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Intervista a Maria Sole Tognazzi, regista del film “Viaggio sola”.

Figlia del celebre attore e regista Ugo Tognazzi, uno dei “mostri sacri” della Commedia all’Italiana, Maria Sole, classe 1971, è una regista di grande tecnica e talento che non ha tardato a farsi apprezzare da critica e pubblico non solo in Italia. In visita a Praga in occasione del Mittel Cinema Fest organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura e dall’Ambasciata d’Italia in Repubblica Ceca, la Tognazzi ha presentato nella capitale boema il suo ultimo lavoro: Viaggio sola (2013), da lei diretto, con un cast di grandi nomi tra i quali: Margherita Buy, Stefano Accorsi e Gianmarco Tognazzi. Noi di CB l’abbiamo incontrata e le abbiamo fatto qualche domanda seduti nel meraviglioso café del vecchio Cinema Lucerna, nel corso della serata dedicata a lei e al suo film.

 Al contrario di tuo padre e dei tuoi fratelli, tu hai deciso di lavorare dietro alla telecamera. C’è un motivo particolare sul perché di questa scelta oppure hai semplicemente seguito la tua inclinazione personale?

 Diciamo che non ho fatto la scelta contraria e cioè quella di stare davanti. La scelta è stata, infatti, il non stare davanti alla telecamera perché la cosa non mi ha mai interessato. Non ho mai avuto nessun desiderio di apparire, anzi, ho vissuto quest’attenzione, questa notorietà dei miei genitori, tutto sommato anche quella dei miei fratelli che diversamente da me hanno fatto gli attori, l’ho vissuta quasi con una forma di rifiuto. Ma devo dire che questo rifiuto era per il cinema in generale. Venendo da una famiglia che si occupava di questo, la reazione contraria era quella di dire: ”non vi seguo, siete un po’ banali, no?” E quindi questa è stata la mia reazione. Fino ai miei diciotto anni non mostravo nessun tipo di interesse per il cinema, poi, dopo le scuole, e dopo la morte di mio padre, invece avevo bisogno di lavorare e non sapevo cosa fare. Mi è venuto in mente che, comunque, le uniche persone che conoscevo a diciotto anni erano queste grandi famiglie del cinema che avevano frequentato la mia casa, e quindi, dopo la morte di mio padre, in un momento di difficoltà, io mi sono rivolta a loro dicendo, come fa un ragazzo di diciotto – venti anni, che avevo bisogno e voglia di lavorare e che se c’era bisogno di fare qualcosa avrebbero potuto chiamarmi. E fui chiamata in una casa di produzione che era la Numero Uno International a fare da assistente alla regia per un’ opera prima che iniziava quell’anno. Ho iniziato a lavorare così. Poi una volta che mi sono ritrovata sul set ovviamente mi sono trovata in un mondo che, tutto sommato, mi apparteneva pur non appartenendomi direttamente. Mi sono trovata subito a mio agio, è un lavoro che ho subito capito e ho saputo subito come muovermi sul set, come comportarmi con gli attori ecc., grazie a quest’ambiente che direttamente o indirettamente avevo respirato. Ho fatto un primo film e ho continuato. Dopo quel film mi hanno richiamato per un altro e così ho continuato negli anni e ho fatto l’aiuto regista per dieci anni prima di fare la regista io stessa. Posso dire quindi di esserci arrivata casualmente, alla luce di quello che ti ho raccontato. Una scelta quindi, quella di stare dietro alla telecamera, fatta dal principio perché non mi piace stare davanti agli obbiettivi, e poi perché all’essere osservata preferisco osservare.

La protagonista di Viaggio sola è una donna libera e indipendente, molto fuori dagli schemi che la società in parte ancora impone alla donna di oggi. Da dove nasce l’ispirazione per questo lavoro?

