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Officina Zoè. Gli ambasciatori della pizzica salentina a Praga

off2Il 9 ottobre 2015, presso il centro culturale “Villa Štvanice”, sull’omonima isola di Praga 7, si sono esibiti in una serata all’insegna dei ritmi travolgenti del Sud Italia, i musicisti della nota band: Officina Zoè, formazione musicale italiana da anni ambasciatrice della pizzica e della musica etnica salentina nel mondo. Questa band dal sound inconfondibile ha la sua caratteristica principale nella ricerca costante della trance e della ciclicità insita nel ritmo arcano dei tamburelli e degli altri strumenti tradizionali. Il gruppo, che vanta numerose partecipazioni a festival e collaborazioni in campo teatrale e cinematografico, ha presentato a Praga il nuovo album “Mamma Sirena”. Cafeboheme.cz ha incontrato questi straordinari musicisti per fargli qualche domanda.

CB. Il nome del vostro gruppo è Officina Zoè, “officina” intesa come luogo dove si lavora, si sperimenta, e “Zoè“ vita. Questo nome lascia intuire la voglia di trovare, attraverso la sperimentazione, l’identità e la ricchezza della vostra tradizione. Siete soddisfatti del livello che avete raggiunto? c’è qualcosa che vorreste ancora sperimentare e che non avete ancora avuto modo di esplorare?

OZ. Soddisfatti moltissimo perché c’è stato un grafico che è andato sempre verso l’alto e non avrei altro da aggiungere se non per ciò che riguarda la sperimentazione. La musica è infinita quindi è chiaro che non si finisce mai di sperimentare, la nostra è anche una ricerca in questo senso. E’ vero che noi partiamo dalla tradizione, però cerchiamo anche di confrontarci con quella che è la nostra realtà circostante, cercare in un certo senso di ricondurre ad una certa genuinità in un mondo che ormai è corroso principalmente dal consumismo e dal materialismo… Quindi la nostra, più che una funzione politica, si può dire sia una funzione antropologica ed etnologica nel vero senso della parola.

CB. Come nasce il progetto “Officina Zoè”?

OZ. Nasce dall’incontro con Lamberto Probo che, tornato da un’esperienza di teatro e di musica daoff3 Berlino, aveva imparato questo ritmo da piccolo anche se in quegli anni era quasi scomparso. Infatti esistevano pochissimi gruppi di proposta, non come adesso, i quali proponevano principalmente canti politici, di lavoro, di protesta sulla scia degli anni ’70 e ’80… quindi nei primi anni ‘90 era rimasto poco. L’incontro con Lamberto, che aveva già avuto esperienze anche con il rock, il rock blues e il teatro, è stato caratterizzato dalla voglia di ritornare e ritrovare una radice, qualcosa di più profondo. La domanda che lui fece fu: «ma qui, non abbiamo niente?» Infatti in quegli anni c’era un folk becero, senza un codice e così Lamberto insieme a tutti quelli che si ritrovavano ancora nelle feste tradizionali, come la festa di Torrepaduli, dove c’erano ancora gli zingari e quei contadini che in quell’occasione si ritrovavano per riportare in vita questo ritmo, si diede da fare. Importante è stato anche l’incontro con Donatello, che aveva già sperimentato con altre persone questa ricerca durante gli anni ‘80. Quindi si può dire che siamo stati accomunati dalla voglia di scoprire questa musica e per questo abbiamo frequentato gli anziani, quelli che ancora c’erano e abbiamo trovato un pozzo senza fondo… soprattutto per quanto riguarda il ritmo, perché molti gruppi hanno dato molta importanza, come dicevamo prima, al canto di lavoro, di protesta e alle melodie in particolare, dimenticandosi però la cosa più importante che era proprio il ritmo, cosa che è sfuggita al 99 % dei musicisti di quegli anni.

CB. All’inizio della vostra carriera come siete stati recepiti dal panorama musicale del tempo e dal pubblico?

OZ. Agli inizi i musicisti, che suonavano il jazz, il blues ecc. ci snobbavano anche se poi loro trattavano sempre lo stesso ritmo. Quando c’era la moda della balcanica tutti facevano balcanica, quando c’era la moda del celtico, tutti celtico, del cubano tutti cubano… Noi invece ci avvicinavamo al panorama musicale come autodidatti, appassionati di tradizioni popolari conservate dai contadini, dalla gente più umile.
Invece, per quanto riguarda la gente, la risposta è stata calorosa e di anno in anno sono cresciuti i riscontri a partire dai bambini di due anni agli anziani che ricomparivano dopo anni. Anche persone che avevano sperimentato questa musica e poi l’avevano abbandonata hanno ricominciato a suonare e a riprendere lo studio degli strumenti tipici. Quindi c’è stato un fermento, un crescendo anche di numero di musicisti che hanno permesso di incrementare la resa e il potere del ritmo, coinvolgendo moltissima gente. A tal proposito si può dire che il nostro primo cd Terra è stato un punto di riferimento per le nuove generazioni e molti si sono formati proprio su questo disco.

off4CB. Non è infatti un caso che da quel momento in poi nel Salento sia esploso il revival di un certo tipo di musica…Vi sentite colpevoli di questo?

