere va fatto se tu non riesci a starne senza, se tu quando la mattina ti svegli e vuoi fare un monologo allo specchio, allora vuol dire che quello è seriamente ciò che desideri fare perché se non hai una motivazione profonda e se ci sono dei secondi fini non è un mestiere che ti permette, con tutte le botte che prendi, di andare avanti”.
C.B. Con chi ti piacerebbe lavorare nel futuro prossimo?
A.B. Io avevo visto i film di Caligari ma non lo conoscevo, poi ci ho lavorato e me lo porterò nel cuore per tutta la vita; Sollima era una persona con cui volevo lavorare e l’ho fatto. Di sicuro sarebbe bellissimo lavorare con Tornatore, con Sorrentino e lo sappiamo, ma mi sento di dire che ho visto “Anime Nere” di Munzi e secondo me è un grandissimo regista. Mi piacerebbe anche provare a interagire con persone che come me in questo momento stanno cominciando a scoprire che questo mestiere si può fare e per vedere se c’è un punto di incontro per poter fare qualcosa di bello.
Mauro Ruggiero, Serena Michelin