È nata innanzitutto dal voler raccontare una donna sola, ma non per questo penalizzata come invece spesso accade in tanti film in cui le donne che non mettono su famiglia o non hanno figli vengono considerate delle donne comunque problematiche. Del resto come nella vita, ti assicuro! Se una donna non ha dei figli o una famiglia, cioè non ricopre il ruolo che la società vuole da essa, subito si sente come una persona a cui manca un pezzo, e solo perché gli altri la fanno sentire così. Oggi però ce ne sono molte di più di queste donne rispetto al passato, il mondo è pieno di donne autonome, indipendenti che badano anche a loro stesse. È cambiato molto il ruolo della donna, però nel cinema, soprattutto in Italia, mi sembrava che la donna venisse sempre raccontata come la moglie di… la fidanzata di… Poi considera che i ruoli dati alla donna nel cinema italiano sono sempre dei ruoli inferiori rispetto ai protagonisti uomini… Oggi un attore uomo, professionista di 50 anni, ha infinite possibilità di lavoro in ruoli bellissimi, mentre una donna no. Partendo da questo presupposto mi faceva piacere raccontare una donna, non giovanissima, che ha una vita che ama, che apprezza, anche se a volte ha dei momenti di sconforto, e che è serena per decisione che ha preso e della vita che sta facendo. L’idea del film è nata da questo, quasi da un riscatto che volevo dare alla figura femminile nel cinema. Di pari passo è nata l’idea dell’ispettore in incognito che è il lavoro che fa Margherita Buy in Viaggio sola, e che è un lavoro che non conosce nessuno, perché è appunto un lavoro che si fa in segreto e che mi sembrava estremamente cinematografico. Questi finiti clienti che vanno negli alberghi di lusso per tre giorni facendo finta di essere dei signori ricchissimi, e invece stanno lì a controllare le lampadine e i peli che stanno sotto al letto… Mi sembrava una cosa divertente e quindi ho unito le due cose. Viaggio sola è un titolo emblematico del viaggio, della libertà, della scelta di vita della protagonista… Poi io, da parte di madre, vengo da una famiglia di alberghieri e quindi sono cresciuta negli alberghi. La famiglia di mia madre, i Bettoja, hanno degli alberghi storici dall’800 a Roma. Da piccola sono stata molto in questi alberghi, tanto che sono anch’essi parte della mia vita, del mio mondo, e mi sembrava bello raccontarlo in un film.

Il tuo film parla di felicità e di libertà dal punto di vista di una donna, cosa vogliono dire queste due cose per una donna oggi, e cosa in particolare per te?

 La libertà di scelta credo sia il lusso più grande che una persona possa concedersi. La felicità va di pari passo con la libertà perché nel momento in cui siamo liberi di scegliere, di prendere una decisone che riguarda la nostra vita, secondo me siamo più felici; quando si può, naturalmente. Ci sono dei casi, dei paesi in cui questa libertà di decidere non c’è, ma nei posti e nei luoghi dove abbiamo la fortuna di poter scegliere cosa fare di noi stessi è importante seguire la propria indole, il proprio istinto, fregandosene di quello che la società e la gente si aspetta da te. E quindi la via della felicità è indubbiamente legata alla possibilità di scelta.

Per la tua carriera di artista il tuo cognome è stato più un aiuto o più un peso? Hai mai provato, ad esempio, a usare uno pseudonimo per un tuo lavoro?

 Guarda, l’ho già vissuta questa cosa dello pseudonimo, però fa più ridere che altro. A quattro anni ho partecipato allo Zecchino d’Oro sotto falso nome e devo dire che è stata un’esperienza un po’ deludente. Cantavo una canzone (show nella foresta. Ndr.) che arrivò ultima, con il nome di Maria Soli, quindi è un’esperienza che ho già fatto. Onestamente dico che per me non è mai stato un peso il mio cognome, anzi, è stato un grande aiuto, soprattutto all’inizio, come ti dicevo, mi ha permesso di chiedere aiuto a queste persone che conoscevo per poter iniziare a lavorare. L’ho fatto perché venivo da questa famiglia, se avessi avuto un papà commercialista avrei chiesto aiuto a uno studio di commercialisti o a un ristoratore se venivo da ristoratori… Il fatto di venire da una famiglia del cinema mi ha spinto a cercare lavoro prima di tutto nel cinema. Quel tentativo è andato bene, se non fosse stato così avrei cambiato strada, avrei, per esempio, lavorato forse negli alberghi, che era comunque un settore che mi piaceva tanto. Il lavorare nel cinema mi ha permesso di diventare regista e non è stato certo un peso, anzi, è stato un grande privilegio e lo è tuttora. Giro il mondo con i miei film e il ricordo che c’è ancora di mio padre è affettuoso, ancora molto presente, e per me questo è un grande privilegio. È inutile dire che quando sei regista e fai un film, poi devi anche dimostrare di saper fare qualcosa, altrimenti puoi chiamarti come ti pare, ma un film non te lo faranno fare più.Ho sempre faticato molto per fare i miei film, ho sempre impiegato 3 o 4 anni per trovare i finanziamenti, le produzioni… quindi vivo serenamente il mio lavoro e il mio cognome perché mi sembra che sia tutto naturale, anche il pensiero da parte degli altri che possa essere stato invece un vantaggio. Mi va benissimo.

 Che tipo di rapporto hai avuto con tuo padre?

