E’ opinione generale che Dante fu uomo di scienza.
La Divina Commedia non fu solo un’opera di poesia, ma costituì la summa delle “conoscenze” del tempo,
“E [l’astronomia] più che alcune delle sopradette [scienze] è nobile e alta per nobile subietto, che è de lo movimento© del cielo, e alta e nobile per la sua certezza, la quale è senza difetto, sì come quella che da perfettissimo e regolarissimo principio viene” (Convivio, II, 13).
Le sue conoscenze di astronomia derivano dalla lettura delle opere di antichi autori, come quella dell’Alfragano, che nella traduzione latina reca il titolo Liber de Aggregationibus Scientiae Stellarum et Principiis Coelestium Motuum, citata anche nel Convivio (II V 16).
L’astronomia della Divina Commedia è dunque basata sul sistema tolemaico, codificato nell’Almagesto, con la Terra immobile al centro dell’universo, intorno alla quale ruotano Sole e Luna e, mediante cicli ed epicicli, i cinque pianeti. Si hanno così le sette sfere tradizionali, cui è sovrapposta l’ottava delle stelle fisse, alla quale si riconoscevano due movimenti: lo movimento ne lo quale ogni die si rivolve… E… lo movimento quasi insensibile… da occidente in oriente per uno grado in cento anni (Cv. II, XIV 10-11), cioè il movimento diurno e quello contrario, intorno a un altro asse, che provoca il lento spostamento dei punti equinoziali lungo l’eclittica.
Dante mostra di conoscere i movimenti delle stelle e anche il fenomeno della precessione degli equinozi, il cui risultato è un moto di precessione durante il quale la posizione delle costellazioni sulla sfera celeste cambia lentamente nel tempo con un ciclo completo di circa 26.000 anni, per cui anche le date degli equinozi tendono a variare anno dopo anno.
Nella Divina Commedia il poeta immagina la terra divisa in due emisferi, quello delle terre emerse e quello delle acque. Al centro dell’emisfero boreale colloca Gerusalemme, posta a circa 32° di latitudine nord, sotto alla quale s’immagina scavata l’immensa voragine dell’Inferno, ed equidistante dai confini estremi del fiume Gange e delle colonne d’Ercole; agli antipodi della città, nell’oceano dell’emisfero australe, sorge la montagna del Purgatorio (32° lat. sud), alla cui sommità si trova il Paradiso.
Sulla base delle rigorose indicazioni astronomiche che il poeta ci dà è possibile ricostruire la configurazione astronomica del cielo nelle varie tappe del viaggio dantesco, quello che il sommo poeta poteva vedere con i propri occhi e che riporterà fedelmente nei vari passi della Comedia.
D’altra parte il cielo stellato è paragonato da Dante nel Convivio (II, XIV) con la Fisica e la Metafisica, in quanto esso ha delle proprietà in comune con entrambe le discipline.
Dante conosce la precessione degli equinozi e dunque descrive il suo viaggio in maniera prettamente astronomica e rigorosamente scientifica. Quando parla di stelle intende riferirsi alla configurazione astronomica del cielo reale e allo zodiaco delle “costellazioni”, ben diverso da quello dei “segni” (che è una rappresentazione artificiale), a causa proprio del fenomeno precessionale. Questa distinzione è importante, perché con essa si possono spiegare molti errori di datazione e di ricostruzione del cielo nei vari commenti alla Commedia che sono stati pubblicati nel corso del tempo.
In un solo passo del poema usa il termine “segno” e inserisce una nota di astrologia giudiziaria. Si tratta del Paradiso (XXII, 109-117), quando dichiara:
“tu non avresti in tanto tratto e messo
nel foco il dito, in quant’io vidi ‘l segno
che segue il Tauro e fui dentro da esso.
O gloriose stelle, o lume pregno
di gran virtù, dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
con voi nasceva e s’ascondeva vosco
quelli ch’è padre d’ogne mortal vita,
quand’io sentì di prima l’aere tosco.”
In questo passo Dante si ritrova nel Cielo delle Stelle Fisse, al cospetto della costellazione dei Gemelli. <<’l segno che segue ‘l Tauro>>. Dalla sua costellazione natia, non solo contempla dall’alto il cammino percorso, ma indirizza ai Gemelli una vera e propria invocazione per affrontare il difficile passaggio che lo attende nella parte finale del Paradiso: “O stelle gloriose, o luce piena di grande virtù, dalla quale io ammetto di aver ricevuto tutto il mio ingegno, quale che esso sia, con voi sorgeva e tramontava colui (il Sole) che è padre di ogni vita mortale, quando io per la prima volta respirai l’aria di Toscana (nacqui sotto il segno dei Gemelli).”
