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Repubblica Ceca ieri e oggi. Intervista allo storico Marco Patricelli.

Marco Patricelli, classe 1963, è professore di Storia dell’Europa Contemporanea presso l’Università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti ed è giornalista responsabile della redazione di Pescara del quotidiano “Il Tempo”. I suoi saggi storici, sia per lo stile in cui sono scritti che per il loro rigore scientifico, riscuotono sempre un grande successo e sono pubblicati da grandi nomi dell’editoria italiana come: Utet, Mondadori e Laterza. Le sue competenze di ricercatore e storico lo hanno portato a diventare consulente del Tg1 Storia e del programma RAI “Est-Ovest”. Dai libri: “La Stalingrado d’Italia” e “Liberate il Duce“ sono stati tratti anche due docufilm: il primo coprodotto da Mediaset e ZDF andato in onda su Rete 4, e il secondo realizzato dal regista Fabio Toncelli prodotto dalla SD Cinematografica e andato in onda su History Channel. Oltre ai due saggi già citati, Patricelli è autore di altri libri importanti che hanno contribuito a far luce su episodi chiave della Seconda Guerra Mondiale. Tra questi ricordiamo: “Morire per Danzica“, “Settembre 1943“, “L’Italia sotto le bombe“ e “Il volontario“. Noi di Café Boheme lo abbiamo incontrato a Praga, città alla quale è particolarmente legato, e ne abbiamo approfittato per parlare con lui  del passato, del presente e del futuro della Repubblica Ceca, e non solo.

Marco , oltre alla Polonia dove hai ottenuto un grandissimo successo con il tuo ultimo libro “Il volontario”, tu frequenti spesso Praga e so che in questa città hai anche lavorato alla stesura di alcuni tuoi libri. Come ti sembrano i cechi?

I cechi, così come i polacchi, hanno dovuto difendere la loro identità da molti tentativi di sradicamento a partire dalla propria lingua, con la penetrazione del germanesimo. Infatti, ancora oggi, spesso anche da noi in Italia, i cechi sono considerati in qualche modo degli slavi germanizzati. Li assimiliamo per alcuni versi anche agli sloveni, invece loro hanno difeso in tutto e per tutto la loro identità e sono riusciti a farlo con le loro eccellenze anche durante il comunismo: basti pensare ai cristalli di Boemia, tanto per fare un esempio, e a tutte le loro cose che sono sopravvissute al vento della storia grazie alla grande capacità di questo popolo, non solo di adattarsi, ma anche di esorcizzare il nemico. Ed è da qui che nasce anche questo grande senso dell’umorismo che i cechi possiedono, un umorismo molto peculiare, basti pensare ad Hašek, per esempio.

A proposito di Hašek e dell’umorismo ceco, proprio oggi leggevo “Edison in Boemia” che fa parte dei suoi Racconti…

 Si! È c’è anche un altro racconto bellissimo, un capolavoro, che è “Come si diventa presidenti del consiglio in Italia”; un capolavoro particolarmente attuale! Quello ceco è un popolo che io ammiro per tutta una serie di motivi e faccio spesso notare in Italia che il popolo ceco è stato l’unico che dopo la caduta del muro di Berlino non si è riversato nell’ Europa occidentale. Noi abbiamo avuto dei fenomeni di immigrazione più o meno temporanea, come con i polacchi, gli ungheresi… Ma con i cechi non è stato così. Hanno riedificato immediatamente il loro stato che, non dimentichiamolo, tra le due guerre era l’unica vera democrazia che c’era qui. E fu una democrazia tradita dalle altre democrazie. Una democrazia che durò poco. Quello che è successo dopo il Patto di Monaco è sintetizzato dalla frase di Churchill: “Potevate scegliere tra la guerra e il disonore, avete scelto il disonore ed avrete la guerra”. Se si pensa che ad un patto in cui si decidevano i destini di un paese, questi  non era neppure rappresentato a livello diplomatico: i cecoslovacchi non parteciparono al Patto di Monaco!

Perché nessuno intervenne, perché fu lasciato campo libero? Pensi che davvero si credeva che lasciando un contentino alla Germania, Hitler se ne sarebbe rimasto tranquillo?

 Perché l’opinione pubblica occidentale fece il possibile e l’impossibile per evitare un’altra guerra, non tanto per la giustezza o meno di un’altra guerra, ma perché era ancora vivo il ricordo della Prima Guerra Mondiale in cui erano state falcidiate generazioni intere.

Non si esitò quindi a mettere sull’altare sacrificale la Cecoslovacchia?