OZ. Più che colpevoli! Non dimentichiamo anche l’apporto di altri media come ad esempio il cinema che è stato un grande veicolo in particolare grazie al film Sangue Vivo nel quale la tradizione è stata rappresentata in modo molto efficace e dove, oltretutto, hanno recitato Lamberto come protagonista e il nostro compianto Pino Zimba. Questo film è stato molto importante perché pensiamo che il pubblico abbia recepito il reale senso del nostro lavoro e allo stesso tempo anche per noi è stata come una vera e propria presa di coscienza di noi stessi, di comprensione per comunicare chi siamo, quello che era la nostra storia e la nostra musica, il tutto attraverso il film. Il pubblico ha recepito anche il fatto che noi non intendevamo la tradizione come riesumazione di cadaveri, ma la consideravamo una tradizione viva, una ricerca di una identità.

CB. Poi sono arrivati i primi riconoscimenti come ad esempio il premio “Tenco” e altri. Come li avete recepiti?

OZ. Il Premio “Tenco” è stata una soddisfazione per il fatto che siamo stati invitati a parteciparvi, ma le nostre più grandi soddisfazioni sono state date dalla ricezione da parte del pubblico del nostro messaggio ed è stato il momento in cui abbiamo pensato: ”Sì, stiamo andando nella direzione giusta!”.

CB. Avete partecipato a numerosi festival nazionali e internazionali e i vostri tour oggi vi off5portano ancora in giro per il mondo. Da chi non è salentino e non è italiano, come viene accolta la vostra musica, o meglio qual è l’impressione che avete quando di fatto state comunicando in una lingua che non è quella dello spettatore?

OZ. (Cinzia Marzo) Io faccio sempre l’esempio che ascolto molta musica africana e non capisco una parola. Noi come gruppo siamo abituati ad ascoltare tanta musica in lingue che non conosciamo, o almeno per quanto mi riguarda, forse io ascolto molta musica del mondo, poi la massa magari predilige l’ascolto di musica inglese o brani nella propria lingua o del proprio paese. Penso che comunque la musica sia un linguaggio a parte, non è soltanto il testo, la parola.

(Donatello Pisanello) Ti racconto un aneddoto. Quando siamo andati in Giappone per un concerto: prima di iniziare a suonare il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura locale ci disse: «Non vi preoccupate se non dovessero applaudire, se sono un po’ freddi, ma, sapete, è un’altra cultura…» Invece si sono scatenati, si sono alzati dalla sedia, cosa che non succedeva quasi mai in Giappone. Io personalmente ricordo ancora il crescendo che c’è stato e in quell’occasione abbiamo registrato un live con la registrazione di un disco di questo tour nel quale si sente questo calore.

CB. Se oggi un giovane volesse intraprendere la strada del fare questo tipo di musica strettamente legata alla tradizione utilizzando gli strumenti tradizionali, troverebbe più difficoltà rispetto a voi o avrebbe un cammino già tracciato?

OZ. Credo abbia già una strada. Come dicevo prima, il nostro primo cd Terra è stato un punto di partenza. Sicuramente un giovane potrebbe trovare qualche problema a fare delle scelte perché ci sono un sacco di persone oggi, c’è più mercato e il livello di percezione da parte di quelli che si propongono come operatori musicali è vario. Per questo motivo è necessario saper scegliere le persone adatte e chi propone il musicista nel modo adeguato. Certo una condizione è la formazione, oltretutto ci accorgiamo che esistono scuole di pizzica in tutto il mondo ma pochissime hanno uno statuto culturale adatto ad insegnare questa danza nella sua forma originale poiché molto spesso cominciano ad imitare l’imitazione dell’imitazione diventando un prodotto non autentico. Se una produzione artistica la si presenta come tradizione deve essere comunque un minimo fedele a questa, se invece si dice: “sto sperimentando, questo è un pezzo mio che ha questo tipo di linguaggio, che ha questo ritmo…” è un discorso diverso. Quindi di offerta ce n’è molta, bisogna solo scegliere.

CB. Abbiamo detto che c’è stato un momento in Italia in cui la musica tradizionale è stata un po’ snobbata. Poi ad un certo punto la situazione è radicalmente cambiata e lo si vede non solo dal vostro esempio ma anche da molti altri artisti, mi viene in mente ad esempio Peppe Voltarelli, anche se poi siamo su un genere un po’ diverso…Per quale ragione, secondo voi, ad un certo punto il vento è cambiato?