E’ noto che nel Medioevo l’Astrologia naturale (Astronomia) e l’Astrologia giudiziaria (propriamente detta Astrologia) non erano ancora divise.
In questo periodo è ancora difficile distinguere la figura dell’astrologo da quella più scientifica e rigorosa dell’astronomo, poiché solo a partire dal seicento e dalla nascita della scienza esatta, si renderà necessaria una più precisa connotazione di queste figure.
I sapienti dell’epoca studiavano il cielo attraverso osservazioni dirette e tracciavano il percorso degli astri su carte stellari, sulle quali poi innestavano le determinazioni e le previsione astrologiche.
Il poeta era nato nel segno dei Gemelli, probabilmente il 2 giugno 1265, e questo ci conduce all’inizio del viaggio (Inf. I, 1-3):
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.”
Egli considerava infatti la durata media della vita in 70 anni, ed essendo il poeta nato nel 1265, il viaggio deve quindi collocarsi nel 1300. E’ questo l’anno del primo Giubileo indetto da papa Bonifacio VIII, momento di grande valore simbolico, poiché viene a coincidere con la speranza di un rinnovamento spirituale e politico, che è alla base del pensiero dell’autore e che anima molte pagine dell’opera.
Dante inizia il viaggio nella duplice veste di personaggio reale, che in un determinato momento storico si smarrisce in una selva, e in quella di un uomo che in questa vita è chiamato a compiere un percorso di redenzione e purificazione morale per liberarsi dal peccato e guadagnare la beatitudine. Si tratta di un viaggio di purificazione morale e religiosa, che il poeta s’impone di ancorare in alcuni punti alla realtà – attraverso il riferimento alla volta celeste unica e immutabile – e anche di un percorso iniziatico, se è vero (seguendo Guenon) che “il processo iniziatico riproduce rigorosamente il processo cosmogonico, secondo l’analogia costitutiva del Macrocosmo e del Microcosmo”.
Questo processo inizia nella selva, per proseguire attraverso l’Inferno e il Purgatorio e concludersi dopo circa sette giorni (i numeri 3, 5 e 7 ricorreranno spesso nella Comedia) nel cielo del Paradiso.
E proprio nella selva oscura troviamo il primo riferimento simbolico-astronomico, sottolineato da Virgilio quando nell’Inferno (XX, 127-129) si rivolge al poeta dicendo:
“e già iernotte fu la luna tonda:
ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque
alcuna volta per la selva fonda (1) .”
In questo passo Dante si riferisce ad un fenomeno astronomico (la luna tonda) e a un fatto puramente simbolico e astrologico (il positivo influsso che la luna ha su di lui nella selva oscura).
Dal calcolo delle fasi lunari risulta che la luna fosse piena il 5 aprile 1300.
Tuttavia come riportano Caligaris e Gizzi in un calendario ecclesiastico del 1300 è riportato erroneamente un plenilunio con la data di giovedì 7 Aprile alle ore 13.
E’ comunque possibile che il poeta non si riferisca alla “luna piena”, ma con l’aggettivo “tonda” voglia alludere alla luna “radiante” immediatamente successiva alla luna piena, che, in coerenza con la fase del suo viaggio simbolico, riporta ad un periodo di cambiamento, particolarmente favorevole a tutti i processi di purificazione.
Infatti quando Dante vuol parlare di luna piena, utilizza esplicitamente il termine “plenilunio”, come in Paradiso (XXIII, 25) allorchè afferma “Quale ne’ plenilunïi sereni / Trivïa ride tra le ninfe etterne / che dipingon lo ciel per tutti i seni (2)”.
In base a queste considerazioni la data del 7 aprile 1300 appare plausibile, anche sulla base del forte significato simbolico tradizionalmente ascritto al numero “7”.
A un tratto, la mattina del venerdì Santo dell’anno del Signore 1300, il poeta si ritrova ai piedi di un colle, dietro il quale si trova la città di Gerusalemme, e sulla cui cima vede spuntare i primi raggi del sole, che calmano un po’ la sua inquietudine:
“Temp’era dal principio del mattino,
e ‘l sol montava ‘n su con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
si` ch’a bene sperar m’era cagione
di quella fera a la gaetta pelle
e l’ora del tempo e la dolce stagione (3)”.
Erano le prime ore del mattino, e il sole stava sorgendo insieme alle stelle di quella costellazione
La data di inizio del viaggio, all’alba di venerdì 8 aprile 1300, trova conferma in un successivo passo dell’Inferno (XXI, 112-114):
“Ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta,
mille dugento con sessanta sei
anni compié che qui la via fu rotta.”
circa le 7 del mattino del sabato santo dell’anno 1300 (1266+34=1300).
