Influenza e vestigia delle scienze esoteriche egizie a Napoli.
Mauro Ruggiero
Il seguente testo è la sintesi di una conferenza tenuta da Mauro Ruggiero il giorno 28 gennaio 2015, presso l’Istituto italiano di Cultura del Cairo, Egitto.
“Un giorno gli dèi che esercitano il loro dominio sulla terra, saranno restaurati e installati in una città all’estremo confine dell’Egitto, una città che sarà fondata in direzione del sole che tramonta e nella quale accorrerà, per mare e per terra, l’intera razza dei mortali”.
(Asclepius, testo del Corpus Hermeticum)
Poche altre culture, antiche e moderne, hanno esercitato così tanta influenza sull’Occidente come quella dell’Antico Egitto, con il suo patrimonio immenso di suggestioni, credenze religiose, arte, conoscenze scientifiche e, non ultimo, dottrine esoteriche.
A riscontro di quanto la cultura egizia abbia permeato quella occidentale e a dimostrazione che tale influenza vada ben oltre la moda di un’epoca, basti pensare a quanto già il mondo della Grecia Antica e di Roma subirono il fascino della “Terra Nera”, terra di sapienti e di scienza; a come il mito di Iside e Osiride sia stato importante per la nascita delle religioni successive; al velo di mistero che circonda ancora i segreti delle piramidi e la lingua degli scribi ecc.
Ancora oggi la cultura moderna attinge a piene mani dall’immaginario dell’Antico Egitto per quanto riguarda la musica, l’arte, l’architettura, la letteratura, il cinema ecc. riproponendo in chiave nuova le suggestioni e le ricchezze di una cultura complessa, raffinatissima e millenaria.
Per quanto riguarda nello specifico l’influenza che le scienze esoteriche egizie e gli insegnamenti veicolati da queste hanno esercitato sulla cultura occidentale, basti invece pensare alla tradizione ermetica in Europa nei secoli XVI e XVII; alla Massoneria del XVIII secolo, passando per le moderne correnti occultista e tradizionalista del XIX e della prima parte del XX secolo, fino ai più recenti fenomeni della cultura New Age contemporanea. Bisogna però fare una precisazione importante. Quando si parla di “scienze esoteriche egizie”, non si fa riferimento a un patrimonio di conoscenza arrivato immutato fino a noi dalla terra delle piramidi e risalente, quindi, al periodo della tarda antichità, ma di un sapere incentrato sulla spiritualità della tradizione egizia così come storicamente è stata recepita e fatta propria dalla cultura egizio-alessandrina che si fece interprete di questa antica conoscenza.
Il sapere egizio, inoltre, venne considerato fin dall’antichità un patrimonio da divulgare soltanto agli iniziati e di dominio, quindi, dell’esoterismo. In questo intervento ci occuperemo di mostrare come quell’immenso patrimonio di dottrine e scienze egizie (o presunte tali), che per la loro importanza e per il loro supposto potere venivano considerate, “esoteriche”, abbiano esercitato particolare influenza sull’esoterismo italiano dall’antichità ad oggi e, in particolare, su una città la cui complessità sociale e culturale, nonché la sua ricca storia, la rendono unica non solo in Italia, ma in tutto il mondo: Napoli.
La vecchia capitale del Regno delle Due Sicilie, antica colonia greca dell’VIII-VII secolo a.C., era un tempo denominata “Partenope”, e rifondata successivamente, dopo la distruzione del primo insediamento, prese il nome di “Neapolis” (città nuova) nel VI secolo a.C.[1] Grazie alla sua posizione geografica e ai legami con la madrepatria, Neapolis divenne presto uno dei centri portuali più importanti e strategici del Mediterraneo. I traffici commerciali resero la città fiorente e, di conseguenza, meta di genti di razze e paesi diversi. Napoli, infatti, è una città modellatasi nel corso dei millenni sui sedimenti stratificati delle diverse culture e dei popoli che l’hanno dominata e abitata portando con sé le proprie religioni, usi e costumi. Crocevia di svariate culture, si attesta a Napoli, nel corso della sua storia, anche la presenza di varie tradizioni iniziatiche, cenacoli culturali e associazioni segrete. Non è un caso, dunque, che secondo alcuni studiosi la prima loggia massonica sul territorio italiano sia nata proprio in questa città, e non a Firenze come molti sostengono.
Dai culti egizi alle scuole pitagoriche, passando per la tradizione ermetica e alchemica e l’influenza delle culture araba ed ebraica, nelle vene di pietra di questa città scorrono rivoli di sapienza millenaria e arcana che nel corso dei secoli ha favorito il proliferare di scuole e accademie, e ha dato accoglienza a saggi, scienziati, letterati, filosofi ed esoteristi del calibro di Federico II di Svevia, Tommaso Campanella, Arnaldo da Villanova, Raimondo Lullo, Giordano Bruno, Raimondo Di Sangro, Giuliano Kremmerz e molti altri maestri di sapienza noti e ignoti.
Se Torino ha la fama di essere la capitale magica d’Italia; Napoli, con le sue correnti secolari di movimenti esoterici che vanno dai Rosa+Croce ai Riti Egizi, dalla Carboneria alla Massoneria alle fratellanze ermetiche che hanno trovato terreno fertile in questa città, non è certamente meno magica e misteriosa del capoluogo piemontese.
