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Un Trattatello medievale sull’amore e sugli scacchi

Cosa hanno in comune l’amore e il gioco degli scacchi? Apparentemente poco, ma un antico libro medievale (conosciuto solo da pochi appassionati e bibliofili) che lo scrivente ha avuto la fortuna di vedere e studiare, custodito nei piani inaccessibili della Biblioteca storica della prestigiosa Università di Salamanca, ci svela invece il legame che unisce quelli che, in fondo, sono entrambi giochi di astuzia e strategia nei quali nessuno (come ben sanno i giocatori e gli innamorati) vorrebbe mai perdere.

Se è vero come recita il vecchio adagio che: “In amore come in guerra ogni mezzo è lecito”, che quello degli scacchi è il gioco che più di tutti rappresenta la guerra, e se  prendiamo in considerazione anche il detto secondo il quale: “ La causa di ogni guerra è sempre una donna” allora ci appare già un po’ più chiara la relazione esistente tra le due cose. Ma per capirla meglio dobbiamo brevemente ripercorrere alcune fasi dell’evoluzione di quello che da molti è considerato il gioco dei giochi: proprio gli scacchi.

 Il passaggio dallo stile di gioco medievale, così come era stato introdotto in Europa dagli Arabi tra il IX e il X sec. d.C., a quello moderno, è avvenuto verso la fine del XV sec. e se ne trova testimonianza in alcune opere dell’epoca. Secondo alcuni storici degli scacchi, tale passaggio deve essere avvenuto a Valencia, in Spagna, intorno al 1470-80[1]  dove vide la luce il manoscritto “Schachs d’amor” con la più antica partita giocata secondo le attuali regole. Un’altra testimonianza dell’evento sarebbe il libro, scritto  in catalano, di Vicent Francesch: Llibre dels  jochs partits dels Scachs en nombre de 100 per Francesch Vincent, stampato a Valencia nel 1495, ma del quale, purtroppo, non ne rimane ad oggi nessun esemplare. Questo libro è però contemporaneo ad un’altra opera che, come quella di Vicent Francesch, contiene “juegos de partido”, ovvero problemi scacchistici. Questo risulta essere  il più importante dei tre libri in quanto trattasi della più antica opera sugli scacchi a noi pervenuta che sostituisce i vecchi movimenti medievali con quelli usati oggi. Il libro è un trattato scritto da uno studente di nome Luis de Lucena, intitolato: Repetición de amores y arte de axedrez con CL juegos de partido stampato a Salamanca, sede della più importante università spagnola del tempo, presso i librai Leonard Hutz e Lope Sanz nel 1497.

Della vita di Lucena si sa molto poco; vi sono dei dubbi persino sull’esattezza del suo nome. Ebreo convertito di nobile famiglia di origine aragonese era, all’epoca della stesura del trattato, studente poco più che ventenne presso l’Università di Salamanca in Castiglia e, si crede,  possa essere la persona alla quale Fernando de Rojas si sia ispirato per il personaggio di Calisto, protagonista della sua celebre opera “La Celestina”. Amante degli scacchi e clerico vagante, Luis de Lucena viaggia attraverso l’Italia e la Francia, probabilmente al seguito del padre notaio o per motivi di studio. Di carattere burlesco e profonda cultura classica, come traspare dal libro, volenteroso di attrarre su di sè le simpatie dei Reali, dedica il trattato di scacchi al Principe di Spagna Johan III figlio dei Re Cattolici Fernando II d’Aragona e Isabella di Castiglia.

Inusuale particolarità di quest’opera, che la rende unica nel suo genere facendone  un enigma per gli studiosi e un raro gioiello per i bibliofili, consiste nel fatto che essa sia composta rispettivamente da una dissertazione sull’amore e le donne, e da un trattato scacchistico; due parti tra loro ben distinte che, ad una prima analisi, potrebbero sembrare discordanti.  La prima parte del libro, intitolala Repetición de amores  è uno scritto di carattere letterario ed è sostanzialmente una dissertazione sull’amore e le donne, con marcati accenti antifemministi, volto ad illustrare le lusinghe delle donne e le insidie dell’amore. Nel testo, davanti ad un immaginario tribunale presieduto da Cupido, Lucena, mosso dal suo orgoglio ferito, disserta sulla contingenza dell’amore e le sue vanità, accusando Cupido stesso di essere il responsabile di gran parte delle pene umane. Non mancano in questa parte dotte citazioni di autori classici da Lucano ad Agostino, da Virgilio a Cesare e riferimenti biblici e mitologici atti a testimoniare i mali che la donna ha sempre causato agli uomini.

 Influenzato dall’ambiente goliardico universitario dei clerici vagantes, l’autore volle dare alla sua dissertazione la forma e il carattere di una parodia delle lezioni universitarie: “repeticiones”. Ai tempi di Lucena, infatti, la repetición era una lezione universitaria e costituiva una cerimonia annuale obbligatoria per tutti i candidati al titolo accademico.

