Nelle prime sequenze della Medea pasoliniana, il centauro Chirone tiene un discorso al piccolo Giasone, per rivelargli le sue origini e il suo destino. A un certo punto afferma: «Solo chi è mitico è realistico e solo chi è realistico è mitico».
Forse una simile coimplicazione può rivelarsi una buona chiave per comprendere Resistere non serve a niente. Al centro della trama sta Tommaso Aricò, protagonista assemblato per incarnare un prototipo umano che raffiguri l’idea di “vischiosità”: esperto di matematica e finanza, ha tagliato verticalmente gli strati sociali dal basso verso l’alto concludendo (o forse presumendo) che è pretestuoso distinguere tra procedura legale e procedura illegale e, in ultima istanza, tra buona e cattiva prassi. Intorno alla vicenda di Tommaso, Siti crea un doppio registro e divide in due la sua stessa azione narrativa: da un lato lavora su più livelli per la dotazione di senso (perfino metafisico) degli eventi; dall’altro adotta la prospettiva del testimone e diagnostica la chiusura degli orizzonti, per cui non resta che fare l’autopsia del presente.
Sul primo livello, si colloca il ricorso al mito come garante di plausibilità, mentre sul secondo la frammentazione del reale viene ricondotta a un quadro di coerenza sistematica. Gran parte del testo, tuttavia, si presenta semplicemente come riscontro analitico, basato su cognizioni economico-finanziarie, storico-materiali e psico-sociologiche. Sinteticamente, forse, si potrebbe dire “politiche”, in una lettura che appiattirebbe il termine “resistere” su uno dei suoi significati. Ma l’opera non è solo un racconto sull’impossibilità di opporsi al capitalismo finanziario. Una delle spie di una formulazione ambigua è la ritestualizzazione del titolo in battuta dialogica, poco prima del finale e quindi in equilibrio quasi simmetrico col titolo stesso: «Resistere non serve a niente, il sangue dei vecchi non lo vuole nessuno» .
Il vecchio in questione è il narratore-personaggio, il cui io non può essere eroicizzato e generalizzato, può arrendersi solo per sé. Perciò mentre il titolo afferma una verità generale, il dialogo suggerisce una prospettiva ristretta ed elegiaca, sviluppo insieme logico e paradossale per chi intitolò uno dei capitoli di Troppi paradisi: Io sono l’Occidente .
Il riferimento al sangue attraversa il testo per intero, sia in orizzontale facendo da metafora della vicenda umana come fisiologia, sia in verticale in quanto elemento sacro che collega storia e metafisica: quello di Tommaso è definito dal narratore «sangue non mio con cui nutrire il mio cadavere»; a proposito della situazione storica che ricalcherebbe le congiunture preliminari alle rivoluzioni novecentesche si dice che: «l’età media era la metà di oggi e il sangue ribolliva il doppio»; sacralizzando, con toni biblici, il suo rapporto con la mafia, Tommaso pensa: «Loro si sono compiaciuti in me e io devo compiacermi in loro; l’anemia dei numeri deve rinsanguarsi e farsi carne, sentirò il polso dell’universo nelle mie vene» .
Questo sistema di sovrasignificazioni è costruito all’ombra dell’espediente autofinzionale. La composizione, infatti, intreccia i fili invisibili del mito a quelli esibiti della verosimiglianza biografica e mai come questa volta il doppio di Siti fa cose effettivamente plausibili e non esemplari o smaccatamente simboliche, come avviene nei libri che precedono Resistere e di nuovo nel successivo Exit strategy . Nel libro del 2014, per esempio, Walter torna a parlare della protesi peniena che si sarebbe fatto installare e che, fin da Troppi paradisi, lo assimila a Berlusconi. Grazie al riferimento a questo congegno è possibile attivare il paragone mitico col dio egizio Osiride (nella leggenda quest’ultimo viene smembrato da Seth e poi ricomposto da Iside che, non riuscendo a ritrovare i suoi genitali, plasma per lui un fallo d’oro). Si vede bene che nella rappresentazione sitiana è d’uso la commistione tra mitologia, cronaca e storia, almeno quanto quella tra vita pubblica e vita privata. Ora, mentre in libri come Troppi paradisi ed Exit strategy Walter non esita a occupare il centro simbolico del sistema, in Resistere deve restare ai margini e presentarsi come un osservatore. Saranno i caratteri inventati a compiere le azioni realmente significative, simboliche, tipizzate.