Le prime tracce del contatto tra Napoli e l’Egitto risalgono praticamente al tempo della sua fondazione. Secondo Ruggero di Castiglione[2] a Napoli fin dall’antichità proliferarono associazioni che praticavano riti orfico-dionisiaci e isiaci. Secondo l’autore il culto di Iside arrivò in città grazie ai traffici commerciali che videro mercanti medio-orientali approdare nei porti italici per il commercio di beni. Molti di questi mercanti erano stanziati nella vicina Puteoli (Pozzuoli) e furono gli artefici della rapida diffusione del culto isiaco sul territorio partenopeo e campano in generale. A Pompei sono ancora oggi presenti segni tangibili della diffusione del culto della dea lunare Iside (non a caso in questa città si trova il Santuario cristiano della “Madonna di Pompei”) e a Napoli restano ancora un’iscrizione votiva dedicata alla dea (II secolo a.C.), una statua e il ricordo di un tempietto costruito dai devoti di Iside nella “Regio Nilensis”. [3] Nella città esiste ancora oggi, inoltre, un luogo chiamato “Piazzetta Nilo”, denominato anche “Largo Corpo di Napoli”.[4]
Dal porto di Pozzuoli si diffuse in tutta l’area campana anche il culto di Serapide (La versione grecizzata di Osiride) il cui centro di emanazione principale fu il tempio, eretto nel II secolo d.C., dedicato a questa divinità maschile. Quasi certamente i primi a praticare i culti egizi in Italia furono gli immigrati stranieri, in maggioranza schiavi e liberti. Molto presto, però, i culti di Iside e di Serapide si diffusero anche tra gli abitanti del luogo, genti di diverse etnie e classi sociali e dall’Italia il culto si propagò successivamente anche in altre parti dell’Impero Romano.[5] Nella zona di Piazzetta Nilo, ubicata nel centro storico di Napoli (sul Decumano inferiore tra Piazza San Domenico Maggiore e Largo Corpo di Napoli), si stabilì fin dalla prima età imperiale una comunità di mercanti e marinai egiziani provenienti da Alessandria d’Egitto. Tale comunità – le cui colonie venivano chiamate dai napoletani “nilesi” – prese dimora nell’area della città greca, appunto la “Regio Nilensis” e aveva un proprio “cardo” chiamato “Vicus Alexandrinus” (l’attuale Via Nilo).[6]
Quasi certamente esisteva in questo luogo anche un tempio dedicato alla Dea Iside. Ancora oggi il largo, che si apre a Oriente di Piazza San Domenico Maggiore, conserva il nome di questo fiume, vera e propria divinità per gli egizi, dal quale dipendeva la vita stessa del popolo. La divinità fluviale è rappresentata da una statua in marmo bianco (nota come “il Corpo di Napoli”) eretta dalla comunità alessandrina che viveva a Napoli nel periodo romano tra il II e il III secolo d.C. Dopo vari secoli di oblio la scultura marmorea fu ritrovata acefala in epoca medievale a seguito della demolizione della vecchia sede del Seggio del Nilo. A causa dell’assenza della testa fu interpretata erroneamente come la statua di un personaggio femminile, anche per la presenza di alcuni bambini (i putti) che sembrano allattarsi al seno materno. L’opera, secondo le cronache antiche, stava a simboleggiare la città madre che allatta i propri figli; da qui nacque il nome Cuorpo ‘e Napule (Corpo di Napoli), che si estese al Largo dove è tuttora ubicata. Nel XVII secolo alla statua venne aggiunta dallo scultore Bartolomeo Mori una testa barbuta maschile. Questi sostituì il braccio destro e vi apportò una cornucopia, la testa di un coccodrillo presso i piedi, la testa di una sfinge posta sotto il braccio sinistro e i putti. La scultura raffigura il Dio Nilo come un vecchio barbuto e seminudo disteso sulle onde del fiume, con i piedi posti vicino alla testa (non più visibile) del coccodrillo, simbolo dell’Egitto, e che si appoggia col braccio sinistro sulla sfinge, mantenendo con la mano destra la cornucopia. Al petto cerca di arrampicarsi un putto, probabilmente raffigurante un affluente del fiume. Il basamento su cui oggi è posizionata la statua risale, invece, al XVIII secolo, quando durante il regno di Carlo di Borbone fu nuovamente restaurata.