Io ero molto piccola quando lui è morto, quindi non ho questi grandi ricordi. L’ho conosciuto poco. Era un uomo sempre poco presente in casa perché ha lavorato molto. Prima si facevano trenta film all’anno, non era  come adesso, quindi partiva e non c’era mai. Quando è morto avevo diciotto anni, quindi posso dirti poco. Era un uomo che mi piaceva per la sua forte personalità, per la sua umiltà, per essersi fatto da solo… Ci sono tante cose che apprezzo di mio padre, soprattutto adesso che sono una donna, guardandomi indietro e avendo avuto modo di conoscerlo attraverso i suoi film, le sue interviste… Ho fatto un documentario su di lui tre anni fa che si chiamava Ritratto di mio padre, dove ho parlato con tanti registi che hanno lavorato con lui: con Bertolucci, con Scola, Monicelli… È come se avessi fatto uno studio approfondito, mi sono cioè organizzata per conoscerlo meglio. Da adulta, adesso che non c’è più, sicuramente le cose che me lo hanno fatto amare di più sono le cose che hanno fatto innamorare il pubblico di lui: questa spontaneità, questo amare il rischio, questo non accettare mai al cinema dei ruoli scontati, questo essere così vero, così vivo, amante del cibo, della vita, delle donne…

Uno dei tanti personaggi interpretati da tuo padre è stato il Conte Mascetti, nel film Amici miei. Quanto questo personaggio rispecchiava la sua personalità?

Credo molto. Al di là dell’ottima interpretazione, come succedeva con gli attori di quella generazione, quando un regista proponeva un ruolo a un attore come Ugo (Tognazzi ndr.), come Mastroianni, come Gassman non si presentava un ruolo e poi l’attore arrivava lì a recitare le battute. Si costruiva un personaggio insieme e quindi diventava quasi un’unione tra quello che avevano in mente gli sceneggiatori e il regista, e quello che l’attore parlando con te ti dava. Erano sempre delle unioni frutto di questi incontri molto speciali tra attori molto speciali e registi molto speciali. Credo che il Conte Mascetti sia questo: il frutto dell’invenzione di Pietro Germi, di Monicelli e di Ugo; un insieme di più componenti. C’era molto anche di lui.

Quali sono i film di quest’anno che hanno maggiormente suscitato il tuo interesse, e quali registi segui con attenzione? 

Parliamo di cinema italiano. Alcuni film sono presenti anche a questa manifestazione. Mi è piaciuto molto Viva la libertà, il film di Andò, ho amato moltissimo Bertolucci: Io e Te, ho amato – chiaramente – Sorrentino, ho amato il film di Valeria Golino: Miele, ho amato molto il film di Valeria Bruni Tedeschi (Un castello in Italia. Ndr.) che è da poco uscito in Italia. Questi in modo particolare. Poi ci sono dei film di cui invece si è parlato meno, forse perché sono andati meno bene. Poi noi siamo sempre schiavi del successo di un film; se un film va bene allora ci si muove tutta una cosa intorno, se invece no, può essere anche un film valido ma a un certo punto viene dimenticato. Allora mi fa piacere citarti due film che ho amato tanto: uno si chiama Padroni di casa, di Gabriellini, con Elio Germano e Valerio Mastrandrea, secondo me un film bellissimo che non essendo andato bene è come se non fosse mai stato fatto… Un altro film che ho amato molto è quello di Stefano Mordini: Acciaio, che differisce molto dal libro, ed è proprio per questo che mi è piaciuto. Mordini è regista, secondo me, bravissimo.

Come lavori con gli attori, quanta libertà gli lasci?

 Lascio loro molta libertà, ma a patto che nessuno invada il campo dell’altro. Mi piace lasciarmi dare delle indicazioni, però se dovesse arrivare un attore –non mi è mai capitato- che dovesse mettere completamente in dubbio un personaggio o quello che succede, cosa che può anche accadere, onestamente mi infastidirebbe. Mi piace collaborare, ma non lasciarmi imporre qualcosa. Lascio molta libertà, allo stesso però è giusto che i ruoli vengano rispettati.

Progetti futuri, sogni nel cassetto?

Sogni nel cassetto preferisco non averne. Questi cassetti mi rimangono sempre “incriccati”, poi fatico ad aprirli, pertanto non ne voglio sogni nel cassetto. Vivo “day by day”, senza sognare. Quando poi una cosa si realizza, allora quella diventa il sogno che si è realizzato. Questo film, Viaggio sola, è stato un po’ il sogno che si è realizzato senza però averlo sognato prima. Per quanto riguarda i progetti futuri sto scrivendo un nuovo film, sempre con Francesca Marciano e Ivan Cotroneo con cui ho scritto anche Viaggio Sola, ma è un po’ prematuro parlarne perché siamo ancora in fase creativa, però sono a lavoro e spero di rimettermi presto sul set.

Praga?

Incredibilmente bella e affascinante.

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