Prima che questi ultimi vengano portati sulla scena, Siti simula la sciatteria testuale, denunciandola
Il corsivo a cui fa riferimento l’autore è un capitoletto di due pagine, intitolato Prima e dopo, per sempre. Descrive la scena di un omicidio di mafia. In piena coerenza col doppio registro di tutto il libro, intorno al fatto di cronaca si dispongono da subito armoniche di senso metafisico. Si parla di «urli che sfidano i secoli», «espiazione» e si chiude con la frase sentenziosa «uccidere è una fede» . Oltre a inaugurare la serie dei rimandi sacri e ultraterreni, il primo tratto di racconto apre anche quella dei riferimenti al sangue, in questo caso della vittima, dal cui orecchio sinistro cola un «rivolo sottile di sangue» (richiamato dall’immagine del tramonto come «glassa rossastra») . Inoltre, assieme al sangue, entra nel tessuto lessicale sitiano anche la parola «cadavere», che si correla alla prima e viene ripetuta più volte nel testo. Come cadavere reso feticcio mistico viene messo in scena Berlusconi, mentre a un cadavere o a un vampiro che esce dalla bara si paragona il personaggio di Walter e la democrazia stessa viene definita «il dio morto della modernità» .
Questo brano è di fatto l’opposto simmetrico del paragrafo su Berlusconi: anche quest’ultimo è in corsivo e, rovesciando il senso dell’esordio, si colloca «in un luogo lontano dalla cronaca» , mentre il primo è un fatto di cronaca. Tuttavia, come l’evento magico della rianimazione del cadavere influenza i fatti, così il fatto nudo da cui si avvia il racconto si riverbera in spazi ultraterreni.
Il secondo capitolo prende spunto da un aneddoto scientifico per avviare il discorso comportamentista: Keith Chen, docente di Economia a Yale, ha addestrato alcuni primati all’uso elementare del denaro (hanno imparato a scambiare i dischi di metallo che venivano loro distribuiti con della frutta). Dopo aver raccontato il «primo caso sperimentale, tra gli animali, di sesso offerto in cambio di denaro», Siti nota che l’esperimento «si svolgeva dentro una gabbia: non sappiamo se le scimmie si sarebbero comportate allo stesso modo nel loro habitat naturale […].» . Fuor di metafora, e riportando il discorso sugli esseri umani e in particolare sulle giovani donne, simili alla Gabriella del suo romanzo: «La libertà a cui le ragazze alludono […] è quella del mercato: libertà di movimento e di azione all’interno di regole rigidamente, impersonalmente fissate e ormai indiscutibili» . Lo stesso ambiente viene rinominato, in Exit strategy, «razionale prigione» .
Questa parte trova il suo pendant nel momento di rabbia in cui Tommaso pensa che suo padre stia «dietro le sbarre come un babbuino» . In questo passaggio si realizza uno spostamento dall’analisi al racconto, dalla tipologia al caso particolare. Inoltre, l’aneddoto etologico (frequente in Siti) attiva il paragone tra natura e cultura e, nello specifico, apre una linea argomentativa per cui la seconda sarebbe un prodotto che si limita ad articolare l’animalità in forme complesse.
Dismessi il corsivo e il tahoma, la voce che si presenta in scena è quella di Walter Siti, autodiegetica e metatestuale. Spiega come sia venuto in contatto con Tommaso, che gli commissiona Resistere. Il passaggio dalla realtà alla finzione spacciata per reale si mostra, a chi conservi il verosimile come orizzonte d’attesa, piuttosto forzato e poco efficace oltre che carico di facili simbologie:
Stavo a Firenze, in non so quale circolo Arci, e assistevo a uno spettacolo di burattini per adulti; a un certo punto il burattino in scena ha protestato «i maligni insinuano che dietro di me ci sia un tizio che mi fa parlare… sappiate che non è vero, sono io che faccio parlare lui». Il burattinaio infatti s’è presentato alla ribalta col suo faccione e ha ammesso «così mi sento nudo, non so cosa dire». Dunque ora congedatemi come un Prologo di teatro, che si affardellerà di some reali (tipo il denaro, o peggio) per arrivare a una verità ma senza più comparire; in scena ci saranno solo le maschere. Oggi, 3 giugno 2011, in questo pomeriggio bollente, faccio quel che dovrebbero fare gli occidentali in Afganistan: mi ritiro .