A proposito del culto di Iside a Napoli, Marcello Vicchio ritiene che: “La presenza di un tempio dedicato a Iside, segnala la presenza di una schiera di fedeli piuttosto consistente che là si riuniva e, probabilmente, anche una tradizione alchemica ed ermetica che in quella cerchia si perpetuava”.[7] I misteri legati alla dea Iside, associata alla luna, erano dunque, molto probabilmente, praticati dalla comunità di alessandrini presente a Napoli in epoca romana. Sposa e sorella di Osiride, Iside, come è noto, è la dea egizia più conosciuta e venerata ed ebbe particolare influenza sui culti ellenistici. Era considerata una divinità legata alla magia e al regno dell’oltretomba, ma anche la dea della natura feconda, sposa fedele, madre sollecita e benefattrice dell’Egitto. Il culto isiaco ha lasciato un segno tangibile nella cultura napoletana. Lo si può riconoscere, ad esempio, nel ferro di cavallo che spesso accompagna il corno nei riti scaramantici tipici del folclore napoletano. Questo ferro di cavallo sarebbe – secondo alcuni studiosi- nient’altro che l’icona delle corna talvolta presenti in alcune rappresentazioni della dea che, -oltre alla sua raffigurazione classica di donna vestita con una lunga tunica che reca sul capo il simbolo del trono e tiene in mano l’ankh (chiave della vita o croce ansata)- viene a volte raffigurata in associazione con Hathor (divinità antichissima della mitologia egizia, collegata all’archetipo delle Grandi Madri protostoriche), con le corna bovine, tra le quali è racchiuso il sole. Le corna sarebbero anche l’immagine arcaica che indica il ventre materno il quale, insieme alla mezza luna, sono i simboli di fertilità della donna.[8]
Ma uno dei segni più tangibili dell’influenza che i culti isiaci hanno esercitato nella cultura del Sud Italia, soprattutto nella zona di Napoli, è da ricercarsi nella religione e, in modo particolare, in quelle pratiche devozionali, spesso non ben viste dalla stessa Chiesa, che racchiudono molto di esoterico come, ad esempio, le processioni mariane. Nell’antichità venivano celebrate nel corso dell’anno varie festività in onore di Iside. Tra queste ve ne era una particolarmente importante: il “Navigium Isidis”, “La nave di Iside” che si teneva nella prima luna piena dopo l’equinozio di primavera (secondo altri il 5 di marzo) e consisteva in un corteo in maschera in cui un’imbarcazione (un piccolo modello di legno) veniva caricata di omaggi floreali e altre offerte. La festa venerava la dea come la protettrice dei naviganti e segnava la riapertura della navigazione posta sotto la sua tutela. I fedeli in processione portavano la statua sulla spiaggia e mettevano in mare la “nave di Iside”. La festa era già celebrata nell’Egitto dei Tolomei (III sec. a.C.), ed ebbe una grande diffusione durante l’epoca imperiale in tutto l’Impero Romano. Apuleio nelle Metamorfosi, testo più noto con il nome di Asino d’oro (Libro undicesimo, IX-XVII), dà una descrizione di questa processione:
“…la vera e propria processione in onore della dea protettrice cominciò a muoversi. Donne bellissime nelle loro bianche vesti, festosamente agghindate, adorne di ghirlande primaverili spargevano lungo la strada per la quale passavail corteo, i piccoli fiori che recavano in grembo (…) Seguivano uomini e donne in gran numero che con lucerne, fiaccole, ceri e ogni altra cosa che potesse far luce, invocavano il favore della madre dei cieli. Seguiva una soave musica di zampogne e di flauti dalle dolcissime modulazioni e, dietro, una lieta schiera di baldi giovani, tutti vestiti di bianco, che cantavano in coro un bellissimo inno (…) Subito dopo apparvero le immagini degli dei che procedevano sorrette da piedi umani (…) Giungemmo alla riva del mare (…) Qui, allineate secondo il rito le immagini sacre, il sommo sacerdote s’avvicinò con una fiaccola accesa, un uovo e dello zolfo a una nave costruita a regola d’arte e ornata tutt’intorno di stupende pitture egizie e, pronunziando con le sue caste labbra solenni preghiere, con fervido zelo la purificò e la consacrò offrendola alla dea. La candida vela di questa nave fortunata recava a lettere d’oro il voto augurale di una felice navigazione per i traffici che si riaprivano (…) Allora sia gli iniziati che i profani, tutti indistintamente, fecero quasi a gara a recare canestri colmi d’aromi e d’altre offerte e libarono sui flutti con un intruglio a base di latte, finché la nave, colma di doni e d’altre offerte votive, libera dagli ormeggi, non prese il largo sospinta da un vento blando e propizio”.[9]
Questo rituale pubblico faceva riferimento a quello analogo che si svolgeva nei pressi di Alessandria d’Egitto, sull’isola di Faros, dove la dea Iside era venerata come “Pelagia” (marina) e prendeva il titolo di “Faria”.[10] Ancora oggi a Pollica, in Campania, nel Parco Nazionale del Cilento, in occasione della festività della Madonna delle Grazie, che si celebra il 2 luglio, si svolge una particolare processione che rimane immutata da secoli. In onore della Madonna sfilano le portatrici di “cente”. Le cente sono delle barche in miniatura adornate di fiori e candele. Queste vengono portate in testa da donne (spesso scalze) che intonano canti devozionali. Oltre alla forma della barca come contenitore votivo, nella processione – che si svolge anche in altri paesi- ricorrono anche la forma del cesto, del castello e dell’uovo; tutti simboli isiaci successivamente assimilati dal cattolicesimo. Le candele vengono disposte come gli alberi dell’imbarcazione, allacciate con nastri e addobbate con fiori di carta[11]. In una frazione del comune di Pollica, la nota località turistica Acciaroli, a pochi chilometri da dove si svolge la processione delle “cente”; ogni anno, la seconda domenica di agosto, in occasione della festa dell’Assunzione di Maria Vergine, si svolge una altrettanto particolare processione in onore della Madonna. La statua della Vergine viene caricata su un peschereccio e portata in processione per un tratto di mare seguita da altri pescherecci carichi di fedeli recanti in mano dei ceri. Inoltre, sul porto di Acciaroli, si trova una grande statua di “Stella Maris” la Madonna protettrice dei pescatori e dei naviganti.
