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Voci Nuove. Le interviste agli autori emergenti della casa editrice controcorrente: “Prospero Editore”

Prospero Editore è una casa editrice nata nel maggio del 2012 dall’idea di offrire un’alternativa semplice e pratica, ma soprattutto umana e di qualità, a un problema reale creato dal quadro dell’editoria italiana. I grandi editori pubblicano solo grandi nomi, per avere un ritorno. I piccoli editori pubblicano solo chi è disposto a pagare cifre enormi. Chi pubblica online è lasciato solo e non considerato.

Prospero Editore offre un altro modo di pubblicare: grazie alla passione di chi ha speso anni studiando letteratura e vuol renderla per l’arte che è, anziché per il prodotto scadente che rischia sempre di diventare.

Marco Sanna è nato a Genova nell’autunno del ’73. Dopo essere arrivato a meno due esami dalla laurea in scienze della formazione, decide, contrariamente alle previsioni, che non sarebbe stato un laureato ma un felice eterno laureando. Contemporaneamente e parallelamente continua a coltivare i suoi interessi per l’arte e l’amore per la diversità che lo spinge a lavorare con bambini ospedalizzati, disabili e senza tetto. Contribuisce alla costruzione, coordina e poi dirige una struttura per disabili nella sua città natale.
Eclettico, instabile, inquieto e riservato, ama profondamente gli animali e convive con i suoi due cani Meggy e Lea, i quali, oltre ad ispirarlo, lo osservano mentre scrive, curiosi come lettori.

1) Marco, questo non è l’unico né il primo racconto che hai scritto; come lo valuti all’interno della tua produzione?

Dammi la mano che balliamo è forse il racconto più simbolico e introspettivo tra quelli scritti sino ad ora, dove, volutamente, viene dato tutto il meritato spazio agli accadimenti inconsci e alle percezioni soggettive dei protagonisti. Certamente è il più parossistico e sincopato. In altri racconti, è possibile scorgere uno stile univoco, che lega la storia o le storie in un amalgamo omogeneo; qui non è possibile, le vicende e i pensieri si susseguono rapidamente, come accade nella realtà. Un vortice difficile da fermare, una vertigine di illusioni. Se ci pensate, i sogni accompagnano così tanto la nostra vita da diventare loro stessi realtà e, comunque, farne parte integrante. Strano no? Da qui nasce l’esigenza di non sottovalutare i sogni e i desideri nascosti, i segnali e le circostanze possibili. Credo che sia possibile definire questo romanzo una strada con molti bivi e ad ogni bivio c’è un racconto nuovo, una nuova storia e un nuovo inizio.

2) È possibile individuare un filo conduttore tra i tuoi scritti? È presente in essi un tema, un sentimento o un messaggio ricorrente?

Io credo che l’unico filo conduttore individuabile sia il conflitto, presente sempre e comunque, indicatore di vita e portatore inevitabile di paure. Tentando di misurare le profondità dell’essere umano, credo che sia scontato rimanere incastrati tra le pieghe dell’incongruenza; ingrediente della vita almeno quanto il desiderio, ma molto più salato.

Per il resto considero i miei scritti privi di messaggi ricorrenti fatto salvo l’amore che terrorizza ma accende e guida, come la luce di una stella nel buio più buio della propria solitudine.

3) Chiedere a un autore che tipo di relazione corre tra la sua vita privata e l’opera che ha scritto può talvolta suonare stridente: la letteratura descrive sempre un mondo verosimile e non va confusa con la realtà. Nel caso di Dammi la mano che balliamo, però, il vissuto personale sembra contare davvero tanto. Puoi darci qualche chiave per capire meglio?

Beh, è vero, adoro la birra doppio malto più di qualsiasi altra cosa al mondo. Scherzi a parte, non nascondo di avere intrapreso, in passato, percorsi che, anche in considerazione del difficile lavoro che svolgevo, a contatto con la disabilità, e come completamento della mia formazione universitaria e personale, mi hanno segnato profondamente determinando anche alcune scelte formative.