Il burattino che farà parlare il suo burattinaio sarà Tommaso, la cui identità tende a ricreare quella di Walter (personaggio) sotto altra forma: si presenta a Gabriella dicendo di essere uno scrittore , tiene in casa un Ercole che strozza l’Idra (Ercole ossessiona Siti in tutta la sua opera), vive come il suo creatore l’ansia di un assoluto che non trova ma crede di poter comprare (Gabriella assomiglia agli escort dei libri precedenti). Ci sono però grosse differenze tra Walter e Tommaso. Il secondo possiede abilità che funzionano come autentici fattori di integrazione: talento matematico e non umanistico, desiderio eterosessuale e non omosessuale, attitudine ad arricchirsi.
Prima del passaggio sul teatro dei burattini, Siti scrive la più grossa menzogna di tutto il testo, simulando di non essere all’altezza del compito che fingerà di svolgere:
Eccomi qua, con questo progetto di “narratore onnisciente” che m’ha sempre fatto arrossire; onnisciente sarebbe solo Dio, se esistesse. Per proporti come narratore onnisciente, o devi presumere tanto da te stesso o richiedere splendore alla tua epoca. Ma agisco per salvare il mio povero appartamento, di cui vedo pulsare le bolle d’intonaco come se fossero vene – o cicatrici, la mia casa è più viva di me; sarò lo strumento retorico attraverso cui passano i fatti per depurarsi e acquistare senso, deformandosi: un pagliaccio al servizio delle cose.
Notando che anche in questo passaggio si fa riferimento a Dio, al sangue e alla morte, passiamo subito a considerare che il narratore di Resistere, quando prenderà la parola, lo farà contraddicendo le premesse: non sarà mero fornitore di lavoro retorico, ma arriverà a comporre il destino del suo personaggio principale plasmando volontà superiori a quelle degli dei e delle potenze infernali, che, mobilitate da Siti, attaccheranno Tommaso ancora in utero.
Resistere ha quindi l’aspetto di un libro ibrido, costruito sulla commistione tra diverse forme di scrittura: documenti, saggi, ricostruzione cronachistica. Sotto queste modalità espositive, tuttavia, si nasconde una struttura segreta, aleggia uno spettro, nascosto a pagina 53 e capace di riverberare la sua azione sull’intera storia d’Italia, oltre che su quella raccontata.
Per capire chi sia il fantasma convocato nel testo, bisogna leggere la pagina successiva e poi tornare indietro: «Tommaso è nato il 2 agosto 1976 e quando è andato a scuola aveva compiuto sei anni da pochissimo ma era il più alto e il più grosso di tutti: ultimo banco e quindi prima lezione sull’indifferenza, col piede della sedia aveva sfondato la plastica azzurra del battiscopa ma nessuno se n’era accorto» .
Passando rapidamente dalla data di nascita del protagonista al racconto dei suoi primi scontri col mondo sociale, Siti fa scivolare il lettore nella biografia romanzata. Il centro del racconto sembra inquadrare le sue origini umili, l’obesità, l’esclusione, la necessità del riscatto. Il flusso narrativo prosegue attraverso l’infanzia bulimica, le amicizie, i talenti e le dannazioni di un individuo esemplare. Siti lascia insomma che il giorno e l’anno della nascita appaiano come uno dei tanti effetti di realtà con cui gioca.
C’è un calcolo che l’ordine del discorso impedisce avvenga in automatico: il 2 agosto 1976 cade esattamente nove mesi dopo il 2 novembre 1975. Se il lettore se ne accorgesse, acquisterebbe senso ciò che è stato raccontato poco prima, quasi di fretta: la notte in cui il protagonista di Resistere viene concepito, suo padre rientra dalla scena di un crimine «ubriaco (fin lì, normale amministrazione) ma bestemmiando e lavandosi via del sangue al lavandino; avevano mezzo ammazzato un frocio che si credeva ‘stocazzo, per dargli una lezione» . Messe insieme le date e il racconto, viene fuori il nome di Pasolini.