Ma torniamo a Napoli città.
Sempre rimanendo in ambito di pratiche devozionali, ci sono alcune similitudini importanti tra il culto dei morti della tradizione egizia e quello della tradizione napoletana. Sia nelle tombe egizie, sia in quelle napoletane si usava mettere oggetti che potessero “essere utili” all’anima nella vita ultraterrena. Inoltre, cosa più interessante, nel Rione Sanità, che si trova nel centro di Napoli, vi è un cimitero molto caro ai napoletani: il “Cimitero delle Fontanelle” una antica necropoli pagana dove veniva attuato un sistema di inumazione che ricorda quello della mummificazione. Fino al 1700 le inumazioni erano fatte in nicchie a forma di sedia con sotto un vaso (le «cantarelle») su cui il cadavere veniva deposto seduto, in posizione faraonica, allo scopo di farlo essiccare per colatura (“scolatura”) dei liquidi corporei nel vaso sottostante.Sarà forse un caso, ma a Napoli esistono oggi ben due chiese dedicate a una santa molto particolare: Santa Maria Egiziaca, una monaca ed eremita egiziana nata ad Alessandria d’Egitto nel 344, la cui storia è particolarmente ricca di elementi simbolici, e che oggi viene venerata come santa dalla Chiesa cattolica, da quella ortodossa e da quella copta. Una di queste è la chiesa di Santa Maria Egiziaca a Forcella (o chiesa di Santa Maria Egiziaca all’Olmo), chiesa monumentale e gioiello del barocco napoletano, situata a ridosso del quartiere popolare. L’altra invece si erge sulla collina di Pizzofalcone da cui prende il nome (chiesa di Santa Maria Egiziaca a Pizzofalcone) ed è una delle chiese basilicali della città.
Per quanto riguarda in modo più specifico le scienze esoteriche egizie, secondo alcuni studiosi la comunità di egiziani presente a Napoli fin dall’età imperiale portò all’integrazione e alla fusione dei misteri egizi con la spiritualità di un centro di sapienza italica preesistente risalente a Pitagora, portando alla formazione di un ordine esoterico depositario di una tradizione iniziatica egizio-italica. Tale tradizione si sarebbe tramandata grazie all’opera di circoli iniziatici segreti dall’epoca romana attraverso il medioevo e l’età rinascimentale, fino ai giorni nostri, manifestandosi periodicamente in alcune forme esteriori attraverso organizzazioni di adepti come i Rosa+Croce e altre che manifestavano chiari riferimenti alla tradizione e alla simbologia egizia nei propri rituali e miti di origine. Pur non potendo provare storicamente la veridicità di queste teorie, non si può però escludere a priori che qualcosa di vero possa esserci.
Secondo lo scrittore e regista Mariano Iodice, a Napoli ci sarebbe un vero e proprio triangolo magico ai cui vertici sono ubicati tre importanti siti: Piazzetta Nilo, di cui abbiamo detto sopra, la Basilica di San Domenico e Palazzo di Sangro. I tre edifici, oltre ad essere collegati da corridoi sotterranei, farebbero parte di un triangolo esoterico collegato da un particolare centro di forze. In effetti i tre siti qualcosa in comune ce l’hanno di sicuro: rimandano tutti in un certo modo all’Egitto.
Dei legami tra Piazzetta Nilo e la terra dei faraoni già si è detto. Nel Convento di San Domenico, invece, il domenicano Giordano Bruno (1548-1600) studiò dal 1562 al 1565 e quivi prese i voti. Bruno, come è noto, fu condannato a morte per eresia dalla Chiesa perché, tra le altre cose, sosteneva che la religione cristiana fosse diretta emanazione di quella egizia; mentre Il Palazzo di Sangro (nei pressi del quale si trova la Cappella Sansevero, in cui è custodita la misteriosa statua del Cristo Velato) apparteneva invece a Raimondo di Sangro, VII Principe di Sansevero (1710-1771), alchimista, massone e studioso – guarda caso- di esoterismo egiziano. Inoltre, a Napoli, tra il 1773 e il 1776 prese dimora anche Giuseppe Balsamo (1743-1795), “Conte di Cagliostro”, le cui teorie e pratiche iniziatiche si ispiravano tutte all’Egitto. Cagliostro fu il creatore in Francia di una “Massoneria di Rito Egizio” dopo essere stato discepolo di un “Filosofo Napoletano”, con molta probabilità il cavaliere Luigi d’Aquino, illustre massone, membro della Loggia della Perfetta Unione e discepolo prediletto del principe di Sangro. Si può affermare, quindi, che la Massoneria di Rito Egizio del Gran Cofto, che a Napoli si faceva chiamare: “Marchese Pellegrini” (e che si riteneva detentore del “segreto delle piramidi”), traeva le proprie origini dalla città di Napoli e da un gruppo di iniziati che vivevano nel capoluogo campano dove, secondo alcuni, esisteva già da secoli un centro iniziatico di origine egizia risalente agli alessandrini adoratori della dea Iside. La capitale del Regno delle due Sicilie sarebbe quindi la culla della tradizione esoterica occidentale derivante dall’Egitto, e di quella parte della Massoneria che si rifà ad essa. Questo centro iniziatico egizio, depositario di una conoscenza occulta, legherebbe insieme figure di grandi esoteristi quali Giordano Bruno, il principe Raimondo di Sangro, il Conte di Cagliostro[12] e altri.