 No, perché si pensava in fin dei conti che la Cecoslovacchia era una creatura artificiale, Hitler non voleva altro che le popolazioni tedesche che abitavano fuori dalla Germania. Si accettò la linea di Hitler fino al marzo del ’39 quando poi, con la spartizione di quello che restava della Ceco-Slovacchia, si capì che il problema non era più portare il Reich dove erano i tedeschi, ma portarlo anche dove non erano. Forse solo lì si capì realmente quello che stava accadendo. Però intanto la Cecoslovacchia era stata sacrificata e fu risacrificata nel secondo dopoguerra. Anche in questo ci sono certe analogie con la storia polacca. Le grandi ipocrisie. La Seconda Guerra Mondiale scoppia per garantire l’integrità e l’indipendenza della Polonia e termina senza restituirle né l’integrità né l’indipendenza. La Polonia è l’unica nazione che combatte la SGM dal 1 settembre del ’39, non dal 4, fino all’ultimo giorno e non siede al tavolo dei vincitori! Addirittura alla parata della vittoria a Londra i polacchi non sfilano, non vengono invitati perché le truppe del Generale Anders sono diventate già un caso politico e non si può urtare Stalin su questo. Sfilarono nazioni come la Transgiordania , il Nepal, ma non sfilerà la bandiera Polacca a Londra nel giorno della vittoria.

A proposito di questo parallelismo che fai ti chiedo quali sono secondo te le analogie e le differenze tra questi due cugini,  secondo la leggenda figli di due fratelli, e cioè i cechi e i polacchi. Qual è la linea attuale della Repubblica Ceca, quale quella della Polonia e quale è più adatta a quello che è il corso attuale della storia?

 Innanzi tutto bisogna dire che sono tutti e due dei popoli che si sono riuniti in stato nazionale molto prima di tanti altri. Il regno di Boemia è stata una grande potenza e la Polonia arrivava dal Baltico al Mar Nero, quindi hanno questo senso di identità nazionale che è molto forte e che è stato molto difeso. E poi il fatto di trovarsi nel cuore dell’Europa, entrambe sottoposte a due grandi spinte: quella dello slavismo e quella del germanesimo. Difendersi da questi due nemici è stata dura. I paesi non sono fatti grandi dal numero di divisioni che hanno – Stalin chiedeva quante divisioni avesse il papa- ma sono fatti tali dalla loro cultura. Se un popolo ha una cultura forte, ha anche una forte identità anche se non è forte numericamente. Per la Cechia basti pensare a colossi nella musica come Dvořak e Smetana, tanto per fare due nomi.

E quali sono invece le differenze oggi?

 Oggi la differenza è che la Polonia, forse per “paura”- mettiamolo tra virgolette- ha un forte sentimento europeista. la Repubblica Ceca, invece, è molto più fredda e voi qui sapete meglio di me quali sono state le grandi resistenze ad essere assorbiti in questo concetto che non è più di potenze ma di stati liberi, sovrani e democratici.

Ma possiamo dire che vedendo quanto sta succedendo in Europa, questo scetticismo da parte dei cechi è in qualche modo giustificato?

Forse è giustificato, ma lo possiamo dire solo col senno del poi. Allora ci sembrava incomprensibile, ci sembravano incomprensibili le dichiarazioni di Klaus, la resistenza a mettere la bandiera europea sul Palazzo. Forse loro sono stati un po’ più lungimiranti perché spesso l’Europa è solo una bella parola che ci riempie la bocca. Forse però questo scetticismo dei cechi si spiega, almeno parzialmente, sempre alla luce del fatto che questo è un popolo che ha dovuto lottare sempre per la propria integrità morale, culturale e storica, e che si è trovato proiettato improvvisamente in una realtà sovranazionale che rischiava di annacquare in qualche modo i valori intorno ai quali il popolo si era ritrovato. Questo è un popolo che ha dato con le sue rivoluzioni grandi lezioni di civiltà. Non solo con la rivoluzione di velluto. Il ceco è un popolo che non ha mai accettato che dall’alto si decidesse per lui, e poi non lo trovi un altro popolo che si è diviso in modo così civile come è stato perla Repubblica Ceca e la Slovacchia.

Come interpreti la divisione che c’è stata tra questi che oggi sono due paesi diversi?

 La trovo molto in linea con lo spirito ceco, perché in qualche modo si sono divisi per riunirsi. Si sono divisi per essere Rep. Ceca e Slovacchia, per confluire nell’Unione Europea con quelle che oggi sono delle frontiere puramente amministrative.

