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Musicafé, suoni dal Mondo, n.6. Bubola: il cavaliere d’armi

bub1Bubola ce lo dice che siamo rimasti accecati, e che non sappiamo più uscire dalla fase chiusa e definita dell’incantamento maligno: come se la vita altro non fosse che una creazione della sofferenza.

Ci batte nei petti, lui da sempre il tamburino della prima linea, per ricordarci che il piombo porta alla tomba, che sono logici i ritorni matematici nel circolo della storia; che la guerra non è una speranza di dominio, né un vestito militare per ammirar medaglie, né una tromba d’assalto certissima nella gloria: ma dolore, putrefatta e misera esistenza si fosse anche tra i vincenti.

Bubola, ci congiunge e ci unisce e ci scaraventa in aria bestemmiando per la rovina di questa umanità. E oltraggia i portatori delle colonne immobili del disamore, la sua cultura classica è affine al romantico, tenta di avvelenare quelle invisibili larve che gridano per farci avere un cuore disonesto.

Ce lo dice, di alzare gli occhi perché nessuna luce è eccessiva. Di uscire da questa penombra mortale volutamente di conflitto.

E che dovremmo dirlo ai colpevoli: ci stiamo lasciando disperdere per un’abbondanza d’amore.

Bubola ha viaggiato negli uditi sottili degli indiani, nell’umido fumo della carne di Sand Creek e ha discusso con loro mentre bruciavano. Ah, i massacri uniti, e quelle frecce mute verso le stelle. Ancora ruotano in orbita come sentinelle nell’universo.

Bubola è stato in mezzo ai mali invisibili dell’anima, messi nelle nostre vite come fossero libri santissimi e inevitabili, per rispondere persino con dolcezza: portando rose o cieli messi a tappeto; o prati verissimi veramente lontani dal dolore.

E non ha mai pensato di disertare ma ha affaticato, incalzandolo con un ritmo di chitarra, il nostro tempo delle pene.

Quanti raggi, nuvole vive e chimere, sono nati dalle sue dita callose; quanti saltarelli, per le marce dei matti a piedi nudi sulla polvere; quanti echi disperati dalle montagne, che pur hanno da lontano una quietezza.

E poi quel punto interrogativo dal Supramonte, così intimo e sacro: una ninnananna lenta che ancora domina su ogni violenza.

E per noi, selvaggi occidentali, per le nostre cupe mani, la nostra vita peccatrice, Bubola ha voluto movimentare il destino, provando a mettergli davanti un telo disarmato e una musicale sentenza di pace.

E infine i suoi colloqui coniugali, profondi e indivisibili pieni della voglia di morire dentro a una felicità, con un desiderio sano e preparato alla gioia, forte e imbattibile come fosse un cavaliere d’armi, un romantico corteggiatore-

Bubola lo riconosciamo: dalle sue preghiere dolenti per gli uomini mandati al massacro, dalle sue proteste contro gli infedeli, dalle sue urla da spirito fiero, dalle sue tregue negli attimi d’amore e poi anche dalla collera per il silenzio universale.

Bubola è da sempre il nostro avvisatore, l’innamorato sincero che abbiamo.

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