Tra le associazioni iniziatiche napoletane vanno ricordate il Rito di Misraïm e l’Ordine Osirideo Egizio, con la sua emanazione esterna più recente: la Fratellanza Magico Terapeutica di Miriam, scuola filosofico-ermetica classica italica, fondata da Giuliano Kremmerz, al secolo Ciro Formisano (1861-1930). Kremmerz, il quale definisce Napoli un “secondo Egitto”[13], narra dell’arrivo delle dottrine segrete egiziane in Campania attraverso la storia di Mamor Rosar Amru, ultimo dei Pontefici di Iside, che giunse a Pompei per rifondare sulla costa campana i riti isiaci[14].
Ma procediamo con ordine.
I legami tra il filosofo nolano Giordano Bruno, martire del libero pensiero, e la sapienza egizia sono molto profondi[15]. Giordano Bruno sosteneva che la religione magica egiziana fosse l’unica vera religione e la più antica del mondo, e che la causa della sua corruzione e declino sarebbe da attribuire al Cristianesimo e al Giudaismo. Secondo il nolano, perché si placassero le controversie religiose in Europa, bisognava ritornare all’ermetismo magico della tradizione egiziana che egli considerava la religione dell’Intelletto e della mente conseguita superando il culto del sole visibile. Molte delle sue opere sono ricche di riferimenti a questa religione magica e, in esse, si attacca il Cristianesimo, causa della sua soppressione.[16] Nello Spaccio della bestia trionfante (1584), ad esempio, Bruno glorifica la religione magica degli egizi in quanto, tale fede, era per il filosofo, il culto di Dio nelle cose, migliore di qualsiasi altra religione perché più tollerante e ragionevole. In questa opera Bruno aspira ad una riforma morale e religiosa della società. Il filosofo napoletano, influenzato dalla lettura del Corpus Hermeticum,[17]aderì in pieno all’egizianismo ermetico che altro non era se non l’egizianismo interpretato dai neoplatonici della tarda antichità e profetizzò un ritorno alla tradizione egiziana, l’unica capace di offrire una soluzione alla controversie religiose, consistente in una riforma morale e nella costruzione di un’etica di utilità sociale. Anche nelle sue opere: De gli eroici furori e Spaccio della bestia trionfante è presente la religione egiziana come l’unica, secondo il filosofo, capace di contemplare il divino in tutte le cose.
Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, è stato un letterato, scienziato, uomo d’armi e primo Gran Maestro della Massoneria napoletana, tra i personaggi più interessanti dell’Illuminismo partenopeo. Di Sangro si dedicò nei laboratori del suo palazzo a opere di alchimia operativa e a sperimentazioni scientifiche e artistiche di ogni tipo con risultati strabilianti per l’epoca che gli diedero presto la fama di uomo di genio. La sua concezione della conoscenza fu prevalentemente esoterica e molti dei suoi segreti ancora avvolti nel mistero. Una prova per tutte del suo genio e della sua cultura è la Cappella di Sansevero, meraviglia artistica assoluta, con la sua complessa simbologia esoterica. Raimondo di Sangro è stato un epigono della tradizione alchemica e, secondo molti, un “grande iniziato”. Così è scritto sulla sua lapide: “Uomo straordinario predisposto a tutte le cose che osava intraprendere […] celebre indagatore dei più reconditi misteri della Natura”.[18] Il nome di Raimondo di Sangro è inoltre legato indissolubilmente alla nascita e allo sviluppo della Massoneria napoletana, anch’essa connessa con una presunta antica sapienza degli antichi egizi. Questo legame tra Massoneria ed Egitto, pur non essendo provabile storicamente, appare in realtà molto forte e caratterizza l’Istituzione massonica (o almeno una parte importante di essa) fin dalle sue origini speculative agli inizi del XVIII secolo.