Il viaggio continua…
“Ma seguimi oramai, che ’l gir mi piace;
ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta,
e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace”.
Virgilio invita Dante a riprendere il cammino (Inf. XI, 112-114), poiché la costellazione dei Pesci è già apparsa sull’orizzonte e quella del Grande Carro (l’Orsa Maggiore) è distesa ormai tutta a Nord-Ovest, nella zona del Chorus, il vento di Maestrale.
Siamo alle 4 del mattino di sabato 9 aprile 1300.
I due viandanti proseguono nel loro cammino…
Ma ormai vieni via, poiché la Luna (Caino e le spine secondo la tradizione) tocca l’orizzonte a occidente e sta per tramontare sotto il mare di Siviglia, sul confine dei due emisferi (Inf. XX, 124-126).
Gli emisferi hanno l’orizzonte comune in Gerusalemme (la cui ora coincide con quella dell’Inferno) e nel Purgatorio.
Sono circa le 7 del mattino di sabato 9 aprile 1300.
Alla fine del “primo viaggio” Dante e Virgilio finalmente escono dall’Inferno e raggiungono, attraverso la natural burella, l’emisfero australe (<<E se’ or sotto l’emisperio giunto / ch’è contraposto a quel che la gran secca coverchia>>) (Inf., XXXIV, 112-14).
Nell’attraversamento Dante dimostra di conoscere la legge di gravità e il campo magnetico terrestre, quando fa dire a Virgilio che il centro della Terra è posto nel <<punto al qual si traggon d’ogni parte i pesi>> (Inf. XXXIV, 110-11).
Nell’emisfero boreale è la sera di sabato 9 aprile 1300; nell’emisfero australe è la mattina di domenica 10 aprile 1300 (<<Qui è da man, quando di là è sera>> Inf., XXXIV, 118).
“e quindi uscimmo a riveder le stelle”
Sulla spiaggia l’aurora diventa da rossa progressivamente arancione e a Dante pare di vedere sul mare una luce simile a quella di Marte, quando è velato dai vapori che lo avvolgono, che si muove rapidissima verso la riva (Purg. II, 7-18).
“Lo bel pianeto che d’amar conforta
faceva tutto rider l’orïente,
velando i Pesci ch’erano in sua scorta.
I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
a l’altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch’a la prima gente.
Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle:
oh settentrïonal vedovo sito,
poi che privato se’ di mirar quelle!
Com’io da loro sguardo fui partito,
un poco me volgendo a l’altro polo,
là onde il Carro già era sparito (4)”.
E’ la mattina di Pasqua, il giorno della resurrezione di Cristo, e il bel pianeta Venere invita ad amare,
Dante si volge alla sua destra e vede quattro stelle (la Croce del Sud) che nessuno aveva mai visto eccetto i primi progenitori (Adamo ed Eva). Il cielo sembrava gioire della loro luce e l’emisfero settentrionale dovrebbe dolersi dell’esserne privato.
Non appena il poeta distoglie lo sguardo da quelle stelle, si rivolge all’altro polo laddove la costellazione del Carro era già sparita.
Dalla configurazione astronomica del cielo si evince che a Sud si può osservare la costellazione della Croce del Sud e a Nord, sotto l’orizzonte, le due costellazioni del Piccolo e Grande Carro.
In questo passo Dante si riferisce ai due estremi (poli) della sua visuale, quello a destra (Sud), dove si eleva la Croce del Sud, e quello della sua visuale sinistra (Nord), dove il Carro è tramontato sotto l’orizzonte.
Questa ipotesi si basa sul fatto che il poeta doveva certamente sapere (vedi Par. XIII, 7-9 (6) ) che la costellazione del Grande Carro nel nostro emisfero boreale è definita “circumpolare” e non tramonta mai, pertanto è da considerarsi errata la tesi fin qui sostenuta dagli studiosi per la quale “Dante distoglie lo sguardo dalle quattro stelle, rivolgendosi al cielo boreale da cui è ormai tramontato il Carro dell’Orsa Maggiore”.
Dunque alla sua latitudine attuale, nel cielo non ancora illuminato dal Sole, il poeta poteva effettivamente vedere alla sua destra (a Sud) la costellazione della Croce del Sud, ben conosciuta ai suoi tempi e definita “circumpolare”. Si può affermare che in queste zone la Croce del Sud fa da controparte all’asterismo del Carro, in quanto è visibile in tutte le notti dell’anno e consente di individuare il polo sud celeste.
Naturalmente la lettura astronomica non esclude, ma contribuisce a rendere tangibile l’interpretazione allegorica, che vede le quattro stelle simboleggiare le virtù cardinali, ovvero prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, il cui pieno possesso è condizione indispensabile per il conseguimento della grazia e, quindi, della salvezza eterna.
Il viaggio nel Purgatorio prosegue…
“Ora era onde ‘l salire non volea storpio (7);
ché ‘l sole avea il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio ”
L’ora era avanzata e occorreva salire speditamente e senza indugio; infatti il “Sole aveva lasciato il meridiano al Toro e la notte allo Scorpione”.
L’aspetto del cielo ci conferma in pieno l’affermazione di Dante, poiché il Sole è in Ariete e si trova sul meridiano a mezzogiorno; quando lascia il posto al Toro sono trascorse circa due ore, quindi sono le due del pomeriggio.
Dalla parte opposta, sempre alla stessa ora, il Sole lascia la notte alla costellazione dello Scorpione.
Il cammino del “secondo viaggio” nel Purgatorio vede finalmente la fine…
Dante, a mezzogiorno di mercoledì 13 aprile, dopo aver bevuto dalle sue acque sante, lascia il fiume sacro del Paradiso Terrestre, posto sulla vetta della montagna del Purgatorio, completamente rinnovato nell’animo,
“puro e disposto a salire a le stelle”
Il viaggio in Paradiso inizia a mezzogiorno di mercoledì 13 aprile e dura probabilmente un giorno e mezzo, fino a giovedì 14 aprile.
“Surge ai mortali per diverse foci
la lucerna del mondo; ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci,
con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
più a suo modo tempera e suggella.
Fatto avea di là mane e di qua sera
tal foce, e quasi tutto era là bianco
quello emisperio, e l’altra parte nera,
quando Beatrice in sul sinistro fianco
vidi rivolta e riguardar nel sole:
aquila sì non li s’affisse unquanco (8).”
Il Sole sorge ai mortali da diversi punti all’orizzonte, ma all’equinozio di primavera è in congiunzione
Quel punto aveva recato il giorno in Purgatorio e la notte nell’emisfero Nord, quando Dante vede Beatrice rivolta a sinistra che guarda il Sole come farebbe un’aquila.
In quel tempo anche Saturno, sotto il petto della costellazione del Leone, diffondeva sulla Terra il proprio influsso, in combinazione con quello della costellazione stessa (Par., XXI, 13-15 “Noi sem levati al settimo splendore, / che sotto ‘l petto del Leone ardente / raggia mo misto giù del suo valore”).
Infine Dante, al termine del suo “terzo viaggio” nel Paradiso, dopo la fugace visione di Dio e la contemplazione della Luce, perviene alla meta ultima del suo cammino e finalmente sente appagato ogni suo desiderio di conoscenza, attraverso
“l’amor che move il sole e l’altre stelle”
[1] Trad. “e già ieri notte c’era la luna tonda: te ne dovresti ricordare, poiché ti giovò talvolta nella selva oscura”. [2] Trad. “Come nelle notti di plenilunio sereno la Luna splende fra le stelle, che illuminano il cielo in tutte le sue zone [3] Inf. I, 37-43 [4] Purg. I, 19-30 [5] In If. XII 100 è addirittura tangibile l’equazione fra scorta e il senso del verbo ‛guidare’: Chirón si volse in su la destra poppa, / e disse a Nesso: “Torna, e sì li guida, / e fa cansar s’altra schiera v’intoppa”. / Or ci movemmo con la scorta fida… Cfr. anche If VIII 129, Pg IV 39 e XXXIII 107 chi va dinanzi a gente per iscorta. I due sensi non si escludono comunque in Pg XXVII 19, dove scorte di D. sono chiamati Virgilio e Stazio, che lo accompagnano, non meno che in If XII 54 (Io vidi un’ampia fossa in arco torta, / come quella che tutto ‘l piano abbraccia, / secondo ch’avea detto la mia scorta), e in XIII 130, XVIII 67, XX 26, Pg XVI 8. Ha insieme il senso di ” guida ” e quello collettivo di ” accompagnamento ” in Inf. XXI 128, dove la scorta è costituita dai diavoli nominati da Barbariccia perché Dante e Virgilio facciano con loro la strada fino all’inesistente ponte tutto intero che dovrebbe sormontare la bolgia degl’ipocriti. [6] “…imagini quel carro a cu’ il seno / basta del nostro cielo e notte e giorno, / sì ch’al volger del temo non vien meno” [7] Purg. XXV, 1-3 [8] Par. I, 37-48