 La seconda parte del libro comprende  invece il  trattato di scacchi; Arte breve e introduzione necessaria per poter giocare a scacchi, con centocinquanta problemi scacchistici (…)

La grande importanza che il trattato di Lucena riveste, sta nel fatto che questo è, come abbiamo detto, la prima opera stampata ancora esistente sul gioco moderno. Il libro appartiene alla categoria degli “incunaboli”, nome questo che deriva dal latino “In Cuna”: (nella culla) e che distingue i libri stampati tra il 1455 e il  1500, ad indicare la nascita dell’arte tipografica.

 L’autore inizia questa seconda parte a tema scacchistico dicendo che per mostrare come bisogna giocare passerà ad analizzare 150 problemi da lui osservati nei suoi viaggi a Roma e per tutta l’Italia, Francia e Spagna giocati e risolti dai migliori scacchisti di questi paesi. Successivamente inizia spiegando il movimento dei singoli pezzi e il modo in cui tra loro si catturano; ed è proprio in questa parte che risiede il maggior valore storico del trattato, in quanto è in essa documentata quell’innovazione delle regole riguardanti il movimento della dama e degli alfieri che dal XV sec. sono arrivate ai nostri giorni. Gli alfieri nel vecchio gioco non avevano autonomia per avanzare più di tre caselle in diagonale con la possibilità di superare la casella centrale al loro movimento indipendentemente da se fosse o meno occupata.[2] Anche il Firz, quella che per gli Arabi era la figura del consigliere e che sempre nel XV sec., diventa la regina, cambia il suo movimento che passa da una casella in diagonale (Il Firz bianco sulle caselle bianche e il nero sulle nere) al movimento che noi oggi conosciamo. Quest’ultimo cambiamento mutò profondamente la struttura del gioco che vide improvvisamente aumentare il potere di un unico pezzo rispetto a tutti gli altri; un pezzo, tra l’altro, che assunse marcate caratteristiche femminili divenendo, appunto, la figura della Regina, probabilmente in onore della regina Isabella di Castiglia.

 Questo modo di giocare secondo le nuove regole, viene da Lucena chiamato: “Gioco della Dama”, per sottolineare le nuove caratteristica che il pezzo acquista rispetto alle regole del vecchio gioco. Lucena scrive il suo trattato in piena crisi di trasformazione e, pertanto, i problemi scacchistici esposti nel libro sono fatti per entrambi i tipi di gioco; cosa questa che attesta la coesistenza di entrambi i modi di giocare nella Spagna dell’epoca.

Dopo aver dato spiegazione sul modo in cui devono essere mossi i pezzi, in conseguenza delle mosse dell’avversario, fornendo una sorta di primo tentativo di teoria delle aperture, Lucena dà anche dei consigli pratici su cosa fare per avere dei vantaggi “strategici” sugli avversari, come per esempio: “Se si gioca di notte e con una sola candela, è opportuno che essa sia disposta sempre sul lato sinistro rispetto a voi in modo da non turbare troppo la vista. Se si gioca di giorno, far mettere l’avversario di fronte alla luce perché se ne potrebbe trarre grande vantaggi”[3]. Si dice anche di non bere e mangiare troppo prima di giocare in quanto la testa deve essere libera e sopratutto di bere solo acqua e non vino. Consiglia anche agli studenti di non giocare troppo e, cosa importante, di non scommettere alte somme di danaro affinchè il gioco non diventi deleterio e l’ intelletto e la memoria non ne vengano turbati. Per capire il perché l’autore dia dei consigli del genere, la cui etica sarebbe molto discutibile agli occhi di un giocatore contemporaneo abituato ai rigidi regolamenti dei tornei di oggi, si deve tener conto del contesto storico e culturale dell’epoca e del luogo in cui Lucena viveva. La vita della Salamanca alla fine del’400 ruotava intorno alla prestigiosa università che ospitava studenti provenienti da tutta la Spagna e da altre parti d’Europa, clerici vagantes, che giravano di università in università per seguire le lezioni degli illustri professori, senza però trascurare taverne e case di mal affare dove “gli scacchi e l’amore potevano giocare la loro partita davanti ad una brocca di vino”[4]. All’epoca non esistevano i moderni tornei e tra le classi meno abbienti si giocava sopratutto all’interno delle osterie o in altri luoghi malfamati e spesso si scommettevano grosse somme di danaro che potevano far sfociare frequentemente le partite in  feroci liti con tanto di armi alla mano.