Data convenzionale della nascita della Massoneria napoletana è il 1728, anno di fondazione della Loggia La Perfetta Unione così come si evince da un sigillo (ritrovato nel 1930) di forma rotonda che reca nel centro una piramide egizia e una sfinge, insieme ad altri elementi e una scritta[19]. Su questo sigillo c’è il primo richiamo all’Egitto –per quanto riguarda la massoneria napoletana- come fonte di sapere iniziatico. Il sigillo appartenne per un certo periodo al di Sangro che divenne, con molta probabilità, Maestro Venerabile della Loggia napoletana Perfetta Unione nel 1744.[20] Legata alla figura del di Sangro, c’è quella del cavalier Luigi D’Aquino che, come abbiamo detto, fu con molta probabilità maestro e ispiratore di Giuseppe Balsamo “Conte di Cagliostro”. A riprova del legame “egizio” che unisce D’Aquino e Cagliostro sta il fatto che negli anni ’60 del Settecento, (secondo alcuni) il cavalier D’Aquino introdusse nel Corpus dottrinario della Loggia dei Di Sangro un’operatività segreta che si riteneva derivasse dall’antica sapienza sacerdotale egizia e caldea, e che apprese a Malta, dove fu iniziato in seno a qualche associazione esoterica. È possibile, però, che tale ritualità e simboli egizi fossero già da molto tempo presenti in alcune logge napoletane.[21] Probabilmente Cagliostro prese i suoi rituali egizi proprio dalla Loggia dei Di Sangro al fine di creare la sua Massoneria di Rito Egizio (Misraïm)[22] dopo essere stato iniziato a tali segreti dal D’Aquino a Napoli intorno al 1776. Tra il 1810 e il 1813, i fratelli Bédarride, furono iniziati a Napoli dall’Ordine di Misraïm e, in seguito, trapiantarono tale rito in Francia, ufficializzandolo a Parigi nel 1814. Pur non potendo provare con certezza storica la filiazione diretta tra Cagliostro e le logge egizie Misraïm presenti nell’Italia meridionale, è tuttavia probabile che una connessione diretta vi sia stata. Secondo Marcello Vicchio il Rito Egizio era composto da 90 gradi, più quattro ultimi che ricevettero il nome di Arcana Arcanorum o Scala di Napoli. Questi gradi, altamente iniziatici, trarrebbero origine da una conoscenza segreta di origine egiziana[23] e sarebbero, stando a quanto diceva Cagliostro, la chiave per la costruzione di un “corpo di gloria” che permetterebbe, grazie a pratiche di alchimia interna, di raggiungere l’immortalità. Nella Loggia napoletana della famiglia Di Sangro si praticava dunque un Rito Egizio e, nel corso degli anni, fecero probabilmente parte di questa Officina massonica anche personalità importanti come Gaetano Filangieri e Mario Pagano, ispiratori della Repubblica napoletana del 1799. Dagli ambienti vicini al Principe di Sansevero, cuore dell’”Egitto napoletano” si originarono dunque sia il Rito di Misraïm, sia l’Ordine Osirideo Egizio.
Ufficialmente il Rito di Misraïm fu fondato a Venezia nel 1801 dal Filalete Abraham,[24] ma sulle vere origini di questo ci sono molti dubbi. Più logico è credere, come del resto molti studiosi credono, e alla luce di quanto detto sopra, che il Rito abbia avuto origine, o almeno una prima diffusione se si accettano le origini orientali, nell’Italia Meridionale e nello specifico a Napoli intorno al 1774 attraverso personalità vicine al Principe di Sansevero che, iniziati a Malta, portarono nella città le conoscenze iniziatiche relative ad esso. Proprio a Napoli si costituì infatti un Supremo Consiglio dei Grandi Ministri che costituirono a loro volta un Ordine Muratorio Egizio che diffuse probabilmente il Rito nel resto dell’Italia e in Francia.
Forme di riti legati in qualche modo all’Egitto e all’ermetismo erano presenti non solo a Napoli, ma in molte altre città del Mediterraneo, principalmente portuali, legate insieme da una specie di trama occulta. Oltre alla Massoneria Egizia operò dunque a Napoli un’altro Ordine iniziatico che si rifaceva alle dottrine esoteriche egiziane: il suddetto Ordine Osirideo Egizio (comunque legato alla Massoneria), di cui è difficile ricostruire le origini, ma che secondo alcuni risalirebbe alla colonia egizia che si era stabilita a Napoli nel II secolo nella zona dell’attuale Piazzetta Nilo che fuse le sue conoscenze con la tradizione iniziatica pitagorica italica già presente a Napoli. In tempi più moderni lo sviluppo dell’Ordine Osirideo sarebbe dovuto a Domenico Bocchini, iniziato al Rito Egiziano di Cagliostro. Discepoli del Bocchini come Giustiniano Lebano e Pasquale De Servis furono i rinnovatori di questo Ordine Osirideo Egizio o Grande Oriente Egizio, nel quale si distinguono due Riti: il Rito Egiziano Antico e il Rito Egiziano massonico modificato.