Ma il lettore è sospinto altrove. La storia di Tommaso si fa incalzante, Siti ci presenta il suo migliore amico, lo forma sotto i nostri occhi come un personaggio desideroso di vendetta e gli concede di scalare la società facendo milioni di euro con le vendite al ribasso e i titoli tossici. Così come l’ordine delle frasi ci spinge a contare in avanti, dal compleanno all’inizio della scuola, il narratore ci spinge a curiosare ‘in avanti’, caricando di interesse le strade che il bambino grasso intraprenderà per emanciparsi dalla miseria e dalla sua mole. Invece il nucleo della vicenda è oscuramente ancorato al passato in cui la madre «sentiva delle fitte che il dottore non sapeva spiegarsi, come se il feto si storcesse e si difendesse dalle ombre» .
Siamo alla seconda pagina di narrazione dall’esterno, cosiddetta onnisciente. I modi dell’autofinzione
Una traccia feconda per l’interpretazione del tratto eterodiegetico ci viene offerta in Exit strategy (autofinzionale e quindi anche autobiografico), quando si riporta una serie di frasi che i candidati al Premio Strega – vinto da Resistere – pronunciano per legittimare i libri in concorso, in un esercizio di goffaggine teorica e finta indifferenza. Le proposizioni sono riportate senza indicare l’enunciatore, come se costituissero un rumore di fondo. L’ultima, però, dice una cosa importante e possiamo essere sicuri che a parlare sia Siti: «la struttura sotterranea in fondo è quella di Edipo» .
Se si va a cercare la struttura sotterranea dell’Edipo sofocleo nelle due pagine che raccontano il concepimento e la nascita di Tommaso e se si rilegge quel brano come profezia e maledizione, l’intreccio acquisisce un senso e una coerenza che altrimenti sfuggono (i corsivi sono miei e indicano le parole che rinviano all’area semantica del sovrannaturale):
Poppate lentissime, al punto che sua madre s’addormentava allattandolo; questo appartiene alla mitologia, ai racconti di zia e nonna quando non volevano fargli pesare il suo essere “attrippatello”. Ma l’infanzia importa poco: è vero che molte cose si decidono in quegli anni, però è anche vero che sono senza rimedio. L’infanzia non è una giustificazione né un luogo a cui voler tornare: come rimpiangere quelle bestioline che eravamo, deboli e parassite? Mamma invece non l’aveva mai preso alla leggera il suo sovrappeso («’sto regazzino nun magna, s’abboffa»), già al tempo degli omogeneizzati e delle prime pappette; ma lei non ha mai preso niente alla leggera, la gravidanza era stata una causa continua di ricatti e lamentele. Con idee superstiziose in testa, era andata anche da una rumena perché quel concepimento le pareva affatturato, partito sotto una cattiva stella – s’era fissata che il bambino fosse stato messo in cantiere proprio quella notte che il marito era tornato a casa ubriaco (fin lì, normale amministrazione) ma bestemmiando e lavandosi via del sangue al lavandino; avevano mezzo ammazzato un frocio che si credeva ‘stocazzo, per dargli una lezione. «C’avevi ancora l’odio addosso, m’hai intossicato la pancia»: sentiva delle fitte che il dottore non sapeva spiegarsi, come se il feto si storcesse e si difendesse dalle ombre. Mamma sudava in quell’estate torrida e si sbrodolava di ghiaccioli, passando da una sedia all’altra nella piazza senza trovare pace; il bambino le arrivava in gola, tant’è vero che alla nascita pesava quattro chili e sette.
Tommaso è nato il 2 agosto 1976 e […]
Riporto in corsivo l’intero sintagma “si difendesse dalle ombre” perché il solo riferimento all’universo fantasmatico non basta a chiarire quali sono le questioni aperte. È importante segnalare il conflitto tra la volontà singolare e la maledizione che grava sull’individuo tragico. Il feto oppone resistenza al maligno: ancora da adulto, quando si tuffa in un’acqua «nera», metaforicamente ‘amniotica’ il protagonista ritrova: «un Tommasino innocente e solitario che annaspa per riemergere e respirare» .
