Era un portaordini della vita, un guerriero senza paura che sosteneva la sua forza battendo a regola di rock il plettro: la sua testa d’ariete.
Ci teneva a far cadere un limite al giorno; dava il latte alla protesta con le sue note spezzate: che avevano le borchie il gas il ferro maestro.
A ogni canzone aveva la vittoria in pugno, fosse contro cento maledette lingue o mille irriducibili usanze: li avvertiva della loro fine, sbeffeggiandoli, li appoggiava su un tappeto musicale sempre alto, prepotente come un’indomabile onda marina.
Ivan Graziani li ha braccati tutti i puritani del tempo, e gli ha dato addosso spaccando le loro schiere intolleranti, scompigliando ogni loro idea conservatrice. Era il clangore delle corde il suo urlo di battaglia, la chitarra una continuità della sua voce.
E come girava clemente sulle nostre debolezze, con la mano di un padre e la cura gentile di una mamma. Era un mestiere d’amore, e sembrava lui avesse sempre dormito nei nostri affanni, e per noi avesse stabilito una galleria di suoni dolci, sembrava fosse un liquido sicuro nelle nostre vene.
Ivan Graziani, dal palco, legava al nastro delle note i nostri sogni, le glorie dei nostri ideali.
Era la parte sonora delle nostre fantasie. Il retro del muro senza rose, quello dovuto alla parte incatenata della nostra vita.
Non si è mai distratto, non si è lasciato convincere dai profumi sottili delle finte felicità; aveva lo sguardo puntato verso le linee contrarie e veramente nulla in comune con i benpensanti. Un rinnovatore, di quelli capaci di infilarsi nelle nostre solitudini e far di nuovo girare quel telaio morto delle nostre speranze.
Aveva la rabbia insonne, l’incandescenza nell’animo e un aspetto triste che sembrava fatto apposta per ingannare il dolore.
Aveva sempre delle faccende sospese con la società.
E anche con il Padreterno ci ha discusso: da irrimediabile dissacratore non ha saputo resistere alla tentazione di richiamarsi dei diritti. Per lui aveva un senso la sua pelle umana e poco la dichiarazione eterna dell’aldilà.
Era un chitarrista, con delle splendide dita: che i ritmi fossero in battere o in levare non ve ne erano in giro di così sapienti. E anticipavano la melodia, poco prima della nascita, con un leggero movimento, per dare armonia anche ai gesti più semplici, dare suono ai corpuscoli nell’aria.
Li abbiamo visti i suoi piedi battere il palco, per darsi il tempo, per fermare lì con lui gli attimi in ritardo che si sarebbero invece perduti.
Ivan Graziani non ha mai tradito; ha custodito la sua fedeltà sulla luna, lontana dalle contaminazioni volgari del commercio musicale: mai avrebbe potuto, lui gallo energico, abbassare la testa, ha continuato con le sue andature ritmate a darci il tempo dell’impegno e della liberazione. La violenza sessuale, l’omosessualità, il disagio giovanile, ma anche quel tempo orrendo bruciato dalla droga. Nessuna tematica è stata risparmiata dalla produzione musicale di Ivan Graziani, perché lui con le canzoni ci ha realmente provato a farci cambiare.
E poi le donne, chiamate tutte per nome per un fermo rispetto del loro valore. Era così leggero nei ritratti, Angelina Isabella Luisa Paolina Josephine Agnese, ci sono sembrate sorelle amiche fidate, anche muse per un’evasione sessuale.
Romantico, con una provvista infinita di sentimenti nel cuore, ha sempre vissuto nell’incanto. Era intenzionalmente dolce. E aveva una culla pronta, per far riposare ogni amore. Perché nulla finisce nel nulla e innamorarsi è una festa una causa di gioia, e lui per questo ne ha cantato lo stupore.
Ivan Graziani ha ancora una mitraglia nelle mani. Cosa volete lui oggi, a settant’anni, nel suo globo puro, ne sappia della morte.