Giustiniano Lebano (1832-1909) fu un continuatore, nella seconda meta del XIX sec., di questo filone ermetico napoletano che prende nuova forma nell’Ordine Osirideo Egizio. Il Lebano era figlio di Filippo dei marchesi di Sessa Cilento, un giurista che aveva partecipato ai moti cilentani del 1828. Viaggiò molto sia in Italia che all’estero, fu iniziato alla Massoneria ed ebbe rapporti diretti in Francia con l’occultista Eliphas Lévi e con lo scrittore Alexandre Dumas con il quale frequentò a Palermo un loggia memphitica. Ricostituì a Napoli l’Ordine Osirideo Egizio e prese il nome iniziatico di Sairitis-Hus. A questo Ordine aderirono importanti personalità politiche del tempo e membri di spicco della classe dirigente dello Stato unitario.[25] Secondo Gian Mario Cazzaniga, inoltre:
“Alla presenza di filoni ermetici ed egizi nella cultura napoletana, non solo facenti capo a Misraïm, va collegata la crescita di logge memphitiche italiane al Cairo e ad Alessandria d’Egitto, a partire dagli anni cinquanta, logge che con Napoli, Palermo e Livorno avranno numerosi rapporti. In Egitto si arriverà alla costituzione di un Santuario di Memphis, Grande Oriente Nazionale d’Egitto (…). Si tratta d’un’obbedienza che avrà una forte influenza su ufficiali dell’esercito e su settori riformatori della corte, influenza che verrà meno solo agli inizi del Novecento con l’affermarsi dell’egemonia inglese.[26]
L’Ordine Osirideo Egizio, tramite l’iniziato Giuliano Kremmerz, o Kremm-erz, (Ciro Formisano), appartenente a questo e affiliato al Rito Egiziano Antico, avrebbe dato origine alla più recente manifestazione di questa antica tradizione iniziatica: la Fratellanza Terapeutica di Miriam (o Schola Philosophica Hermetica Classica Italica) un associazione tutt’ora esistente di origine egizio-pitagorica.
Kremmerz fondò la Fratellanza (o Fraternità) Terapeutica Magica di Miriam (o Myriam) nel 1896, ma questa uscì allo scoperto solo nel dicembre del 1898 attraverso una circolare nella quale si dichiarava di voler restaurare una “Fratellanza spiritualista magica (…) ad esempio delle antichissime sacerdotali isiache egiziane, di cui più recente e nota imitazione è la Rosa+Croce”. La Fratellanza si occupa di medicina ermetica e di terapeutica magica. “Miriam” equivale a Maria e quindi alla dea Iside, sia intesa come anima umana che concepisce il Verbo divino, sia come la “Minerva medica” che guarisce.[27] La Fraternità di Miriam nasceva quindi sotto la protezione di un Grande Oriente Egiziano, emanazione di quell’ Ordine Egizio che continuava la tradizione di magia egizia napoletana di cui il Lebano era stato uno degli esponenti principali.[28]
Scopi dichiarati della scuola sono:
Lo studio delle scienze che si occupano dei poteri non ancora ben conosciuti dell’organismo umano, animismo, attività mentale, chiaroveggenza, previsione, telepatia e tutti i fenomeni supernormali e spirituali.
L’investigazione sui documenti classici, opere, memorie, scienze alchimiche e magiche, religioni, riti, tradizioni popolari, mitologie delle verità occultate dagli antichi o per ostruzionismo religioso o per regola settaria.
III. L’affratellamento di tutti gli studiosi di buona volontà e l’allenamento alle pratiche per conquistare possibili attività dell’organismo mentale e psicofisico tali da spiegare col proprio controllo gli effetti e i fenomeni non comuni.
IV. L’applicazione di queste forze alla medicina, alla terapeutica e alla psicurgia e taumaturgia.[29]
Un’altra prova, questa volta molto più tangibile, del profondo legame visibile e invisibile che unisce il capoluogo campano con l’antica sapienza egizia e con l’Egitto in generale ancora oggi, è la splendida “Collezione Egizia” del Museo archeologico nazionale di Napoli (MANN), considerato tra i più importanti musei archeologici al mondo per quanto riguarda la storia di epoca romana. La collezione egizia qui conservata è per importanza la seconda in Italia dopo quella del Museo Egizio di Torino, e la prima per quanto riguarda invece l’antichità. La collezione è composta da materiali e reperti acquistati da privati nei primi decenni dell’Ottocento e da scavi di epoca borbonica nell’area vesuviana e flegrea. Di grande importanza sono le opere appartenenti alla Collezione Borgia messa insieme nella seconda metà del XVIII secolo dal Cardinale Stefano Borgia che riuscì, grazie al favore di missionari, a mettere insieme un gran numero di oggetti provenienti dall’Egitto, oltre a molti manoscritti copti. Questa collezione testimonia l’interesse europeo per l’antico Egitto in un periodo anteriore alla spedizione napoleonica che farà scoppiare la moda per la “Terra dei faraoni”. La collezione egizia di Napoli, con la varietà dei suoi reperti, offre numerose testimonianze della civiltà egiziana dall’Antico Regno fino all’età tolemaico-romana.
[1] Per il periodo storico al quale si fa riferimento si segnala l’opera di: Wanderligh, Attilio. I giorni di Neapolis. Vita quotidiana e vicende storiche nella città greca e romana, Napoli, Edizioni Intra Moenia 2001.
[2] Cfr. Di Castiglione, Ruggero. Alle sorgenti della massoneria. Contributo per una storia dell’istituto latomistico napoletano dal 1728 al 1749, Atanor, Roma 1988.
[3] Cfr. Vicchio, Marcello. La confraternita dei dodici. Esoterismo e massoneria nella Napoli del’700, Gruppo editoriale srl, Roma 2013, p.15.