Tale resistenza è atavica quanto la curvatura fatale che contrasta, perché senza un’opposizione originaria non si comprenderebbe come mai il processo di corruzione di Tommaso possa essere qualcosa di più che la rappresentazione lucakcsiana della svolta tardocapitalistica e turbofinanziaria del cosiddetto Occidente e del mondo intero.
Le ombre si addensano attorno al nascituro come spiriti demoniaci, anche se il lettore è portato a credere che i termini riferibili all’area dell’ultraterreno servano per rappresentare l’ignoranza e la superstiziosità della madre del protagonista, per connotarla socialmente. Invece l’anatema va preso alla lettera, il concepimento è davvero affatturato e il titolo Gli uomini preferiscono le tenebre, che segue i capitoli dedicati a raccontare la vita di Tommaso e apre la fase successiva del libro, è una sorta di compimento di quella stessa oscurità. Anche in questo caso Siti gioca a nascondere più di un senso: la frase richiama il vangelo di Giovanni – già ripreso dal Leopardi della Ginestra: «E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce» – ma suona come la variazione del titolo del film di Howard Hawks Gentlemen prefer Blondes.
L’Edipo viene suggerito anche nei dialoghi che, prima dell’epilogo, mettono di fronte personaggio autore e protagonista. «Sai cosa stavo pensando [dice Walter]? Che dopo aver tanto lottato per differenziarti, hai fatto davvero la fine di tuo padre, aggiornata alla modernità».
«Come mi aveva profetizzato mia madre, eh già… lei lo sapeva […]» .
Tommaso dice: «Sai, Walter, ognuno ha i padri che si merita…». Walter risponde: «Colpito e affondato… […]» .
“Lottato” riprende il “difendesse” della scena in cui si racconta la nascita di Tommaso e “profetizzato”, di nuovo, gioca sull’equivoco di una maledizione che produce davvero i suoi effetti nel racconto ma viene piuttosto presentata come tratto di linguaggio figurato o particolarmente espressivo, secondo il meccanismo dell’ironia tragica. C’è poi, naturalmente, lo squarcio di senso che si apre intorno all’idea del poeta assassinato.
L’ “esposizione al male”, in questo caso, è molto più che un dato di contesto. Non si indica soltanto il romanzo di famiglia, ma si suggerisce un orizzonte mitico su cui si ritrova un senso superiore a quello sociologico e storico. In altre parole, si allude alla coerenza simbolica delle surdeterminazioni (che forse è come dire che ci si colloca nel campo d’azione dell’allegoria). Dalle “ombre”, appunto, alle “tenebre”.
L’ultramondano è una cornice frequente. Oltre alla serie di passaggi mitologici intorno alla nascita di Tommaso, possiamo ricordare il già citato appellativo montaliano (“dea in incognito”) e, più in generale, le caratteristiche un po’ parodicamente angeliche di Gabriella, l’aspirante olgettina per cui Tommaso perde la testa. Il suo stesso nome è indicativo, perché si associa etimologicamente a quello dell’arcangelo e si oppone a quello della sua rivale in amore, Edith. Di nuovo in modo antifrastico, per il personaggio della seconda (una scrittrice moralista e stucchevole), Siti sceglie un nome che in origine vorrebbe dire “colei che combatte per la ricchezza”, mentre Edith non fa che parlare o (tentare di) scrivere di etica.
Gabriella, invece, è amata perché conduce al di là della materia, il suo corpo «si iscrive senza volere negli spazi dettati da una mente eterna», «è come una chiesa». Tommaso è attratto da ciò che a Berlusconi non interessa: «“Non sono il suo tipo, troppo poche tette… m’ha anche domandato perché non me le sono rifatte…”» .