Ma tornando al problema dal quale eravamo partiti, quale è la ragione che giustifica un così inusuale accostamento tra l’amore e gli scacchi; materie apparentemente inconciliabili soprattutto se si considera che l’amore appartiene  al piano della realtà, e gli scacchi, il gioco, a quello dell’invenzione? Qual è la relazione esistente, secondo Lucena, tra amore e gioco? Effettivamente tale accostamento che appare strano ad un lettore contemporaneo non doveva sembrare tale nel medioevo visto che le due dimensioni: quelle di amore e del gioco, e cioè quella del reale e quella dell’immaginario, ad un certo punto di questo periodo storico si erano tra loro, per motivi sociali, sovrapposte[5].

Il XV sec., infatti,  era stato un periodo di grandi trasformazioni sociali in cui, la classe aristocratica che nell’Alto Medioevo aveva esercitato funzioni di aiuto militare e consiglio ai governanti, cosa questa che gli aveva permesso di godere di grandi privilegi economici, entra in crisi nel Basso Medioevo quando il sapere si tecnicizza e si specializza e il loro posto di consiglieri viene occupato da uomini di cultura che si conquistano cosi un nuovo posto nella scala sociale a scapito dell’ aristocrazia. La  reazione di quest’ultima fu il rifugiarsi in una imitazione ludica dei valori eroici dei propri antenati. La nobiltà idealizzò l’immagine del proprio passato e la portò sulla scena della vita quotidiana con l’obiettivo di conservare e appropriarsi della gloria della propria stirpe. Così facendo l’aristocrazia si convertì in una classe oziosa  ispirata dalle storie e dalla letteratura cavalleresche che fornivano modelli da imitare e che trattavano principalmente di gesta militari e d’amori[6]. In seguito a questa concezione dell’ esistenza, la differenza tra mondo reale e immaginario cessa di essere percepita, e qualsiasi attività entra a far parte del piano del reale. Di conseguenza anche il gioco degli scacchi, molto diffuso tra la classe aristocratica, esce dalla dimensione di semplice gioco ed entra a far parte della dimensione della realtà. Come lo storico del medioevo J. Huizinga osserva: “La classe dominante di quest’epoca ha ispirato il suo stile di vita e la sua cultura all’ “ars amandi” amalgamando l’ideale di una cultura mondana con l’amore il quale diventa un gioco dalle nobili regole.” [7]

Dopo queste considerazioni si evince la caratteristica di fondo che accomuna le due parti dell’opera che apparentemente sembravano discordanti e cioè che, essenzialmente, entrambe le parti in cui il libro è diviso trattano della donna.

 In un contesto culturale in cui, come abbiamo visto per ragioni sociali, le analogie tra amore e gioco erano diventate più che comuni, si impone una nuovo modello di gioco in cui il pezzo più pericoloso della scacchiera assume caratteristiche femminili. Tenendo conto di questo contesto culturale risulta facile capire che effettivamente l’opera di Lucena sia invece un’opera unitaria al tempo stesso di carattere ludico, didattico e amoroso. E come le due  materie in essa trattate: quella dell’amore da una parte, e quella degli scacchi dall’altra, non sembravano all’autore tanto incongruenti come possono sembrare a noi oggi, in quanto sia l’amore che gli scacchi sono una rappresentazione della guerra. Se quindi, nel trattato scacchistico, si mostrano le arti per vincere contro l’avversario quella che è una simulazione della guerra, anche con degli insegnamenti e consigli non proprio impeccabili da un punto di vista etico, visto che, come si sa, in amore e in guerra ogni mezzo è lecito, in quello amoroso si smascherano invece le insidie, le frodi e le trappole delle donne: maestre indiscusse sulla scacchiera dell’amore.

 
Lo scritto è una revisione dell’articolo di Mauro Ruggiero: L'arte degli scacchi di Luis de Lucena: amore e guerra alle origini del gioco moderno, pubblicato su:
 “L'Italia scacchistica”, n. 1186 (lug.-ago. 2006).

photo by Jose Daniel Martinez

[1] Si veda R. Calvo e E. Meissenburg, Valencia, Geburstätte des modernen Schachs,  in Schach – Journa,l (1992), N.3 pp. 34-46.

[2] Si veda R. Calvo , La evasión en ajedrez del converso Calisto. – Ciudad Real, Perea Ediciones, 1997

[3] L.R. de Lucena, Repetición de amores y arte de ajedrez, ed. fac simile, Colección Joyas Bibliograficas, Madrid, 1954, cit., p. 72.

[4]R. Calvo, La evasión en ajedrez del converso Calisto. – Ciudad Real, Perea Ediciones, 1997,cit.,  p. 30.

[5] cfr. M.L. Gomez Ramirez, Lucena, repetición de amores e arte de axedrez: con CL juegos de partido. Iocus cupidinis en Salamanca, hacia 1497, Boston College, 2003

[6]cfr.: J.Huizinga, L’autunno del medioevo – Firenze : Sansoni, 1991.

[7] Op. Cit.

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