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Dacia Maraini presenta a Praga il suo ultimo libro “La grande festa”.

È una delle voci femminili più celebri della letteratura italiana contemporanea, autrice di numerosi romanzi tradotti in molte lingue e vincitrice del Premio Campiello ed.1990 con: “La lunga vita di Marianna Ucrìa” e del Premio Strega ed.1999 con: “Buio”; Dacia Maraini è stata ospite dell’Istituto Italiano di Cultura di Praga nello scorso mese di marzo 2012 per presentare il suo ultimo libro: “La grande festa”edito da Rizzoli. All’evento dal titolo: “Dacia Maraini: la narrazione“, organizzato dal Comitato Dante Alighieri di Praga, che si è tenuto nella Cappella Barocca dell’Istituto Italiano di Cultura, la Maraini ha illustrato il contenuto del suo nuovo libro che tratta la tematica delle persone care e degli affetti che non ci sono più, e davanti ad un pubblico numeroso di intellettuali, studenti e lettori sia cechi che italiani, ha affrontato anche alcuni tempi interessanti come il significato della morte nella cultura occidentale e orientale, l’importanza del mito, e temi come la situazione della donna nella società moderna e della letteratura al femminile. Prima della presentazione del libro, davanti ad una tazza di tè offertaci dal Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Praga e in compagnia di S.E. Pasquale D’Avino, Ambasciatore d’Italia in Repubblica Ceca e del Presidente del Comitato praghese della Società Dante Alighieri, Monia Camuglia, abbiamo incontriamo la scrittrice per un’intervista.

Lei è una persona che ha viaggiato molto e probabilmente è già stata a Praga. Questa è una città che lascia il segno nell’animo di chi la visita, come ci è testimoniato da molti scrittori stranieri – anche italiani – che hanno scritto di essa.  Lei che rapporto ha con questa città?

Ho un rapporto di scambio con questa città, nel senso che sono venuta varie volte e l’ho visitata un po’da turista, ma anche cercando di conoscere la sua letteratura, le sue radici, la sua lingua che non capisco, purtroppo, ma che mi suona all’orecchio molto gradevole. Praga è un piccolo scrigno storico, oltretutto, possiamo dire che tutta la storia d’Europa è passata di qua, a me piace molto la storia e quindi quando sono qua, tutta questa storia me la sento addosso perchè è una storia comune e per questo la sento vicina.

In lingua ceca e in slovacco, fino ad oggi, sono stati tradotti 3 dei suoi libri – e anche uno di Suo padre l’etnologo Fosco Maraini-  e cioè: “I Sogni di Clitennestra” una raccolta di testi teatrali del 1981; “L’età del malessere” del 1963 e “A memoria” del 1967. Perchè, secondo Lei, tra i molti che ha scritto, gli editori cechi hanno scelto proprio questi?

Questo proprio non glielo so dire, bisognerebbe chiederlo a loro. Le faccio un esempio: quando sono andata in Cina credevo che lì avessero tradotto: “La lunga vita di Marianna Ucrìa”, che è il mio libro più tradotto all’estero. E invece loro avevano tradotto “L’età del malessere” che è un libro del 1963. Io ho chiesto come mai, e mi hanno detto che è perchè si parla della disoccupazione femminile, e siccome prima ancora che da noi, questo in Cina è una realtà, loro avevano tradotto questo mio vechio libro. Qundi, sinceramente, le ragioni per cui sono stati tradotti questi libri e non altri non le conosco. Come Le dicevo, “Marianna Ucria” è il libro più tradotto all’estero ed io ero convinta che era sempre questo il libro che avrei trovato, e invece poi vengono fuori delle strane preferenze e non Le so dire il motivo.

Parliamo ancora dei suoi libri. Qual è tra i Suoi romanzi quello più autobiografico e quale quello che Lei ritiene invece meglio riuscito dal punto di vista formale e stilistico?

Ai lettori l’ardua sentenza! Veramente non lo posso dire. Io ho fatto due o tre libri autobiografici: uno è “Bagheria” che parla della mia adolescenza in Sicilia, uno si chiama “La nave per Kobe” che parla di mia madre e per il quale ho preso spunto dai diari di mia madre, e questo ultimissimo che si chiama: “La grande festa”, autobiografico nei dettagli. Altri no. Gli altri sono tutti romanzi, inventati, naturalmente c’è sempre qualche cosa di sè, ma sono romanzi e ci sono personaggi inventati. Quindi io distinguo veramente quelli in cui mi metto in gioco, in cui poi metto i nomi delle persone, e gli altri in cui, non è che mi nascondo, ma ci sono altri personaggi; non sono io.

Qual è la genesi di: ”La grande festa” e da cosa nasce l’idea di trattare la tematica degli affetti che non ci sono più?

Dalla realtà, purtroppo invecchiando cominciano a morire delle persone intorno, questa è la cosa terribile, anche persone più giovani, persone di famiglia…. Con la morte di mio padre, che è stata per me uno shock, perchè si pensa all’eternità dei genitori, e poi mio padre era talmente giovanile e talmente affascinante come personaggio che era difficile pensarlo morto, mi è difficile ancora adesso. E poi mia sorella che se n’è andata via giovane…Insomma ad un certo punto queste persone che se ne sono andate gravano, gravano sulla memoria e allora, per uno scrittore, l’unico modo di contrattare con la propria storia, di trovare una soluzione psicologia, affettiva, è quella della scrittura e quindi doveva venir fuori questo libro; prima o poi doveva venir fuori.

