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Voci Nuove. Interviste agli autori emergenti: Serena Bilanceri. “Prospero Editore” n.6

Serena Bilanceri ha studiato Scienze della Comunicazione a Bologna e a vent’anni si è trasferita in Germania. Ha vissuto in Spagna e in Inghilterra grazie al programma Erasmus Mundus. Oggi lavora come giornalista free-lance per una radio-televisione tedesca e collabora come blogger con un giornale di Cambridge.

Appassionata di cinema, recitazione e danza, nel tempo libero svolge attività di volontariato per Amnesty International, occupandosi in particolare dell’uguaglianza dei diritti di genere.

Serena, la prima domanda che si rivolge a chi scrive poesie è, banalmente, “perché?” E, banalmente, te la rivolgiamo anche noi.

Credo che sia difficile dare una spiegazione razionale del perché si scrivono poesie. Direi che lo si fa e basta. È un’urgenza che credo nasca naturalmente in ogni poeta, probabilmente come mezzo di espressione privilegiato.

Credo inoltre che la poesia si presti in maniera particolare a fornire spunti per ulteriori riflessioni, a catturare momenti e frammenti, per poi dotarli di significati più ampi.

Qual è la poeticità di Serena Bilanceri? Se dovessi darci una sintetica “definizione di poesia”, cosa ci diresti?

Fluire, divenire. È sintetica abbastanza?

No, scherzi a parte, la poesia per me è raccogliere frammenti e vincolarli a significati ulteriori, che vadano al di là del momento o della riflessione particolare. È un processo in continuo divenire, ed è anche per questo che la raccolta presenta 99 poesie (e non, ad esempio, 100). Benché la raccolta sia in sé un po’ come un racconto, quest’ultimo non è finito. Direi che è appena cominciato.

La poesia è anche una forma di liberazione, se si vuole, perché permette di giocare con il linguaggio, sperimentare, caricare le parole di molteplici significati che spetta al lettore scegliere, assegnare o ricostruire in maniera ancora più amplificata che nella prosa.

Quali poeti del passato hanno influito di più sul tuo modo di scrivere versi? E in che modo?

Se penso a poeti del passato che ho apprezzato molto, i primi che mi vengono in mente sono Baudelaire, Pascoli, Ungaretti sebbene siano molto diversi l’uno dall’altro. Mi piacevano molto anche Poe e Foscolo. A dir la verità ce ne sono diversi, ma i primi tre sono forse quelli che mi hanno influenzato di più, sia a livello stilistico, in particolare Ungaretti, che tematico: Baudelaire per quanto riguarda il discorso astratto e metafisico e Pascoli per i risvolti psicologici presenti nella sua poetica, unita all’attenzione per elementi quotidiani.

All’interno di Fino alla fine dell’illusione, c’è un buon numero di testi riconducibili alla “critica sociale”. È compito del poeta denunciare il malessere? In che modo la poesia può aiutare il tuo mondo?

“Compito”, magari, direi di no; possibilità si. Ogni poeta ha in fondo una poetica propria, non direi che sia un dovere sociale usare la poesia come mezzo di denuncia, pero è senza dubbio una possibilità che si presenta a chi vuol fare poesia. Credo sia più istintivo scrivere poesie su temi astratti o intimistici – o almeno lo è stato per me. Negli ultimi anni ho invece deciso di dedicare molte poesie a temi sociali perché ritengo sia importante che chi opera in ambito intellettuale/artistico usi i propri mezzi espressivi per denunciare ciò

che non trova giusto all’interno della società in cui vive, per mettere in luce aspetti che molti preferirebbero ignorare. Credo sia importante allargare il proprio sguardo all’ambiente in cui gli artisti si trovano ad operare, e con ambiente non intendo solo gli elementi materiali, ma anche e soprattutto le reti sociali e i vincoli di potere interni alla società. Lo considero un elemento importante del produrre arte.

Purtroppo è inevitabile: il lettore, davanti a una raccolta di poesie, non può fare a meno di incuriosirsi, di cercare di saperne di più sulla voce che dice “io” nei testi. Ci sono dei testi (e se sì, quali) dettati da esperienze concrete del tuo passato?

Senza dubbio. Ho scritto molte poesie e credo sarebbe difficile dire per ognuna cosa c’è di autobiografico, comunque posso far presente che ho viaggiato molto, quindi venendo in contatto con culture diverse si notano anche aspetti della propria con più lucidità, aspetti e sistemi di valori di cui a volte non ci accorgiamo quando siamo “immersi” in una certa cultura e la accettiamo come data. Ho vissuto i problemi, anche legali, di chi si muove da un continente all’altro, anche se non in prima persona. Senza dubbio sono presenti nella raccolta anche molte poesie di natura intimistica, e quelle sono spesso dettate da esperienze quotidiane o personali, anche se non sempre le riflettono fedelmente. (Posso avvalermi ora della privacy :-))

L’ispirazione. Come t’ispiri? Dove scrivi? Quanto tempo ti occorre?

Dipende. Come ha detto una mia amica poetessa, in poesia ciò che costa tempo non è tanto lo scrivere, quanto il correggere. Si può scrivere in mezz’ora, e poi passare settimane a ritornare sulla stessa poesia apportando correzioni, cambiando dettagli. Cerco ispirazione spesso in scritti, ma non necessariamente poesie, di altri autori, spesso testi filosofici. Talvolta invece prendo spunto da notizie di fatti accaduti che mi hanno colpito, altre volte da riflessioni nate da eventi che ho vissuto. Spesso mi capita di scrivere mentre sto viaggiando, in bus, treno, o passeggiando nel verde. Oppure più semplicemente a casa, di sera o di notte, o magari in un caffè.

Che supporti usi per scrivere: il telefono? I tovagliolini dei bar? I pacchetti di sigaretti come i poeti di trincea nella prima guerra mondiale? Sembrerà una questione “feticista”, ma la domanda può avere interessanti risvolti scientifici negli ambiti della filologia d’autore e della filologia materiale!

Sono grata di poter dare il mio contributo alla scienza! 😀 Scherzi a parte, di solito mi porto sempre un quaderno dietro. Se non ce l’ho, a parte soffrire molto, uso il block-notes del cellulare. Negli ultimi anni ho cercato di scrivere direttamente al computer, anche se alla fine raramente lo faccio (e visto che a volte mi dimentico di fare subito una doppia copia, forse è anche meglio così). I tovagliolini del bar credo di averli usati una sola volta, cosi come uno scontrino, pero mi sono avvalsa spesso delle pagine bianche dei libri – non in prestito, ovviamente.

Le poesie della raccolta Fino alla fine dell’illusione non hanno titoli, ma date. Le date abbracciano un arco temporale molto ampio: almeno un decennio; eppure lo stile presenta una certa coerenza. Come lo spieghi? E secondo che criterio hai ordinato i testi?

Si, devo dire che in realtà a livello stilistico ci sono anche delle differenze nella composizione dei versi (all’inizio, pur rimanendo nel verso libero, i versi erano più canonici, poi ho avuto una fase estremamente frammentata, poi sono passata a una via di mezzo tra i due estremi), però l’elemento unificatore, che garantisce la coerenza di cui parlavi, è che si tratta sempre di verso libero, utilizzato spesso in maniera da combinare gli

elementi tematici e musicali della poesia con quelli visivi – la disposizione delle parole nella pagina e nel verso. I temi sono variati con gli anni, come ho già accennato in precedenza, però senza dubbio un certo stile o maniera di fare poesia è rimasto costante nel tempo, credo sia la parte della poetica dell’autore che spesso rimane stabile. I testi sono ordinati secondo un criterio tematico, non temporale, proprio perché questa raccolta è anche, in qualche modo, una forma di narrazione in sé.

Hai viaggiato molto e padroneggi tedesco e inglese così bene da poter poetare in queste lingue. La domanda è obbligatoria: sei sicura? Cos’hanno detto i tedeschi e gli inglesi quando hanno letto i tuoi testi?

Guarda, alla prima domanda non mi voglio sbilanciare, però posso citare un aneddoto a mio favore: il primo anno che mi trovavo in Germania, da studente Erasmus, in un corso di tedesco del Goethe Institut ci hanno chiesto di scrivere in aula delle poesie o dei testi a scelta – io ho optato per la prima. L’insegnante è rimasta positivamente impressionata, e l’ha appesa poi nella bacheca dell’istituto (sfortunatamente non riesco più a trovare alcuna copia del testo).

Questo era per dire: speriamo in bene.

Gli inglesi non le hanno ancora lette – ma lo faranno presto, dato che sono appena entrata in un circolo di scrittori qui a Leicester.

Spero non soffrano troppo.

Scherzi a parte. Quale pensi sia la sensazione o il sentimento più ricorrente della tua raccolta?

Credo sia spesso presente una forma di disillusione, disincanto; forse anche malinconia o nostalgia per uno stato passato, probabilmente illusorio.

E per concludere, una domanda disinteressatissima, alla quale puoi rispondere in piena libertà. Cosa ti ha spinto a pubblicare con Prospero Editore e scegliere l’ebook come soluzione per la tua opera?

Certo. Stai tenendo il contratto il mano mentre leggi, della serie “strappo/ non strappo”? 🙂 No, scherzi a parte, mi piace l’idea con cui è nato, e soprattutto che sia gestito da giovani scrittori. Mi piace inoltre l’idea di sfruttare le tecnologie digitali, anziché vederle come un potenziale pericolo per il futuro dell’editoria. Inoltre, molte case editrici che pubblicano in carta stampata, per pubblicare poesie richiedono cifre e presentano contratti che rasentano il visionario o la truffa, mentre Prospero Editore presentava un piano di lavoro più trasparente e onesto.

http://www.prosperoeditore.com/fino-alla-fine-dell-illusione-detail.html

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