In più, da sempre, ha pulsato in me la voglia di una più profonda conoscenza di me stesso, fino ad accarezzare la possibilità di sondare il mio mondo onirico, tutto ciò ha contribuito a determinare il mio avvicinamento al mondo, prima psicologico e poi psicoanalitico. Un percorso duro di confronto costante. Ivan è un po’ Marco. Marco è un po’ Ivan. Anni fa i miei spostamenti erano per lo più attraverso mezzi pubblici e lì, mi divertivo un mondo a guardare la gente e a creare storie. Proprio sull’autobus n°34 è nato “Dammi la mano che balliamo”, mentre tornavo a casa, dopo essere stato sottoposto a “dure sevizie” da parte una bambina un po’ problematica, ho scorto un uomo molto piccolo che sembrava un nano da giardino, di fronte a me una ragazza che leggeva un libro di metodologia della ricerca sociale, Io ero il terzo personaggio. La fantasia ha fatto il resto.

4) Come nascono e, soprattutto, come crescono i tuoi lavori? Dove scrivi e in che momenti? Quanto tempo hai impiegato per scrivere questa storia?

I miei lavori nascono improvvisamente, così, in certi momenti. Un amico, un estraneo mi parla e qualcosa mi colpisce. Una volta ho scritto un racconto perché la mia compagna mi ha domandato come mai non usassi scrivermi ciò che dovevo acquistare al supermercato. Così ho immaginato un uomo che non poteva fare nulla senza una lista. Automaticamente i personaggi prendono vita e assumono caratteristiche peculiari che possono cambiare in base a cosa capita mentre scrivo. Se passa un gabbiano immagino una persona tenace, con il naso lungo e gli occhi piccoli. È tutto in divenire, come la vita, non sai mai cosa accadrà e come cambieranno le cose, così sono i miei scritti.  Ogni racconto ha una colonna sonora perché credo che la mano debba seguire la mente e la mente l’orecchio. Per leggere “Dammi la mano che balliamo” vi consiglio di ascoltare i Radiohead.

Quando sono a casa scrivo sopra una vecchia scrivania con una gamba rosicchiata da Maggy, la mia cagnetta simil Border Collie ma “Dammi la mano che balliamo” è stato scritto per più di metà con il mare di fronte, a Solenzara in Corsica, il tutto in circa due anni. Un anno e mezzo per la prima metà, sei mesi per la seconda.

5) Per scrivere un buon libro bisogna averne letti mille. Dai, elencaceli tutti! No, solo quelli più importanti, quelli che ti hanno “formato”.

Sono tantissimi, è difficile, ogni libro letto ha generato un piccolo cambiamento, nel bene e nel male.  Indubbiamente da quando ho letto “Marcovaldo” di Calvino, molti anni fa, anche se credo di averlo riletto almeno venti volte, non sono più riuscito a guardare una città innevata nello stesso modo. Credo che questo sia il dovere di un libro: cercare di modificare il punto di vista delle cose, quando lo fa, te ne innamori.

Un altro libro molto importante che definirei un libro “passepartout” è “L’interpretazione dei sogni” di Sigmund Freud, grazie al quale ho avuto accesso ai principali concetti psicoanalitici, scoprendo un magma sotterraneo e pulsante in grado di esplodere e straripare: l’inconscio.

Un terzo potrebbe essere “Delitto e Castigo” di Dostoevskij per il quale userei un solo aggettivo che credo ne riassuma la mia idea rispetto al libro: Potente.

E poi ancora “I fiori del male” di Boudelaire, “Cronaca di una morte annunciata” di Marquez, “Il re della pioggia” di Soul Bellow, “Il vecchio e il mare” di Hemingway. Un posto speciale credo che dovrei riservarlo al libro “L’enigma del solitario” di Gaarder Jostein che mi ha ispirato non poco durante la mia adolescenza stilistica e di cui citerò questa meravigliosa frase: “non capivo perché la mamma, per ritrovare se stessa, dovesse andare via, lontano da noi; il mio consiglio a chiunque desideri ritrovare se stesso è di restare esattamente dov’è altrimenti rischia davvero di perdersi una volta per tutte”.

6) Il tuo è uno stile frizzante, vivo, reale, veloce, scorrevole. Nasce spontaneo o è frutto d’intenso labor limae?

Spesso non rileggo neanche quello che scrivo perché seguo la musica che ascolto e la mano sembra precedere il pensiero e seguire le note. A volte è proprio la musica a suggerirmi lo stato d’animo da imprimere ai miei personaggi che credo, siano personaggi musicali. Così certi passaggi risultano più veloci, altri più lenti, alcuni esasperati. Ovviamente alla fine, tutto deve essere valutato e rivisto alla luce dell’imprescindibile esigenza di comprensione e fluidità del testo. Esiste quindi la spontaneità della scrittura che sgorga, per così dire, liberamente e si tinge di inchiostro ma, anche il lavoro di comprensione e adeguamento alle esigenze del lettore. È molto importante per me cercare di dare a chi legge tutte le possibilità di capire per potersi formare liberamente una propria immagine mentale di ciò che accade.

7) Diremmo proprio che non sei uno di quegli scrittori che ama descrivere lungamente paesaggi e ambienti; se mai vagli attentamente particolari riguardanti psiche e comunicazione. Si potrebbe parlare di scrittura introspettiva?

Indubbiamente. Per me i paesaggi sono quelli reinterpretati dall’occhio che osserva e che dà sempre una personalissima interpretazione di quello che vede. Credo di poter affermare che tutto, anche i paesaggi, nei miei personaggi, diventano frammenti di sentimento, fusi irrimediabilmente nel loro interno e trasformati in sensazioni, per lo più a fior di pelle, per lo più profonde. L’introspezione è, allora, caratteristica peculiare nella mia scrittura perché ricerca il senso del diritto di cittadinanza di tutte le emozioni, nessuna esclusa, il solo fatto di esistere significa diritto di esserci . In ogni momento può diventare rilevante e imprescindibile ricercare il perché di un inezia e ripensare la realtà alla luce della nuova scoperta. Sentirsi e riscoprire ogni volta che un attimo può ricomporsi diverso davanti ai nostri occhi, con quel fare da grande che solo i bambini hanno mentre giocano.


8) Ivan: un “vinto”? Un “antieroe”? Come definiresti il protagonista del romanzo?

Ivan è una persona come tante. Un semplice esistente che richiede un po’ più di attenzione al mondo da cui vuole scappare. Un abitante sbadato, un po’ demolito e popolare di una città che regala poco e toglie tanto. Ivan è ambiguo, come tutti noi,  è onesto e confessa a se stesso che non può farcela, poi mente anche a se stesso recitando dei copioni che lo possano fare sentire più sicuro. È sempre lì, attaccato a quella pellicola semitrasparente che gli fa scorgere cosa c’è dall’altra parte senza fargli capire perfettamente di cosa si tratta. È debole, per questo è da amare.

9) Zitrunas: un personaggio o un simbolo?

Zitrunas è il simbolo del mondo nascosto e sotterraneo che è dentro ognuno di noi, per questo compare e scompare, si cela, scappa, interroga e si interroga, accompagna e stravolge ma è anche un personaggio, un amico saggio con cui confrontarsi, un possibile incontro o, semplicemente, l’autista dell’autobus.

10) L’interferenza della realtà su una mente sovrappensiero: il pendolare vagheggia, i rumori del mezzo pubblico restano in sottofondo. E talvolta prendono il sopravvento: e quando ciò accade, cosa succede?

Succede che le porte si aprono, un po’ di realtà entra e un po’ di fantasia esce, dentro tutto si mischia e capire cosa è vero e cosa no diventa insensato.

11) E per concludere, una domanda disinteressatissima, alla quale puoi rispondere in piena libertà. Cosa ti ha spinto a pubblicare con Prospero Editore e scegliere l’ebook come soluzione per la tua opera?

Non posso dire che le proposte di pubblicazione per “Dammi la mano che balliamo” siano mancate, quindi la mia decisione di pubblicare con la neonata casa editrice Prospero scaturisce dalla percezione di qualcosa di diverso. Ho avuto da subito, dai primi contatti,  la sensazione di una volontà fresca e precisa di smuovere qualcosa all’interno dell’Editoria attraverso un lavoro capillare e appassionato di giovani uniti dall’amore per la letteratura, per nulla cristallizzati e legati a preconcetti. Far parte di un progetto nuovo mi ha allettato, la serietà e la professionalità di Riccardo Burgazzi hanno fatto il resto.

L’ebook? Affascinante, immediato, accessibile, comodo, economico.  Non dico che sia il futuro dell’editoria ma è certamente una costola che sta generando un’importante rivoluzione editoriale. Ammiro la tecnologia e credo che si possa chiamare progresso quando diventa fruibile da tutti. Infatti l’ebook sta diventando “popolare” grazie alle possibilità di connessione e alla facilità dei supporti multimediali.

Anche i nostalgici come me hanno dovuto fare i conti con la straordinaria versatilità degli ebook. Io? Semplicemente amo le novità.

http://www.prosperoeditore.com/i-nostri-libri/dammi-la-mano-che-balliamo-detail.html

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