Fra le figure che Lei ricorda nel suo libro ci sono alcuni “mostri sacri” della letteratura italiana come Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini, due autori molto tradotti e molto conosciuti in Repubblica Ceca. Quali sono i ricordi più vivi che La legano a loro?

I ricordi di viaggio! Abbiamo fatto tanti viaggi insieme perchè sia Pasolini che Moravia erano due viaggiatori anche loro, e quindi ci siamo trovati su questo piano, abbiamo fatto tanti, tanti viaggi insieme. A volte Pasolini andava a cercare i luoghi per i suoi film. Uno dei viaggi, per esempio, che abbiamo fatto insieme in Africa era perchè lui voleva fare una Orestiade africana con attori africani, e poi invece il produttore gli ha detto che non andava bene perchè in Europa gli africani non andavano bene… E così lui ha dovuto rinunciare, però noi avevamo trovato già tutti i posti, avevamo fatto un lungo viaggio in Africa e ricordo ancora la commozione con cui lui guardava, sceglieva il luogo che doveva essere l’incontro di Elettra con il fratello Oreste, oppure il luogo in cui Clitennestra avrebbe portato la figlia al sacrificio; per la partenza delle navi, oppure Agamennone che tornava dalla guerra…Insomma c’erano tutti i luoghi, luoghi bellissimi, poetici, arcaici. Magari oggi troverebbe una ricezione diversa… Però di quel materiale che aveva girato nè è venuto fuori un documentario bellissimo che si chiama: “Per un’Orestiade africana” che è molto bello, molto poetico. Poi abbiamo fatto tanti altri viaggi insieme anche con Maria Callas, Ninetto Davoli, con i fratelli Citti che erano i suoi attori preferiti, quindi quello che ricordo di più sono proprio i viaggi, anche se a Roma ci vedevamo tutte le sere. Avevamo una casa in comune a Sabaudia che abbiamo messo a posto e purtroppo lui è morto un anno dopo che abbiamo fatto questa casa insieme.  Però prima di quella casa avevamo affittao delle case insieme e abbiamo trascorso parecchi anni a Sabaudia in quelle case prima di costruire quella. Tra le case che abbiamo affittato insieme c’era Villa Antonelli, una delle più vecchie case di Sabaudia dove abbiamo scritto la sceneggiatura de: “Il fiore delle mille e una notte”. Quindi di ricordi ne ho tantissimi.

In questo libro è possibile vedere anche l’evoluzione di una società, soprattutto per quanto riguarda la componente femminile. Come sono cambiati i costumi, come è cambiata la donna? La donna di oggi è molto diversa. Lei cosa ne pensa?

Penso che la rivoluzione femminile fatta alla fine degli anni Sessanta è stata un vera rivoluzione, senza sangue per fortuna, senza violenza, ma è stata una vera rivoluzione. La famiglia non è più la stessa cosa. Da noi siamo molto bravi a fare le rivoluzioni però poi… Siamo stati i primi a fare la rivoluzione con gli ospedali psichiatrici per esempio. Tutta l’Europa era lì a vedere cosa veniva fuori  da Basaglia, dalle nostre idee sulla malattia mentale… E’ stata una vera rivoluzione che poi però si è fermata lì; invece di andare avanti e costruire quella che doveva essere l’alternativa all’ospedale, si è lasciato tutto così per cui oggi è effettivamente un problema. Il femminismo, soprattutto il ’68, non ha saputo costruire una società alternativa, così com’è successo anche con “Mani Pulite”. Si fa un grande fracasso, si dice che si vuole stabilre una nuova morale, si vuol far pulizia, però dopo bisogna costruire una società nuova con dei valori nuovi, altrimenti si torna indietro peggio di prima. Credo che il nostro Paese ha questo difetto, quello di essere molto passionale e molto generoso nei momenti in cui vuole cambiare le cose, però poi c’è troppo individualismo, manca l’organizzazzione sociale, la fiducia… Lo sappiamo tutti, conosciamo i nostri difetti.

Fra i nomi più recenti quali sono gli autori italiani che Le piacciono maggiormente?

Ce ne sono tanti, tra i giovani: Ammaniti, Saviano che ha dato un esempio molto positivo e importante anche se, poveretto, non riesce a fare il secondo libro perchè è molto difficile quando si è fatto un libro così popolare; certamente una persona coraggiosa che ha dato un bell’esempio. Si parla di Mafia e c’è chi la denuncia anche rischiando la vita e quindi è una bella cosa.

Ci sono anche parecchie donne brave: la Mazzucco, la Mazzantini, Michela Murgia combattiva e bravissima che ha scitto questo libro sulla Madonna, da cattolica, che è importantissimo (Ave Mary. E la chiesa inventò la donna. ndr), dove dice che in fondo questa Madonna imponeva la sua gravidanza extraconiuglae, non c’è dubbio! Perchè in quell’epoca non certo pensavano che fosse stato lo Spirito Santo, e lei era rimasta gravida fuori dal matrimonio e quindi l’avere sostenuto e portato avanti questa gravidanza, aver dato un figlio ed esser riuscita a creare questo mito… Insomma è molto bello quello che lei dice. Una donna coraggiosissima, intelligente e brava.

 

Foto di copertina by Giuseppe Nicoloro

	
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