OZ. La cosa è successa a vari livelli: questo fenomeno nasce popolare e i primi ad interessarsi a noi è stato sicuramente il pubblico, mentre appunto gli altri (i musicisti) ci snobbavano. A mio avviso comunque c’è una congiuntura proprio internazionale, la “world music” che è esplosa un po’ ovunque, in particolare negli anni ‘70/’80. Probabilmente in Italia è arrivata un po’ dopo e per quanto riguarda il Salento è esploso un po’ di più negli ultimi anni…ma penso che dai primi anni ‘90 in poi ci sia stata questa voglia generale di tornare a qualcosa di più naturale, di più sincero e questo aspetto si è manifestato con tutto, con il cibo, con i muri a secco, con la voglia di recuperare la tradizione e la musica… Forse è stato un compensare tutta questa tecnologia, tutto questo progresso.

CB. Quindi siete stati un po’ la “dieta mediterranea” della musica?

OZ. Sì, la voglia di trovare qualcosa di più genuino, “non modificato”.

CB. Progetti futuri?

off6OZ. Ne abbiamo appena realizzato uno e le idee sono tante, ma manca sempre il tempo!
(Cinzia) Posso dire che da un po’ di tempo a questa parte ho intenzione di fare un lavoro tutto mio che sarebbe completamente diverso e nuovo, ma sempre volto a non contaminare troppo la tradizione. Mi piacerebbe fare questo lavoro così personale per sperimentare, ma lo farei comunque con i musicisti dell’Officina e con qualche altro amico.
(Donatello) Abbiamo realizzato da poco questo cd “Mamma Sirena” solo 4 mesi fa È “fresco fresco!”.

CB. Non vi adagerete sull’ultimo cd! Lo spirito del sud e salentino già freme dentro e state sicuramente pensando ad altro.

OZ. In effetti, per questo ultimo lavoro, c’è un progetto per portarlo anche a teatro, perché collaboriamo con alcune danzatrici con le quali abbiamo lavorato già ad uno spettacolo di danza che si chiama Passo a Sud dove il nostro gruppo suona live. Anche queste cinque danzatrici, come noi, sono partite dalla taranta e poi sono cresciute negli anni. In futuro c’è questo progetto con il teatro, con la danza e la musica e anche con due attrici. La storia raccontata è quella di Madre Sirena con diversi riferimenti filosofici sulla madre, le Sirene, la conoscenza, i pescatori…C’è una sorta di riesumazione, anzi di rivitalizzazione di una tradizione mediterranea che parte dalle sponde africane fino alla musica del Sud Italia.
(Cinzia) Il soggetto della Sirena è nato perché ad un certo punto trovai questa filastrocca che era conservata in alcune favole e ho incominciato a chiedere in giro, ma non la conosceva nessuno. Quando ormai avevamo finito di registrare il disco ne parlai a casa con mia zia e lei mi disse: «ma io la conosco questa Mamma Sirena. Mamma Sirena, lenta lenta…» Io ero contentissima di aver trovato questa filastrocca proprio dentro casa e di aver poi approfondito, anche se mia zia la conosceva in un’altra versione con delle parole diverse. Quando penso a questa filastrocca ho più come riferimento Napoli perché “Mamma Sirena” era Partenope, ma ho trovato anche una favola emiliana che si chiama “Eleonora” che narra sempre la stessa storia, poi ho trovato la “figlia di Biancofiore a Otranto” e in tutta l’Italia è pieno di storie simili.

CB. La cosa bella è che nel 2015, quando a livello musicale si è già sperimentato praticamente quasi tutto, il bacino della tradizione orale è ancora un pozzo senza fondo. Questa è la cosa bellissima che poi permette, a chi è capace di sintonizzarsi su quella lunghezza d’onda, di attingere a questo pozzo creando qualcosa di nuovo per portare comunque avanti una tradizione.

OZ. Il nostro lavoro durante gli anni è stato proprio così, tutti quelli che si sono occupati di musica tradizionale hanno fatto una raccolta di canti popolari che hanno tenuto nel cassetto per molti anni. L’editore Kurumuny, per esempio, si propone di tirare fuori dal loro cassetto tutto questo materiale tradizionale che sta uscendo fuori finalmente, custodito peraltro molto gelosamente, perché difficilmente si condividevano le cose allora.
(Cinzia) Coloro che ci snobbavano musicalmente facevano i ricercatori, gli intellettuali e il loro atteggiamento iniziale era di chiusura e di lontananza dal popolo. Siccome erano in pochi e non c’era stato questo revival, quei pochi che c’erano, erano tutti detentori del loro piccolo museo, delle loro registrazioni. Erano molto chiusi, molto lontani dal popolo, quindi tanta teoria. Erano molto gelosi e poi ad un certo punto è stato sempre un crescendo, passo dopo passo, anno dopo anno, finché ti ritrovavi i bambini sugli scogli a Novaglie che suonavano i tamburelli.

Di: Serena Michelin e Mauro Ruggiero

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