Le due relazioni sentimentali che Tommaso intrattiene servono anche a evocare mondi che non possono comunicare: quello della cultura chiusa nei suoi inutili e inefficaci idealismi e quello della politica-spettacolo dove i corpi sono oggetto di transazione e “moneta vivente”. Oltre a ciò, il rapporto tra le due donne serve a Siti anche per muovere la trama.
Il padre di Edith, che investe onestamente nell’edilizia, intralcia i piani della malavita. Ciò fornisce l’occasione di rivelare che il legame di Tommaso col mondo del crimine è più profondo e inscindibile di quanto non sia stato già detto. Intanto, mentre colei che vuole redimerlo continua a trascinarlo verso la prosaicità e l’impegno astratto, il romanziere persiste nell’associare a Gabriella elementi celesti: quando lei appare si parla sempre di stelle, cielo, angeli o aerei ed è proprio per prenotare un volo con Tommaso che Gabriella si ripresenta nell’epilogo, a coronare una specie di parodia della conclusione felice.
Queste linee simboliche che sottostanno all’intreccio amoroso sono forse la parte più debole dell’opera, perché lavorano a demistificazioni dei ruoli sociali della scrittrice e dell’escort che rovesciano meccanicamente schemi morali usurati: la scrittrice impegnata fa ridere come un’adulta che crede alle favole e la puttana non è poi così cattiva, anzi torna a confortare l’eroe distrutto, come in un Dostoevskij semplificato.
Più interessante è invece l’interazione tra i personaggi maschili. Walter possiede il sapere che serve a Tommaso: la capacità di ricostruire la sua persona. “Persona” è il nome del fondo gestito da Tommaso: un altro rovesciamento ironico, per un simulacro che afferma di non sapere nemmeno di quanti pezzi è fatto e si chiede: «ma non ci dovrebbe essere, da qualche parte, una vita interiore?» .
Tommaso, a sua volta, possiede il sapere matematico necessario nelle sue applicazioni finanziarie al giovane e brillante boss Morgan Lucchese, incarnazione del male mondano e capo carismatico che governa la malavita per diritto ereditario. Morgan, mafioso di nuova generazione, colto e disinibito, fa quasi da contrappeso al sistema mitico che Siti attiva con le sue surdeterminazioni: «La sera Lucia [sua moglie] si inginocchia ai piedi del letto salmodiando il mea culpa di sempre (“Signore, perdoname, ma si no gèra par quei delinquenti no se saressimo mai salvai”; Morgan si inginocchia accanto a lei, tranquillo, senza pregare». Morgan, si dice subito dopo, «è nel cuore del teorema», perché occupa consapevolmente l’area grigia tra lecito e illecito, indirizzando le interazioni senza venire sfiorato dalla rabbia di Tommaso – che «odia gli oggetti» – e sfoga una sorta di delusione teologica su colui che unisce nella sua figura la corporeità e il divino: «[Tommaso]avrebbe voluto picchiare Gesù Cristo, tranquillo ed emaciato sulla sua croce»; «a Tommaso cade l’occhio su un crocifisso […]: “ti sei appeso per niente”» .
Dunque tre saperi differenti sono concatenati nella dinamica di funzionamento del testo. Simmetricamente, tre gradi di corruzione si riflettono da Morgan che corrompe Tommaso a Tommaso che paga la casa di Walter come compenso per la scrittura di Resistere, coinvolgendolo fino a trasformarlo nella figura tutta sitiana del narratore connivente.
Anche l’azione di Tommaso è condizionata da un debito originario: gli amici malavitosi di suo padre hanno pagato per lui un’operazione di chirurgia bariatrica, che gli ha lasciato addosso delle cicatrici simbolicamente riutilizzate da Siti per mettere in scena una figura che rappresenti anche nel proprio corpo la frantumazione dell’io e contraddica quell’ «assioma orgoglioso di unità, potenza cognitiva, infrangibilità dell’individuo» che ossessiona Edith. Tuttavia, per entrambi vale anche il condizionamento che viene da un credito originario: Tommaso ha visto suo padre venire arrestato, Walter deve riscattare la “miseria dei suoi”, da cui già prendeva le mosse Troppi paradisi . A queste vicende particolari, si sovrappone il credito teologico che l’esistenza intera e il desiderio proiettano su un mondo dove, per quanto sia agognato, il divino non si mostra se non nella bellezza (commercializzata) degli esseri amati.
