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Voci Nuove. Interviste agli autori emergenti: Antonello Piras. “Prospero Editore” n.7

antonello-piras_frontSardo ogliastrino, classe 1992. Si è diplomato al liceo linguistico e ha continuato per un po’ a studiare lingue all’Università, ma poi ci ha ripensato. Vive a Cardedu, ogni tanto viaggia, legge, lavora al bancone della reception, spiega ai tedeschi cosa sono le sebadas e coltiva la passione della scrittura per poter soddisfare il bisogno di dare forma a disturbate idee che affiorano nella sua testa mentre fa tutte quelle altre cose.
Da grande vuole fare il giornalista, in alternativa l’addestratore di dugonghi.

Cominciamo dal titolo: Anita Ekberg non è mai stata a Sassari. Quanto è stato importante il rapporto con la tua terra, la Sardegna, nel concepimento di questa storia?

Il rapporto con la mia terra è stato molto importante nel concepimento di questa storia così come lo è in tanti altri aspetti della mia vita. Come ogni sardo sono particolarmente legato alla mia terra, in modo quasi maniacale oserei dire. Amo viaggiare, ho sempre amato le grandi città e ho avuto per tutta l’adolescenza il forte desiderio di volermi trasferire in una metropoli, di andare via, scoprire posti nuovi, più caotici e mondani. Però ogni volta che mi allontano dalla Sardegna mi accorgo di sentirne la mancanza già dopo poche settimane, e quasi mi sento male al pensiero di non essere a pochi chilometri dal mio mare. Sono davvero orgoglioso della mia isola, e anche se questo non era il messaggio principale, spero davvero di essere stato capace di trasmetterlo attraverso le pagine del libro.

Domanda quasi scontata, ma te la facciamo lo stesso. È una storia basata su fatti realmente accaduti o qualsiasi riferimento è puramente casuale?

Assolutamente no, non si tratta di una storia basata su fatti realmente accaduti. Anche perché questa intervista la leggerà pure mia madre, non potrei mai dire di sì!

Scherzi a parte, ho vissuto un anno a Sassari, anno in cui mi sono capitate esperienze simili a quelle descritte nel racconto in quanto sono stato anch’io uno studente universitario. Abitavo proprio vicino a via Duca degli Abruzzi, la via con cui si apre la narrazione, ho passato qualche serata su quelle panchine, però non conosco nessun Giulio e nessun Sandro, non sono mai stato in Erasmus in Svezia, e non mi sono ispirato a nessuno in particolare nella creazione dei personaggi. Sono semplicemente partito da un ambiente a me familiare per costruire una storia completamente inventata.

La storia, o meglio “le storie”, sono narrate da quattro voci che si incrociano, quattro personaggi narranti: a quale di essi ti senti più legato? Quale è stato più difficile da delineare e perché?

Si tratta di quattro personaggi completamente diversi, mi è difficile rispondere. Credo che ognuno abbia delle caratteristiche che mi appartengono, questo romanzo è la conferma definitiva della mia schizofrenia latente! Diciamo che il personaggio che più mi sta simpatico è Sandro, quello con cui berrei volentieri un caffè e scambierei due chiacchiere. È stato invece molto difficile delineare Ulrika, quasi una sfida per me:  è forse il personaggio a me più lontano per esperienze di vita e carattere, ho cercato di essere credibile nel darle voce, ma non è stato facile immedesimarsi in lei.

Sei un autore giovane ed emergente. Come è nata la passione per la scrittura? Quando e come hai deciso di concretizzarla in una narrazione da pubblicare?

Sin da piccolo amavo inventare delle storie: passavo i pomeriggi a scrivere e disegnare dei fumetti e a costruire personaggi sempre diversi. Crescendo ho messo un po’ da parte il disegno concentrandomi di più sulla scrittura, che mi riusciva meglio e mi soddisfaceva di più. Da quando ho 16 anni ho sempre scritto brevi racconti, cancellati solitamente dopo pochi giorni di vita, spesso mai conclusi. Anita Ekberg non è mai stata a Sassari è nato proprio così, in un momento di noia passato davanti alla pagina bianca di Word. Credevo che sarebbe stato l’ennesimo inizio lasciato lì ad ammuffire, invece qualcosa andò diversamente.

C’è un autore che più di tutti ti ha ispirato?

Anche questa è una domanda abbastanza difficile. Non sono un lettore di genere, leggo tanti libri di tanti autori diversi, e credo di aver subito molteplici influenze. Dovendone citare uno credo sceglierei Niccolò Ammaniti, nonostante lui si occupi di temi ben più crudi rispetti a quelli che ho trattato io. Ho sempre adorato la sua empatia, il suo saper descrivere così bene tante personalità diverse e particolari, senza cadere mai nella caricatura. Credo infatti che proprio l’empatia sia uno dei requisiti principali del buon scrittore, solo delineando personalità credibili e descritte attraverso reazioni umane verosimili si riesce a far affezionare il lettore ai personaggi, e a fargli così apprezzare il proprio racconto.

Un’ultima domanda sul testo. Come lo definiresti, con pochi aggettivi?

Sicuramente un testo leggero, immediato e veloce. Una lettura poco impegnata, che si prefigge di intrattenere il lettore e di tenergli compagnia per qualche ora. Che poi è proprio la leggerezza il vero messaggio di questo romanzo.

Ci vuoi svelare qualcosa? Qualche ringraziamento a qualcuno in particolare?

Devo ringraziare la mia famiglia per tutto il supporto e l’incoraggiamento, sono stati loro a convincermi a pubblicare il romanzo, a leggerlo e a correggere le prime bozze. Ringrazio i miei amici più cari, quelli che mi sopportano da un bel po’ di tempo e che  hanno festeggiato con me l’uscita del libro. E naturalmente ringrazio tutto lo staff di Prospero per aver creduto in me e per avermi dato questa enorme opportunità.

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