[4] Cfr. Höbel, Sigfrido. Il fiume segreto. Testimonianze della tradizione ermetica a Napoli, Stamperia del Valentino, Napoli 2004.
[5] Cfr. Ruo Redda, Carlo (a cura di). Egittomania. L’immaginario dell’Antico Egitto e l’Occidente, Ananke, Torino 2006, p. 27.
[6] Cfr. Ruggiero, Gennaro. Le piazze di Napoli, Tascabili Economici Newton, Roma 1998.
[13] Cfr. Capiferro, Giuseppe Maddalena; Guzzo, Cristian. L’Arcano degli arcani. Storia dell’Ermetsmo Egizio-Partenopeo fra i secoli XVII-XX, Edizioni Rebis, Viareggio 2011, p.8.
[14] Kremmerz, Giuliano. La Sapienza dei Magi, vol. II, Fratelli Melita, Milano 1987, pag. 196.
[15] Per un approfondimento dell’argomento si raccomanda la lettura di: Frances Amelia, Yates. Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Laterza, Roma-Bari 1969.
[16] Si veda, ad esempio, il De umbris idearum, pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1582.
[17] Il Corpus Hermeticum consiste di vari scritti filosofici composti tra il II e il IV secolo d.C. che presentano una struttura pseudo-egiziana. Nel Rinascimento si credette che questi testi fossero stati composti in epoca antichissima da un sacerdote egiziano depositario di una profondissima sapienza. In seguito ad accurate analisi filologiche si dimostrò che si trattava, invece, di scritti composti da diversi autori, quasi certamente greci, influenzati dallo stoicismo, dal platonismo e dall’ebraismo. Giordano Bruno rimase particolarmente affascinato da uno di essi: l’Asclepius.
[19] Cfr. Di Castiglione, Ruggero. Op. cit, p.111.
[20] Cfr. Vicchio, Marcello. Op. cit, p.55.
[21] Cfr. Vicchio, Marcello. Op. cit, p.91.
[22] In un rituale massonico francese di istruzione degli inizi del Novecento, che veniva letto alla presenza del neofita, alla domanda posta dall’Oratore al Primo Sorvegliante: “Cosa si intende con la parola “Misraim?”Il I° Sorvegliante risponde: “È il nome che le scritture danno al Primo figlio di Cam, che nel corso della divisione dell’Universo andò a stabilirsi sui bordi del Nilo, dove fondò il regno d’Egitto, chiamato anche Misraim nelle scritture…”. Cfr. a tal proposito: Ruo Redda, Carlo (a cura di). Op. cit., p. 131.
[23] Vicchio, Marcello. Op. cit, p.93.
[24] I Filaleti erano massoni provenienti dalla Francia.
[25] Cfr. AA.VV. Storia d’Italia. Annali XXV. Esoterismo, Giulio Einaudi editore, Torino 2010, pp.560-561.
[26] Ibidem, p. 562.
[27] Cfr. Intorvigne, Massimo. Il Cappello del Mago. I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo. Sugarco Edizioni, Milano 2013, p. 301.
-AA.VV. Storia d’Italia. Annali XXV. Esoterismo, Giulio Einaudi editore, Torino 2010.
-Bernal, Martin. Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica, Pratiche editrice, Parma 1991.
-Bramato, Fulvio. Napoli massonica nel Settecento, ed. Longo, Ravenna 1980.
-Capiferro, Giuseppe Maddalena; Guzzo, Cristian. L’Arcano degli arcani. Storia dell’Ermetsmo Egizio-Partenopeo fra i secoli XVII-XX, Edizioni Rebis, Viareggio 2011.
-Di Castiglione, Ruggero. Alle sorgenti della massoneria. Contributo per una storia dell’istituto latomistico napoletano dal 1728 al 1749, Atanor, Roma 1988.
-Höbel, Sigfrido. Il fiume segreto. Testimonianze della tradizione ermetica a Napoli, Stamperia del Valentino, Napoli 2004.
-Hornung, Erik. Egitto esoterico.La sapienza segreta degli Egizi e il suo influsso sull’Occidente, Lindau, Torino 2006.
-Intorvigne, Massimo. Il Cappello del Mago. I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo. Sugarco Edizioni, Milano 2013.
-Kremmerz, Giuliano. La Sapienza dei Magi, vol. II, Fratelli Melita, Milano 1987.
-Ruggiero, Gennaro. Le piazze di Napoli, Tascabili Economici Newton, Roma 1998.
-Ruo Redda, Carlo (a cura di). Egittomania. L’immaginario dell’Antico Egitto e l’Occidente, Ananke, Torino 2006.
-Ventura, Gastone. I riti massonici di Misraïm e Memphis, ed. Atanòr, Roma 1975.
-Vicchio, Marcello. La confraternita dei dodici. Esoterismo e massoneria nella Napoli del’700, Gruppo editoriale srl, Roma 2013.
-Wanderligh, Attilio. I giorni di Neapolis. Vita quotidiana e vicende storiche nella città greca e romana, Napoli, Edizioni Intra Moenia, 2001.
-Yates, Frances Amelia. Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Laterza, Roma-Bari 1969.