Ma è vero che la volontà di dividersi nasceva da una sorta di vendetta storica dei cechi sugli Slovacchi per quanto successo con i tedeschi durante la guerra, oppure ci sono delle ragioni politiche più sottili?

 Lì in qualche modo la storia ha preso due binari diversi nel ’39 perché, per esempio, gli slovacchi hanno partecipato all’invasione della Polonia, forse per vendicare episodi storici del passato con i polacchi… Ma non bisogna guardare indietro. Se guardiamo indietro troviamo sempre delle colpe e mai delle ragioni. Ma non dimentichiamo che la Cecoslovacchia è uno stato creato artificialmente e si è visto nel ’91, e poi in seguito nel ’96, che tutta la presunzione dell’uomo di poter disporre dei popoli e delle storie degli uomini con dei tratti di penna su delle cartine, come è avvenuto a Versailles, è caduto in frantumi. Wilson, il principio di autodeterminazione dei popoli, lo adoperava quando gli faceva comodo L’Italia per alcuni versi è stata, non dico una vittima, perché poi nelle questioni bisogna andare ad approfondire e vedere sempre le due facce della medaglia, eppure l’Italia era entrata in guerra con il patto di Londra in cambio di assicurazioni che sono poi rimaste lettera morta. Anche lì però il problema era vivo e cioè che mentre le città della costa erano indubitabilmente italiane, quelle dell’entroterra erano indubitabilmente slave. Si è visto sempre che le ferite della storia che si cerca di suturare “alla meno peggio” o di lasciare aperte, vanno sempre in suppurazione. Infatti oggi, del Trattato di Versailles, non ne è restato .

Come vedi il futuro della Repubblica Ceca dal punto di vista sociale, politico ed economico?

 Lo vedo meglio di tutti gli stati che facevano parte del COMECON, perché i cechi hanno saputo trovare subito le risorse in modo tale da recuperare il tempo perso. Altri paesi stanno ancora pagando un prezzo molto alto: pensa all’Ungheria per esempio. L’Ungheria dopo un primo salto nel nuovo adesso si trova con problemi serissimi e con degli episodi politici che potremmo definire anacronistici. Ecco perché bisognerebbe studiare la storia.

E l’Italia?

 Faccio una mia considerazione. In Italia è mancata una Norimberga, cioè un polo d’attrazione che ci costringesse a fare i conti con il nostro passato. È solo che in Italia questo cosa non si può dire perché noi, puntualmente, ogni anno quando arriva il 25 aprile, stiamo lì a sentire sempre le stesse chiacchiere  perché dopo 65 anni siamo ancora lì  a discutere su chi aveva ragione e chi aveva torto, e a fare dei distinguo. Per quanto è andato avanti il mito degli “Italiani brava gente”? In Croazia, in Dalmazia, in Grecia, in Francia le zone sotto occupazione italiana erano raggiunte dagli ebrei che andavano dagli italiani perché sapevano che non li avrebbero consegnati ai tedeschi. In Italia nessun ebreo italiano venne consegnato prima dell’8 settembre ai tedeschi, ma abbiamo anche noi i nostri scheletri nell’armadio. Abbiamo i nostri crimini in Yugoslavia, in Albania, in Grecia , in Etiopia dove siamo stati l’unica nazione, è questo va a nostra vergogna, ad aver usato i gas dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Abbiamo dovuto aspettare Saddam Hussein con i curdi per rivedere un orrore del genere. Bisognava farli questi conti con il passato. Non lo abbiamo fatto perché poi la storia si muove con ritmi che non sono quelli della politica. la Guerra Fredda cominciò subito e in qualche modo si congelò quello che andava discusso.

Quanto è rimasto oggi nella società ceca di quella che è stata la  mentalità comunista?

 Credo che sia rimasto qualcosa nei settori dove ha prodotto i frutti migliori, e cioè nella scuola e nella cultura, anche se mi rendo conto che si cerca di sradicare tutto quello che in qualche modo ricorda questo periodo.

Vedi, io dico sempre ai miei studenti che la Storia è come dell’acqua non pura che ha bisogno di far sedimentare tutto quello che non la rende pura, e per vedere l’acqua trasparente ci vuole tempo.  Se non teniamo conto nella storia di una visione speculare, ma vediamo la storia da un lato solo, senza una parte, possiamo costruire a tavolino qualsiasi tesi che, come un discorso filosofico, porta a logiche conseguenze, dimostrando quello che si vuole dimostrare. Questo è quanto hanno fatto d’altronde tutti i totalitarismi.

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