Ecco che in questa prospettiva si comprende l’appellativo di “vendicatore” che Walter rivolge al protagonista di Resistere: «forse sei il mio stuntman, quello che esegue per me le scene pericolose… un prototipo della mutazione… o forse, più in profondità, sei il mio vendicatore» .
Dopo aver rintracciato l’origine della maledizione che grava su Tommaso, è chiaro che la mutazione di cui si parla è il cataclisma antropologico che, secondo Pasolini, ha cambiato la natura profonda degli esseri umani e ha popolato l’Italia di morti viventi (mentre per l’autore di Resistere è piuttosto foriera di nuove forme di vitalità tutte da indagare).
Considerando il progetto romanzesco di Siti, si capisce anche quali siano le scene pericolose che il prototipo esegue al suo posto: quelle che agganciano il desiderio ai suoi oggetti attraverso la mediazione universale del denaro, che mette in correlazione l’infinito apparente del desiderio con l’infinito apparente delle merci e delle immagini.
La vendetta, situata “più in profondità”, è di conseguenza anche più difficile da inquadrare. Sebbene la linea della storia segua una traiettoria edipica, Siti dialoga contemporaneamente con la sua versione più moderna, Amleto, che è anche il mito della nemesi impossibile. In Resistere si evoca lo spettro di un padre inimitabile, a confronto con una forma di vita in cui si invera l’aforisma del titolo. Ma anche in altri suoi interventi, possiamo rintracciare toni da evocazione fantasmatica. Per esempio, questa è la nota biografica che l’autore ha scritto per il sito del programma televisivo La scimmia (Italia Uno 2012):
Walter Siti ha avuto due vite.
Nella prima ha fatto la sua carriera come un cane ammaestrato, porgendo la zampa della buona educazione critica e cercando di essere più acuto che poteva, per non deludere chi si aspettava molto da lui. Per questa via è arrivato alla cattedra universitaria e si è comportato bene per oltre trent’anni, nascondendo di giorno quel che viveva di notte.
Nella seconda vita la notte ha preso il sopravvento, Siti ha cominciato a scrivere cose da pazzi e un romanzone scriteriato che avrebbe dovuto farlo morire; ma morire non è così facile, sicché a quel primo romanzo se ne sono aggiunti più o meno altri sei.
Ormai comincia a crederci.
Invecchiando ha perso parecchi freni inibitori, la cosa che teme di più è ripetersi. (Pasolini, che ha fatto da ponte tra le sue due vite, ogni tanto torna a visitarlo).
Allo spettro “paterno” che ritorna a chiedere giustizia (e non la ottiene, visto che Siti lavora per l’omologazione televisiva), Tommaso, il ‘vendicatore’, contrappone la sua fedeltà al padre biologico, uccisore di Pasolini. Il nome di Sante (per gli amici “Santino”), tatuato sul braccio del figlio, è un’altra provocazione.
Dopo che tatuaggio ha sigillato simbolicamente la parabola esistenziale, come nei Demoni, viene inserita una vicenda di pedofilia. L’abuso è il compimento morale della tragedia. Se il romanzo fosse improntato alla mera verosimiglianza, occorrerebbe dire “moralistico”. La pederastia, invece, non è soltanto un exemplum, ma una maledizione che si compie. Siti lo dice esplicitamente, il protagonista sigla col padre di Isabella «un patto che non è di questa terra» .
L’eroe, nel ventre materno, si difendeva dalle ombre. Lo vediamo integrarsi nella comunità degli uomini che preferiscono le tenebre e lo ritroviamo, infine, sconfitto, a sugellare la sua predestinazione. Non può scegliere, crede soltanto di farlo. L’oscurità non gli si presenta davanti come opzione, ma lo riassorbe dopo averlo generato. Comprare l´innocenza di una bambina, rinunciando per sempre alla propria, è la cosa peggiore che può fare. Attraverso l’abominio, Tommaso compie più il suo destino che il suo carattere, perché in questo libro vertiginosamente attuale il realismo è permesso solo a patto che riscriva il mito.
Luca Cristiano
Per gentile concessione di: